Il tracciamento del processo di produzione delle norme è stato, correttamente, evocato come necessaria misura anti opacità da Luigi Firrarello sul Corriere della Sera del 23 aprile scorso.
Si tratterebbe di una misura ovvia, come ovvio dovrebbe essere che un collegio, i cui lavori sono verbalizzati, approvi dei testi definiti, frutto di un'istruttoria tecnica.
E' esattamente quello che accade nelle autonomie locali: i consigli e le giunte comunali possono solo approvare proposte di deliberazioni contenute in testi chiusi e definiti, dotati di tutti i pareri necessari. Gli emendamenti, se ammessi e possibili, sono a loro volta scritti, dotati di pareri e verbalizzati, in modo che nella seduta si produca un testo del tutto definito ed immodificabile.
Certo, presso gli enti locali si svolge attività amministrativa e non legislativa, dunque senza la tipica libertà di fini e di indirizzo politico.
Tuttavia, questa libertà consente al Governo di esprimere sulla base di una discrezionalità molto ampia il proprio indirizzo, ma non di lasciare completamente non determinati gli atti attraverso i quali l'indirizzo deve essere tradotto. Logica vorrebbe che il flusso, inevitabile, dei testi e dei loro contenuti fosse scolpito formalmente.
Nulla vieterebbe di chiudere le sedute del Consiglio dei ministri con l'approvazione di un testo, da allegare al verbale ed al quale accedere, precisando con minuzia quali parti non sono ancora considerate definitive, sulle quali indicare la clausola del "salvo intese".
La prassi invece in atto ormai da anni appare quella di approvare a scatola chiusa norme i cui testi non sono affatto definiti e, a quel che sembra, nemmeno conosciuti, così da dare la sensazione di aver rispettato scadenze formali di approvazione, demandando completamente a mai ben definiti e conosciuti "uffici tecnici" il compito materiale di continuare a scrivere e limare i testi, sicchè la formula "salvo intese" si traduce nell'approvazione solo formalistica di testi in realtà bel lontani dall'essere chiusi e definiti.
Torniamo, allora, alla tracciabilità. Esiste nell'ordinamento un obbligo di tracciare l'attività della pubblica amministrazione. La risposta è sì, eccome. E la fornisce esattamente una norma facente parte del pacchetto "anticorruzione", derivante dalla legge 190/2012, poichè la trasparenza è considerata, a giusta ragione, la principale arma contro qualsiasi modo di agire che possa sottintendere inefficienze dovute a conflitti di interesse o più gravi circostanze.
In particolare, è l'articolo 9, comma 2, del dpr 62/2013 ad imporre proprio il tracciamento delle attività svolte: "La tracciabilità dei processi decisionali adottati dai dipendenti deve essere, in tutti i casi, garantita attraverso un adeguato supporto documentale, che consenta in ogni momento la replicabilità".
Qual è la lacuna di questa norma, come, in realtà, di tutto l'impianto della normativa anticorruzione vigente? Che essa è rivolta esclusivamente ai dipendenti pubblici (si tratta, infatti, del codice di comportamento dei dipendenti) e, dunque, non agli organi di governo.
Di per sè, tuttavia, questa norma dovrebbe essere già sufficiente a tracciare anche gli atti del Consiglio dei ministri: è noto che dei "dipendenti" istruiscono i dossier all'ordine del giorno e redigono i testi delle norme. Se l'attività puramente politica, quindi, non è soggetta al tracciamento richiesto dalla norma, comunque il semplice rispetto di una norma già vigente da 4 anni dovrebbe sciogliere ogni dubbio e risolvere sempre ogni curiosità sulle "manine" che intervengono nei processi decisionali, che dovrebbero essere appunto rin-tracciate subito.
E' un po' strano che la giusta ondata di attenzione e norme su trasparenza ed anticorruzione, che impone alle amministrazioni ed agli operatori una quantità indicibile di adempimenti formali, si fermi proprio laddove le esigenze di trasparenza appaiono ancora più delicate ed essenziali, cioè a Palazzo Chigi. E, probabilmente, l'estensione delle regole operative anticorruzione anche agli organi politici, ovviamente nel rispetto della pienezza delle prerogative loro riconosciute dalla Costituzione e dalle leggi, sarebbe di giovamento, per evitare alle manine di agire nell'ombra ed all'insaputa dei Ministri.
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