sabato 28 febbraio 2015

#province Il film fantahorror della #ricollocazione #bandi #mobilità

Sembra davvero un racconto di fantascienza horror l’analisi degli effetti combinati di riforma delle province e legge di stabilità.

Man mano che si va avanti nel tentativo di attuare l’intervento riformatore, si scoprono sempre nuove “forze aliene” che minano alla base la possibilità di ottenere risultati di qualità e, soprattutto, utili per l’ordinamento ed i cittadini. A conferma dell’impressione, evidenziata da anni da chi scrive, dell’approssimazione e fretta con la quale si è giunti a scrivere una riforma pure così delicata.

Il quadro dell’attuazione della legge 190/2014 è a dir poco sconfortante. Il 28 febbraio scadeva il termine entro il quale il Presidente del consiglio dei ministri avrebbe dovuto adottare il decreto previsto dall’articolo 30, comma 2, del d.lgs 165/2001 e 1, coma 423, della legge 190/2014, contenente i criteri per regolare le procedure di mobilità del personale provinciale in soprannumero. Ovviamente quel termine, ancorché ordinatorio, non è stato rispettato. Un segnale, tra i moltissimi altri, di come il problema della riorganizzazione di una fetta importantissima dell’assetto istituzionale dello Stato sia sottovalutato. I termini operativi sono violati. E, in questa fase, non è un bene. Infatti, nonostante la puntualità dei decreti attuativi delle legge non sia propriamente uno degli aspetti di maggiore qualità dell’azione di governo in Italia, il mancato rispetto dei termini e degli adempimenti nuoce moltissimo al buon esito della procedura, in quanto rosicchia il termine di 24 mesi per ricollocare 20.000 dipendenti.

In molti hanno osservato, superficialmente, che due anni di tempo sono parecchi, specie considerando che i 20.000 sovrannumeri si sono determinati in un ambiente di lavoro “protetto” come quello pubblico, se confrontato con ciò che accade nel sistema privato. Non si tiene, tuttavia, nel dovuto conto della inevitabile lentezza e pesantezza nel procedere da parte della pubblica amministrazione, confermate dagli eventi. Il tempo scorre e i 24 mesi si riducono inesorabilmente, per condurre o a proroghe, non propriamente auspicabili per il credito del Governo, oppure al parziale fallimento del progetto di ricollocazione a disdoro delle dichiarazioni urlate a gran voce, specie dal Ministro della funzione pubblica, la quale ripetutamente afferma che “tutti i dipendenti provinciali saranno ricollocati”.

Sta di fatto che arrivati all’inizio di marzo nessuno risulta essere stato ricollocato. Solo in Toscana si potrebbe essere vicini a questo evento, per effetto di una legge che fa acquisire alla regione tutte le competenze e connesso personale delle province. Nel resto d’Italia (a cominciare dalla Sicilia, antesignana di una riforma ancor più deleteria di quella sviluppata in continente) è buio pesto.

Il tempo gioca a sfavore e gli autori della riforma hanno stimato male il suo decorso, peggio coordinandolo con alcuni aspetti operativi.

Dei 20.000 sovrannumerari, si è detto, quasi la metà potrebbero essere agevolmente ricollocati: si tratta dei 7.500 addetti ai servizi per il lavoro, per i quali sono aperte le porte dell’Agenzia nazionale per l’occupazione. Peccato che il decreto attuativo della legge 183/2014 difficilmente verrà approvato dal Governo prima del 15 maggio 2015, ultimo giorno previsto dalla delega, sicchè non potrà entrare in vigore prima di luglio 2015. Ma, non basterà: l’Agenzia dovrà essere costituita con patrimonio, bilancio, risorse, sedi ed organi nel rispetto della legge 300/1999, con una sequenza di decreti del Presidente della Repubblica. Qualsiasi stima anche veloce della procedura evidenzia che occorrerà un altro anno almeno. Se andrà bene. Per quei 7.500 lavoratori, se non ricollocati prima in altre amministrazioni, il rischio di restare senza l’approdo considerato naturale entro i 24 mesi previsto dalla legge è concretissimo. Tanto più se le regioni la spunteranno e costringeranno il Governo a prendere atto che un’Agenzia “nazionale” vìola l’attuale testo della Costituzione, sicchè per farla nascere occorrerà la riforma della Costituzione. Che, essendo necessario il referendum confermativo, difficilmente vedrà la luce prima dell’inverno 2015-2016. Ma, allora l’iter per l’Agenzia ripartirebbe in quell’epoca e, dunque, i 24 mesi previsti dalla legge 190/2014 non sarebbero certamente necessari.

