lunedì 5 marzo 2018

La stanca litania della riforma della PA, senza idee, senza efficacia


La stanca litania della riforma della PA, senza idee, senza efficacia

Sono quasi 30 anni che periodicamente si auspica una riforma della PA per liberare lo Stato dalle secche nelle quali essa lo blocca.

E’ toccato a Il Sole 24 ore del 3 marzo 2018 ripetere la solita litania, con l’articolo “Riformare la PA per crescere”, che riprende le proposte di un gruppo di studio denominato “Giardino dei semplici”. Un condensato di tutti gli slogan e tutte le idee inefficaci ed improduttive, che in questi anni hanno continuato ad ispirare riforme “epocali” che non lo erano della PA, senza risolvere mai i problemi e continuando a creare, moltiplicare, complicare, avvitare su se stessi vincoli, procedure e cavilli, ottenendo l’esatto opposto degli obiettivi strombazzati.
Ecco un elenco fior da fiore degli slogan: “è necessario porsi, ora che la ripresa economica si è consolidata, un ambizioso obiettivo di riduzione permanente dei costi della pubblica amministrazione che permetta un allentamento della pressione fiscale e una sostanziosa riduzione del debito pubblico nei prossimi cinque anni”; cosa fattibile solo “attraverso una vera riforma della pubblica amministrazione”; “La ristrutturazione della PA deve migliorare la produttività nell'erogazione dei servizi, l'efficacia e l'efficienza dell'azione amministrativa, incrementando il livello qualitativo delle prestazioni; ridurre la durata dei procedimenti; ridefinire, nell'interesse dei cittadini, delle imprese e delle formazioni sociali, il perimetro di attività dell'amministrazione, compresa quella svolta tramite società partecipate o enti strumentali”; ovviamente, “La ristrutturazione deve porsi obiettivi misurabili in termini di risultati, secondo criteri predeterminati”; non c’è, poi da dimenticare che “Il miglioramento della produttività e dell'efficienza dell'azione amministrativa elimina gli ostacoli burocratici allo sviluppo della società; prosciuga il brodo di coltura della corruzione, che si nutre dell'inefficienza dell'apparato amministrativo”.
Tutte idee giustissime, certo. Che hanno ispirato tutte le riforme “epocali” compiute dal 1993 in poi; quella del ’93, rivista nel ’95, modificata nel ’98, poi assestata nel 2001, ma in parte modificata nel 2002, per essere aggiornata nel 2005, ma stravolta nel 2009, poi un po’ aggiustata tra 2010 e 2011, allentata nel 2013, modificata in parte nel 2014, nuovamente profondamente riformata nel 2015 e nel 2017.
Peccato che al di là degli slogan, non si riescano a cogliere due elementi fondamentali. Il primo consiste nell’errore di prospettiva: che consiste nel ritenere che la PA sia la causa dei “lacci e laccioli” nei quali è stretta l’economia del Paese. Sicchè è prevalentemente un problema di produttività della PA, se essa non riesce ad offrire servizi considerati utili.
E’ una visione erronea. Sicuramente margini di miglioramento della produttività esistono, ma chi continua dopo 30 anni a manifestare sempre queste liturgiche giaculatorie omette, regolarmente, di prendere atto che le inefficienze, le lungaggini burocratiche, le complicazioni operative, per la gran parte non dipendono da scelte organizzative dei “burocrati”, il corpo vivente della PA, ma derivano esattamente da Parlamento e Governo, coloro che legiferano e guidano proprio l’attività amministrativa.
Il miglioramento della produttività suggerisce il gruppo di studio, favorisce la lotta alla corruzione? Ma, il gruppo di studio conosce la normativa intricatissima che è derivata dalla giusta lotta alla corruzione? Le centinaia di adempimenti formali con cui la legge e le indicazioni dell’Anac inondano le amministrazioni di adempimenti formali, con i quali non è fin qui risultato in alcun modo si sia prevenuto davvero un evento corruttivo?
