Illegittima la costituzione di
uffici dei procedimenti disciplinari monocratici mediante affidamento di
incarichi di lavoro autonomo a professionisti.
E’ sempre più diffusa la prassi, in particolare negli enti locali, di affidare a soggetti esterni, non appartenenti ai ruoli delle amministrazioni, il compito di gestire i procedimenti disciplinari riguardanti i dipendenti pubblici. Una plateale violazione ad una rilevante serie di norme e principi.
La responsabilità disciplinare si
manifesta qualora il dipendente, con dolo o colpa, non adempia alle
obbligazioni connesse alla prestazione lavorativa e, violando le regole
giuridiche e comportamentali alla base delle attività di sua competenza. E’ del
tutto evidente che il dipendente assume la propria responsabilità disciplinare
esclusivamente nei confronti del datore di lavoro, che è il creditore diretto
della prestazione cui si obbliga il lavoratore. Il potere disciplinare è del
potere datoriale di organizzazione, cui si riconnette quello di intervenire con
sanzioni nei confronti dei dipendenti autori di violazioni consideranti
rilevanti agli assetti organizzativi.
Non può esservi dubbio alcuno,
allora, che l’esercizio del potere disciplinare spetti integralmente al datore,
chiamato, nel rispetto delle modalità disposte da un lato dal d.lgs 165/2001 e
per la parte residua dai contratti collettivi, a gestire integralmente il
procedimento: dalla contestazione dei fatti, fino al loro accertamento in
contraddittorio e all’irrogazione della sanzione.
Il datore di lavoro, nelle
amministrazioni pubbliche, è il dirigente o il responsabile di servizio
preposto alla direzione delle strutture, ai sensi dell’articolo 5, comma 2, del
d.lgs 165/2001.
Non essendo contestabile che
l’attivazione e lo svolgimento del potere disciplinare attiene esattamente alla
gestione del rapporto di lavoro, basterebbe questa semplice constatazione per
comprendere che sia precluso a qualsiasi soggetto che non rivesta il ruolo di
datore l’intromissione dall’esterno in una relazione tra lavoratore e datore.
L’articolo 55-bis, comma 2, del
d.lgs 165/2001 conferma pienamente il principio facilmente desumibile
dall’assetto ordinamentale. Infatti, la norma dispone: “ciascuna
amministrazione, secondo il proprio ordinamento e nell'ambito della propria
organizzazione, individua l'ufficio per i procedimenti disciplinari competente
per le infrazioni punibili con sanzione superiore al rimprovero verbale e ne
attribuisce la titolarità e responsabilità”. Il precedente comma 1 dispone:
“Per le infrazioni di minore gravità, per le quali è prevista l'irrogazione
della sanzione del rimprovero verbale, il procedimento disciplinare è di
competenza del responsabile della struttura presso cui presta servizio il
dipendente”.
Si notano, allora, due precetti
molto chiari. Una parte del potere disciplinare è rimessa integralmente e
direttamente in capo ai singoli dirigenti ed afferisce alle violazioni
sanzionabili con il rimprovero verbale. La rimanente parte della fattispecie è,
invece, attribuita ad un apposito “ufficio per i procedimenti disciplinari”.
Pensare di incaricare soggetti esterni come uffici per i procedimenti
disciplinari, per un verso significa ammettere l’impossibile ed inspiegabile
distinzione dell’esercizio di una medesima funzione esclusivamente datoriale, rimessa
in parte ad un soggetto non appartenente all’organizzazione dell’ente, per le
sanzioni superiori al rimprovero, mentre al singolo dirigente fino al
rimprovero. La costituzione obbligatoria dell’ufficio procedimenti disciplinari
ha scopi organizzativi: rimettere ad un soggetto specializzato ed esperto la
gestione, per evitare la dispersione tra troppi altri organi.
Ma, l’ufficio dei procedimenti
disciplinari esercita le medesime prerogative datoriali del datore di lavoro:
per questa ragione non può che essere diretto o costituito monocraticamente da
un dirigente o un soggetto preposto ai vertici organizzativi dell’ente. Non
solo per gerarchia, ma anche per il necessario rapporto organico. Solo un
dipendente dell’ente instaura il rapporto organico, che gli permette di agire
esercitando le competenze dell’ente, ivi comprese quelle datoriali. Un soggetto
esterno, incaricato come collaboratore, non entra nell’organico né assume alcun
rapporto organico con l’ente; il che gli inibisce di esercitare, legittimamente,
alcun potere proprio della PA, sia di diritto pubblico, sia di diritto privato.
Un ufficio dei procedimenti
monocratico ad un incaricato esterno agisce senza alcuna legittimazione ed
adotta atti radicalmente nulli. Un incaricato esterno potrebbe, al limite,
essere partecipe di un ufficio collegiale, ma solo a scopi consultivi e non
decisionali, poiché l’istruttoria e l’adozione delle decisioni finali spettano
solo ed esclusivamente all’ufficio come organi dell’ente, e dunque componibile
solo da soggetti con un rapporto organico legittimo. Ecco perché il legislatore
impone che l’ufficio sia costituito nell’ambito dell’organizzazione di ciascun
ente: deve esserne parte integrante.
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