Altrettanto si può dire per l’altra fetta di circa 2.500 – 3.000 dipendenti della polizia provinciale: la circolare 1/2015 “complicativa” della legge 190/2014 ha immaginato anche per costoro un percorso “speciale”, verso una nuova organizzazione delle forze dell’ordine, che ad oggi è solo in mens dei.

Sicchè ad oltre 2 mesi dalla vigenza della legge 190/2014 gli unici certi del loro destino sono i circa 3.000 che andranno in pensione entro il 31.12.2016: ma sarebbero andati in quiescenza comunque.

Per il resto, è solo confusione. I bandi di mobilità del Ministero della giustizia e di concordo dell’Agenzia delle entrate sono il simbolo del conclamato fallimento della riforma. Due casi clamorosi di elusione, magari legittima, della norma.

Il Ministero della giustizia ha dato il pessimo esempio a tutte le altre amministrazioni (e centinaia di comuni si sono accodati) di come aggirarla. Il 20 gennaio fu approvato il ben noto bando, totalmente disarmonico con la “priorità” che pure l’articolo 1, comma 425, della legge accorda ai dipendenti provinciali, con la beffa di chiedere alle province l’impegno a contribuire al fondo previsto dall’articolo 30, comma 2.3, del d.lgs 165/2001, pur in assenza del decreto che lo istituisca e regoli.

Il bando ha, in effetti, destato le ire del Ministro Madia, prima enunciate in un poco giuridico tweet (a proposito: in Italia si è dovuto incomodare il Consiglio di stato[1] per avere conferma che i tweet non sono fonte del diritto…), poi meglio esplicitate con la citata circolare 1/2015, che imperiosamente ha indicato: “Il bando di mobilità volontaria adottato dal Ministero della giustizia con provvedimento del 25 novembre 2014, per la copertura di 1.031 posti vacanti, è destinato a riassorbire il personale degli enti di area vasta e solo in via residuale, in assenza di domanda di mobilità da parte del predetto personale, a processi di mobilità di altro personale”.

Sembrava un’indicazione chiara: prima, occorre dare spazio ai dipendenti delle province, coerentemente con la legge 190/2014; poi, agli altri.

Il Ministero ha molto tentennato e quasi un mese dopo, il 16 febbraio, ha pubblicato la riapertura dei termini e la correzione del bando. Ma, non troppo a sorpresa, leggendolo si scopre che via Arenula prosegue per la sua strada: il Ministero si è limitato a eliminare la richiesta alle province di contribuire al 50% del costo del personale da trasferire, ma non c’è alcuna espressa indicazione di priorità nella mobilità, per i dipendenti delle province. Si tratta di 1031 posti, circa il 5% dei dipendenti da ricollocare: un bel bottino, considerando anche che moltissimi esponenti di Governo e maggioranza ripetono che la riforma delle province è l’opportunità di razionalizzare la “burocrazia” rafforzando gli uffici giudiziari. Si è visto.

Un sintomo di disorganizzazione, mancanza di coordinamento e comprensione delle priorità tra componenti del Governo, il soggetto, cioè, che ha in mano l’attuazione della riforma.

La conferma di questo caos assoluto è stata data da una seconda iniziativa, probabilmente più grave, proprio perché giunge dopo la non lusinghiera esperienza del bando di mobilità del Ministero della giustizia. E’ il concorso per 892 funzionari indetto dall’Agenzia delle entrate, in totale autonomia, senza alcun intento di cooperare e collaborare alla buona riuscita della legge 190/2014. E’ un concorso pubblico, per l’assunzione di nuovi lavoratori.

Formalmente, potrebbe essere anche legittimo, in quanto la legge 190/2014 non vieta di indire concorsi che sfocino in assunzioni a partire dall’1.1.2017; del resto, le amministrazioni dello Stato sono chiamate ad assumere dopo regioni ed enti locali.

