domenica 13 giugno 2021

Lavoratori che non si trovano? O una campagna sapiente per estendere misure di forte contenimento degli stipendi?

 Al di là di ogni valutazione di stampo economico, l'insistenza con la quale la stampa martella sugli imprenditori che offrono lavoro, ma non riescono a trovare i lavoratori, non può che avere una ragione di sottofondo, concernente l'attuale congiuntura.

Prima di proporre un'idea di analisi di quel sta accadendo, è il caso di affrontare la realtà dei fatti. 

Un primo elemento pare di poter evidenziare: la campagna di stampa, insistente e continua, e che per la verità dura ormai da lunghi mesi, appare oggettivamente infondata. Un fact checking molto serio, come quello elaborato qui da Senzafiltro, lo dimostra, in particolare nel campo del turismo. L'infondatezza dell'assioma proposto dai media è un elemento che non può non far pensare.

Altro elemento. Nel corso dei micidiali mesi della pandemia si sono persi circa 900.000 posti di lavoro. Dei quali circa 320.000 autonomi, 360.000 tempi determinati e 220.000 tempi determinati.

Certamente il prezzo maggiore è stato pagato dai lavori meno tutelati. Gli autonomi hanno subito un gravissimo spiazzamento; e non bisogna dimenticare il problema della rilevante quantità di "falsi autonomi", cioè di lavoratori che nella realtà hanno una monocommittenza, ma che con essa non disciplinano il rapporto di lavoro con un contratto di lavoro subordinato. Anche i lavoratori a tempo determinato hanno pagato un prezzo molto caro: il blocco dei licenziamenti si è scaricato sul tempo determinato e la stasi economica ha impedito sia il loro rinnovo, sia la sostituzione del personale a termine con altro personale a termine.

Per altro verso, tuttavia, la gran parte del lavoro perduto ha riguardato in particolare il lavoro stagionale, specie nel turismo, e i picchi di attività: esattamente quei settori nei quali i lavori a termine o anche l'attività autonoma sono molto coinvolti.

Insomma, anche per effetto del blocco dei licenziamenti, non si è determinata quell'ondata di licenziamenti e ristrutturazioni, che si teme possa arrivare da agosto in poi, una volta eliminato il blocco medesimo.

Terza considerazione: nell'articolo pubblicato il 2 giugno 2021 dal Corriere della Sera, dal titolo "I lavoratori che mancano", Federico Fubini afferma: "La difficoltà nel reclutare questi profili (quelli del settore turismo, nda) è così sentita che alcune aziende hanno iniziato a offrire di più, pur di assicurarsi addetti dall'inizio dell'estate".

Quarta e finale considerazione: gli imprenditori invitano in particolare i giovani a "mettersi in gioco" anche accettando "lavori poco remunerati" (Barilla docet). In generale, gli imprenditori attaccano il "sussidistan" ed attribuiscono al reddito di cittadinanza o ad altri sussidi (ma, quali?) la responsabilità del mismatch tra domanda e offerta di lavoro, condizionata dai "troppi diritti".

A questo punto, proviamo a unire i puntini, per trovare il disegno. L'economia è in attesa di un rilancio, che vedrà la possibilità per le imprese di ristrutturarsi a fondo. Vi sono nuovamente molte vacancy da coprire e altre se ne apriranno, mentre ancora, tuttavia, il fatturato è basso.

Poter risparmiare sulla voce del costo del lavoro è, quindi, ancora più che mai fondamentale.

Il pensiero è evidente: molti pensano si possa contare sull'espulsione di migliaia di lavoratori con elevate tutele (con anzianità e stipendi elevati ed ancora coperti dall'articolo 18), con giovani ai quali si applicherebbe il Jobs Act senza articolo 18, che si potrebbero assumere con stipendi iniziali più bassi ed, anzi, in una fase iniziale, si potrebbero inserire con contratti molto flessibili e addirittura con tirocini, e certamente col dilagare di tempi determinati e partite Iva non genuine.

Insomma, c'è la possibilità concreta di un gigantesco contenimento del costo di lavoro, al quale la mancata risposta dell'offerta alla domanda rende possibile lo spettro evocato dal Fubini: offrire un trattamento economico maggiore di quello che la congiuntura potrebbe in effetti consentire.

Uno spettro che evidentemente molti non accettano e che induce i media alla martellante campagna, volta a convincere che vi sono troppi diritti, troppi sussidi da eliminare e che sia quasi un dovere etico, per i lavoratori, accettare anche lavori poco remunerati.

Non è così, però, che si può davvero rilanciare un Paese.

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