Come è noto, la querelle trae
origine dalla previsione contenuta nell’articolo 67, comma 7, del Ccnl. Una
disposizione certamente erronea,
perché estende illegittimamente alla contrattazione nazionale limiti di
finanziamento che invece l’articolo 23, comma 2, del d.lgs 75/2017 riserva
esclusivamente alla contrattazione decentrata.
Una svista incredibile, evidenziata
immediatamente da chi scrive, ma della quale evidentemente chi ha
sottoscritto il contratto non deve essersi reso conto.
Eppure, tra la sottoscrizione
della preintesa e quella definitiva, vi sarebbe stato tempo e modo per
rimediare, semplicemente eliminando quell’articolo 67, comma 7, oppure
modificandolo in modo da evitare la conseguenza assurda che la contrattazione
nazionale scarichi sui fondi decentrati parte non insignificante del
finanziamento degli incrementi.
E’ vero certamente che la
situazione risulta adesso molto ingarbugliata, per il manifestarsi dell’ennesimo
contrasto interpretativo in seno alla Corte dei conti, non nuova alla
produzione di pareri contrastanti che finiscono per impedire una serena
gestione amministrativa (si pensi alla questione dei diritti di rogito dei
segretari comunali o agli incentivi per le funzioni tecniche). Come noto,
sebbene le Sezioni Riunite abbiano certificato il Ccnl senza obiezioni alla dichiarazione
congiunta n. 5 che ha enunciato l’intento delle parti stipulanti di leggere l’articolo
67, comma 7, nel senso che debbono essere i bilanci e non il fondo contrattuale
a finanziare l’indennità di 83,20 euro e i differenziali delle posizioni di
sviluppo, la Sezione Puglia
con la deliberazione 99/2018 ha ritenuto la dichiarazione congiunta priva di
efficacia e, dunque, messo in guardia le amministrazioni locali dallo scaricare
sui bilanci quegli oneri. Non la vede così la Sezione Lombardia ,
che, dunque, invita la Sezione Autonomie
a sbrogliare la matassa. Nel frattempo siamo ad agosto, il contratto è di
maggio ed entro giugno si sarebbe dovuto determinare l’entità del fondo ed
avviare la contrattazione decentrata. Opera, ovviamente, in questo momento al
limite della temerarietà, visti i contrasti interpretativi, per altro sorti, lo
si ribadisce, a causa di una lettura totalmente sbagliata dell’articolo 23,
comma 2, del d.lgs 75/2017.
E’, però, corretto osservare che
in questo caso la Corte
dei conti non ha responsabilità particolari. Infatti, la questione
interpretativa, a differenza che negli altri casi citati prima, non deriva da interpretazioni
“creative” di diritto effettuate tramite i pareri della magistratura contabile,
ma discende da una volontà contrattuale.
In questo caso, non si può
lagnarsi contro un legislatore frettoloso o distratto, oppure stigmatizzare il
mancato coordinamento delle sezioni della magistratura contabile.
L’articolo 67, comma 7, è una
clausola contrattuale frutto della prestazione di consenso tra le
organizzazioni sindacali e l’Aran.
La responsabilità per la
situazione caotica che si è creata non può che essere ricondotta a chi ha
formulato la clausola, non si è avveduto delle sue conseguenze, ha sottoscritto
la preintesa e non ha inteso correggere l’errore evidentissimo e pubblicamente
noto una volta pubblicata la preintesa, se non con lo strumento debolissimo
della dichiarazione congiunta.
Non ci voleva un genio per sapere
o immaginare che la dichiarazione congiunta si sarebbe prestata certamente a
valutazioni di inefficacia da parte del giudice del lavoro o anche del giudice
contabile, come è puntualmente avvenuto.
Che debba essere la Corte dei conti, ora, a
farsi carico di una svista clamorosa delle parti contraenti è davvero
paradossale: una rinuncia all’esercizio dell’autonomia contrattuale delle
parti, una sorta di richiesta di soccorso da parte di chi non si sa per quale
ragione ha inteso stingersi nel capestro di una norma, l’articolo 23, comma 2,
del d,lgs 75/2017, che nulla ha a che vedere con la contrattazione nazionale, e
poi, per puntiglio, per frettolosità o non si sa per quali altre ragioni, non
ha inteso seguire la via maestra, quella della revisione del testo dell’articolo
67, comma 7. Producendo una dichiarazione congiunta che sicuramente si presta
alle valutazioni esposte dalla Sezione Puglia e che, comunque, nemmeno rimedia
in pieno all’errore commesso, perché lascia comunque a carico dei fondi e non
dei bilanci, come sarebbe corretto, tutti gli aumenti di costo derivanti dai
maggiori importi per i vari compensi connessi all’incremento tabellare:
straordinari, turni, lavoro festivo e in giornate non lavorative.
Oltre tutto, la dichiarazione
congiunta numero 5 è la prova incontrovertibile dell’errore sensazionale
commesso dalle parti stipulanti; è, infatti, la diretta ammissione che l’articolo
67, comma 7, è una norma costruita male.
La rinuncia all’esercizio dei
poteri connessi all’autonomia contrattuale, demandando così ad un giudice
contabile la soluzione ad un problema autoprodotto, con l’ulteriore rinuncia ad
adottare strumenti negoziali per porvi rimedio, stonano non poco, specie
considerando che l’Aran, una delle parti contrattuali, con i suoi orientamenti
applicativi non poche volte ha disorientato le amministrazioni e fornito a
servizi ispettivi e Corte dei conti spunti molto opinabili, sui quali costruire
poi l’infinito contenzioso sulla contrattazione decentrata.
Sarebbe stato meglio un’assunzione
chiara di responsabilità, l’ammissione dell’errore commesso ed una sua
soluzione drastica e chiara. La stessa responsabilità nella quale le parti sono
incorse nell’aver totalmente mancato l’obiettivo previsto dalla legge di
semplificare costituzione e gestione del fondo del salario accessorio.
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