Ma, vi sono due piccoli particolari. L’Agenzia non ha attivato la procedura di mobilità volontaria che deve a pena di illegittimità precedere ogni concorso pubblico; né risulta siano giunte alle province richieste di verifica dell’esistenza di dipendenti pubblici in lista di disponibilità ai sensi dell’articolo 34-bis del d.lgs 165/2001, imposte a pena di nullità delle assunzioni. Inoltre, l’articolo 1, comma 425, congela le assunzioni delle amministrazioni statali al preventivo censimento delle risorse disponibili precisando che le assunzioni effettuare in violazione del comma medesimo sono nulle.

Occorre comprendere se l’Agenzia abbia fatto o meno riferimento alle risorse da turn over precedenti al 2014.

Sta di fatto che tra Ministero della giustizia ed Agenzia, in modo diverso, si corre seriamente il rischio di sottrarre il 10% di posti utili alla ricollocazione dei 20.000 sovrannumeri. Non si dica che i dipendenti provinciali possano concorrere: non è questo il modo indicato dalla legge per garantire la prosecuzione del loro lavoro. Né questo appare il sistema per razionalizzare l’organizzazione pubblica, visto che lo strumento è la mobilità e non i concorsi (il che, per altro, finisce per svantaggiare gli idonei, comunque tranquillamente a loro volta ignorati e pretermessi dal concorso dell’Agenzia, che non si è sognata neanche di scorrere le graduatorie proprie o di altre amministrazioni).

Al di là della nullità o illegittimità delle assunzioni che pezzi importantissimi dello Stato stanno portando avanti comunque in evidente elusione delle disposizioni di una legge dello Stato stesso (ma, che esempio si dà ai cittadini?), resta davvero incomprensibile l’intento di ignorare o svicolare le leggi. I sovrannumeri nelle province non sono causati da loro mala gestio, bensì da una decisione del Governo e del parlamento, che non tiene in alcun conto di cattiva o buona amministrazione. In ogni caso, nel privato, dove gli esuberi scattano per vere e proprie crisi, se si conclama la situazione di esubero di personale, non si ammette l’assunzione di lavoratori nell’azienda o in quegli ambiti lavorativi in crisi. E’ logicamente inammissibile che lo stesso Stato che promuove proditoriamente esuberi di 20.000 persone consenta a proprie componenti di effettuare assunzioni non finalizzate al loro riassorbimento. Questo, al di là delle forme normative.

Agire così, slalomeggiando tra le norme appare il metodo migliore per far fallire la legge 190/2014 sul nascere.

Una legge, del resto, nata male, perché caratterizzata da troppi errori: non aver fatto il censimento dei posti disponibili per la ricollocazione dei 20.000 prima, e non dopo, della loro messa in soprannumero; non aver aspettato che si determinassero prima, e non dopo, le funzioni non fondamentali da riordinare; il non aver fissato prima, e non dopo, i fabbisogni finanziari per la gestione delle funzioni e l’accollo del costo del personale; l’aver lasciato che fossero le regioni a decidere quali funzioni rassegnare, con quali risorse, senza aver assegnato loro termini perentori, senza predisporre controlli, senza delineare poteri sostitutivi, col rischio già concretizzato di avere 20 modelli diversi di agire, prevalentemente segnati dall’inerzia, e successivi 20 diversi modelli di configurare la cosiddetta “area vasta”, a tutto scapito della semplificazione e dei rapporti con i cittadini.

L’unico risultato immediato percepibile, purtroppo, ha un nome: anarchia. Bandi gestiti dagli enti come vogliono, regioni che decidono in modo scoordinato, servizi delle province già ridotti ed interrotti da molte parti, bilanci provinciali impossibili da approvare, procedure incomprensibili, disagi già evidenti per i cittadini che si vedono denegati i servizi.

La riforma delle province è, oggettivamente, in nuce un piccolo laboratorio delle più grandi riforme della PA e della Costituzione. Non c’è davvero da stare allegri nel guardare questo film di fantascienza.

[1] Consiglio di Stato, Sezione VI, Sentenza 12 febbraio 2015, n. 769.

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