giovedì 18 ottobre 2012

Ddl #anticorruzione, una valanga di burocrazia che serve a poco

Ddl anticorruzione, una valanga di burocrazia che serve a poco


 

Luigi Oliveri

 

La lettura del ddl anticorruzione lascia sgomenti. Si tratta palpabilmente di una disposizione posta in essere al solo scopo di dimostrare specialmente alle autorità straniere che l’Italia si è dotata di una norma specifica contro specifici reati che penalizzano l’economia e l’efficienza della pubblica amministrazione, priva di concreta capacità di cambiare realmente le cose.

Le critiche piovute addosso al disegno di legge da parte si può dire dell’intera magistratura sono particolarmente significative: mettono in luce le carenze della proposta anche proprio sul piano penale, che dovrebbe rappresentare un rafforzamento delle sanzioni, mentre invece il disegno si svela pieno di buchi e contraddizioni,

Non meno eclatante è l’inefficacia e la ridondanza di tutta la prima parte del disegno di legge, che è all’evidenza frutto dell’esibizione della più retriva arte burocratica di ripetere regole e norme già esistenti, complicandole, rendendole più onerose e, dunque, in proporzione maggiormente, desolatamente inutili.

Come la previsione del “codice di comportamento” per i dipendenti pubblici, la cui violazione è fonte di illecito disciplinare: sarà la quarta volta almeno che si sforna questa grande idea! O l’indicazione che i termini dei procedimenti debbano essere rispettati e controllati. È da almeno 7 anni che un diluvio di norme lo prevede.

Non mancano, poi, le trovate surreali ed ai limiti della costituzionalità. Come la responsabilità oggettiva scaricata addosso al responsabile antiprevenzione per il caso di illeciti commessi da altri: commette il reato un dipendente, paga anche il responsabile antiprevenzione. Come dire che per i reati commessi dai delinquenti dovrebbero pagare le forze di polizia. Davvero qualcuno si illude che l’istituzione di una figura qualificata come “il responsabile della prevenzione della corruzione” possa di per sé scongiurare il fenomeno. E, soprattutto, siamo del tutto convinti che sia ammissibile infrangere il principio di personalità della responsabilità penale, sancito dalla Costituzione, e creare una responsabilità aggiuntiva, solidale e comunque di stampo,come detto, oggettivo. Insomma, il tentativo di creare comunque e sempre un “capro espiatorio” da esibire alla stampa, in qualche modo assolutorio delle eventuali responsabilità degli organi di governo.

I quali, come è noto, sono una principale causa del fenomeno corruttivo. Eppure è agli organi di governo che il disegno di legge assegna il compito di individuare il responsabile della prevenzione della corruzione. Insistendo nell’errore di creare un rapporto funzionale tra organi che dovrebbero essere destinati (per primi) ad un controllo e controllore.

L’attività di responsabile della prevenzione dovrebbe prevedere una funzione totalmente autonoma, fino all’indipendenza, del soggetto deputato dalla politica e anche dagli altri funzionari e dirigenti. Un’autorità terza, dotata di poteri di controllo preventivi e penetranti.

Ma tutto questo nel disegno di legge manca. Come è stata mancata l’occasione per cancellare definitivamente gli incarichi dirigenziali “esterni” dati senza concorso, fonte probabilissima di corruttela, anche perché destinatari sono “persone di fiducia”, dei politici, selezionate, troppo spesso, più in base alla col lateralità e intenzione di non evidenziare possibili deviazioni dal corretto amministrare, che non in relazione alle competenze e al dovere di terzietà imposto dall’articolo 98 della Costituzione. Macchè. Al contrario questi onerosissimi “incarichi a contratto”, fonte di violazione del principio di separazione tra politica e gestione e di vulnerazione della Costituzione, vengono addirittura codificati meglio e quasi legittimati dal disegno di legge, che la fa cavare con una comunicazione alla Funzione Pubblica dei dati dei dirigenti esterni.

Altra norma che fa comprendere la fretta e l’improvvisazione con cui è stato formulato il disegno di legge è quella relativa ai corsi di formazione contro la corruzione. A parte la circostanza, della quale il legislatore è evidentemente inconsapevole (pur essendo “tecnico”) che le risorse per la formazione del personale pubblico sono state falcidiate dalla legge 122/2010, pensare che corsi di formazione sulla “cultura della legalità” siano sufficienti per convincere chi è intenzionato a delinquere a ravvedersi nasconde l’atteggiamento paternalistico che pregna molti degli interventi normativi di questo scorcio di legislatura.

Non si contano, poi, gli interventi sulla legge 241/1990 (norma, ormai, vittima sacrificale di qualsiasi riforma, ormai sfigurata da centinaia di novellazioni, come accaduto al codice dei contratti), posti tutti quanti a ribadire, sottolineare, rafforzare principi noti, decotti e digeriti da anni.

Insomma, un disastro, un’altra prova di complicazione normativa la cui inefficacia è direttamente proporzionale alla dimensione dell’importanza mediatiche che vi si dà.

 

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