Hai voglia a proporre riforme alla luce delle “esperienze compiute nel settore privato”, anche perché il privato sarà virtuosissimo, ma non sono mancati i casi Enron, Cirio, Parmalat, Embraco, come non sono mancati i fallimenti a catena delle banche all’origine vera della crisi in cui ancora ci dibattiamo.
L’errore di prospettiva porta gli autori a dettare la seguente proposta operativa “formulata in un disegno di legge (https://www.leoniblog.it/2015/05/30/riformare-la-pa-riducendo-la-spesa-corrente-il-giardinodei-semplici/), i ministeri, le altre amministrazioni centrali gli enti pubblici nazionali sottopongono al governo propri piani di ristrutturazione, entro termini stringenti. I piani contengono un progetto organizzativo per migliorare la produttività nell'erogazione dei servizi e il livello qualitativo delle prestazioni, oltre che per ridefinire il perimetro dell'attività, selezionando gli interessi sui quali concentrare attività e risorse, in un quadro di sostenibilità di bilancio; identificano le esigenze di adattamento del quadro normativo; verificano l'eccedenza di personale, strutture, risorse finanziarie. La prima elaborazione è affidata alle stesse amministrazioni. Solo chi opera all'interno conosce il labirinto nel quale occorre muoversi: senza la collaborazione della struttura, nessuno potrebbe impostare rapidamente il lavoro in modo efficace”.
Ma, gli autori evidentemente non sanno o non prendono atto che si può ristrutturare tutto nei modi suggeriti. Tuttavia, se, ad esempio, il codice dei contratti, che guida i processi per la realizzazione di appalti di lavori, servizi e forniture, resta com’è, continueranno contrasti tra giurisprudenza e tra questa e l’Anac su aspetti operativi come se il dirigente del servizio cui afferisce l’appalto possa o meno svolgere la funzione del presidente della commissione, su quali sono le funzioni dei responsabili unici del procedimento, se questo responsabile possa o no far parte della commissione, chi tra responsabile e commissione deve curare la fase eventuale di verifica dell’anomalia dell’offerta, come individuare i commissari di gara attraverso una procedura che quando andrà a regime, tra richieste all’Anac, chiamata di questa agli iscritti ad un albo, accettazione eventuale, invio delle liste di questi all’ente procedente, verifica delle situazioni di eventuale incompatibilità, provvedimenti di nomina ed accettazione, allungherà i tempi delle gare di almeno un mese; se tutto resta così, non è per la volontà di nessun burocrate o “della PA”. E’ il Legislatore che ha configurato in questo modo intricatissimo ed iperburocratizzato gli appalti, accompagnato in ciò dalla soft law dell’Anac quale elemento conclamato di complicazione.
Altri esempi potrebbero farsi. Sempre per restare agli appalti, ma meglio dire, agli investimenti, una lunare riforma della contabilità pubblica, che ha partorito l’ircocervo di una contabilità che vorrebbe scimmiottare quella privata ma ha ancora mostruosi elementi pubblicistici, impone di chiudere le gare con l’impegno definitivo della spesa entro il 31 dicembre di ogni anno, pena conseguenze operative assurde: la decadenza dell’impegno, la sua iscrizione in fondi pluriennali, che se si tratta di spese di investimento vere e proprie almeno possono essere facilmente reimpegnate, ma se si tratta di servizi o forniture, richiedono riaccertamenti di residui attivi e passivi, inserimenti e prelievi in fondi specifici con una congerie di provvedimenti di diversi organi, complicati, incrociati, incoerenti, inestricabili se gli enti non hanno i bilanci approvati: anche qui con enormi lungaggini, dovute al fatto che si scimmiotta una gestione di cassa, senza cassa. Poi, ci si stupisce che gli investimenti vadano a rilento e con essi anche i pagamenti.
Per non parlare, poi, delle recentissime disfunzioni alle elezioni del 4 marzo 2018: file lunghissime ed ore di attesa, una complicazione che non è stata decisa dalla PA o dai “burocrati”, ma da un legislatore causa prima, sempre, degli aggravamenti procedurali, delle sovrapposizioni, dei bizantinismi, del caos. Come la devastante riforma delle province avrebbe dovuto chiarire a tutti. Tutti, ma non, evidentemente, i componenti del Giardino dei semplici.
Il secondo errore, dunque, è il metodo. Accanto ai piani di ristrutturazione, occorrerebbe Ecco i geni che dobbiamo ringraziare per le lungaggini al voto #elezioni2018 https://prnt.sc/imze4c Ma, anche in questo caso, la diagnosi proposta è del tutto erronea e rivela il vero intento, perseguito da decenni: il tentativo di scalzare la dirigenza di ruolo, per piazzare al suo posto una dirigenza totalmente sotto il controllo partitico (era l’obiettivo della riforma Madia naufragata sotto i colpi della Corte costituzionale), oppure con la creazione di una struttura parallela di “consulenti”. Ecco il pensiero della proposta in commento: “I dirigenti pubblici, tuttavia, sono spesso privi delle necessarie competenze in tema di organizzazione e gestione, anche in ragione della loro formazione prevalente. Non possono essere lasciati soli: vanno aiutati. La proposta prevede perciò che vengano affiancati da un organo tecnico, che assicuri l'apporto di professionalità di adeguata esperienza, maturata in processi analoghi, nel settore privato e nell'amministrazione, in Italia o all'estero”.
Il solito attacco contro i dirigenti pubblici, la solita esaltazione di “esperti del privato”, che non conoscono la contabilità pubblica, le regole del lavoro pubblico, le regole degli appalti ed approvvigionamenti pubblici, l’assenza dell’autonomia di diritto privato, la quantità estrema di vincoli per meri adempimenti formali, il peso della responsabilità erariale che nel privato non esiste. Professionisti come Bondi, Cottarelli, Perotti, tanto per citarne alcuni, “scesi in campo” per produrre spending review clamorose, partorendo solo topolini o idee, come la centralizzazione degli appalti, buone solo per bloccare ulteriormente gli investimenti e consentire più facilmente la corruzione nei pochi mega appalti gestiti, come insegna il caso Consip. Per non parlare della inutilissima e costosissima esperienza dei direttori generali esterni, (scusate, city manager, perché un po’ di sano italiese non guasta mai) nei comuni: alieni che non hanno minimamente contribuito ad alcun miglioramento, organizzativo ed operativo, ma a costi molto salati.
L’altra idea è, poi, quella dell’ulteriore contenimento del personale pubblico. “La ristrutturazione di un apparato amministrativo obsoleto produce naturali ricadute sul personale. Gli esuberi vanno gestiti con ragionevolezza. La proposta combina soluzioni di mobilità interna, anche tra amministrazioni e società partecipate, e un ammortizzatore sociale a carico delle amministrazioni ristrutturate, coerente con l'esigenza di garantire rapidamente il recupero di produttività perseguito”.
Evidentemente nessuno ha informato il Giardino dei semplici che l’Italia, con 3 milioni di dipendenti pubblici, anche considerando i circa 400.000 delle società pubbliche, non si avvicina nemmeno lontanamente agli oltre 5 milioni di Francia e Gran Bretagna e agli oltre 4 milioni della Germania. Nessuno ha ricordato loro che entro il 2021 quei 3 milioni diventeranno 2,5 milioni per una gobba di pensionamenti di 500.000 unità. I dipendenti saranno largamente insufficienti quantitativamente e con età molto avanzata.
Le proposte di riforma della PA ancora incentrate su ricette vecchie di 30 anni, parzialmente attuate in modo fallimentare, sono oggettivamente quasi surreali. Come surreale è che vi possa essere ancora della stampa che le rilanci.



1 commento:

  1. Il post è dedicato al suo prezioso ed inesauribile lavoro. Saluti
    https://www.linkedin.com/pulse/exhaustive-lullaby-reforming-italian-public-paola-sabatelli-amato/

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