mercoledì 1 agosto 2018

Ccnl Funzioni locali: il caos sui fondi è responsabilità di chi ha stipulato, non della Corte dei conti



La Sezione regionale di controllo della Lombardia, con la delibera 221/2018 ha demandato alla Sezione delle Autonomie il compito di dirimere la questione se gli incrementi contrattuali scaturenti dal Ccnl 21.5.2018 e in particolare l’indennità da 83,20 euro che partirà nel 2019 e il differenziale dei costi delle progressioni orizzontali, debbano essere finanziati dai fondi, oppure dalle risorse di bilancio.

Come è noto, la querelle trae origine dalla previsione contenuta nell’articolo 67, comma 7, del Ccnl. Una disposizione certamente erronea, perché estende illegittimamente alla contrattazione nazionale limiti di finanziamento che invece l’articolo 23, comma 2, del d.lgs 75/2017 riserva esclusivamente alla contrattazione decentrata.
Una svista incredibile, evidenziata immediatamente da chi scrive, ma della quale evidentemente chi ha sottoscritto il contratto non deve essersi reso conto.
Eppure, tra la sottoscrizione della preintesa e quella definitiva, vi sarebbe stato tempo e modo per rimediare, semplicemente eliminando quell’articolo 67, comma 7, oppure modificandolo in modo da evitare la conseguenza assurda che la contrattazione nazionale scarichi sui fondi decentrati parte non insignificante del finanziamento degli incrementi.
E’ vero certamente che la situazione risulta adesso molto ingarbugliata, per il manifestarsi dell’ennesimo contrasto interpretativo in seno alla Corte dei conti, non nuova alla produzione di pareri contrastanti che finiscono per impedire una serena gestione amministrativa (si pensi alla questione dei diritti di rogito dei segretari comunali o agli incentivi per le funzioni tecniche). Come noto, sebbene le Sezioni Riunite abbiano certificato il Ccnl senza obiezioni alla dichiarazione congiunta n. 5 che ha enunciato l’intento delle parti stipulanti di leggere l’articolo 67, comma 7, nel senso che debbono essere i bilanci e non il fondo contrattuale a finanziare l’indennità di 83,20 euro e i differenziali delle posizioni di sviluppo, la Sezione Puglia con la deliberazione 99/2018 ha ritenuto la dichiarazione congiunta priva di efficacia e, dunque, messo in guardia le amministrazioni locali dallo scaricare sui bilanci quegli oneri. Non la vede così la Sezione Lombardia, che, dunque, invita la Sezione Autonomie a sbrogliare la matassa. Nel frattempo siamo ad agosto, il contratto è di maggio ed entro giugno si sarebbe dovuto determinare l’entità del fondo ed avviare la contrattazione decentrata. Opera, ovviamente, in questo momento al limite della temerarietà, visti i contrasti interpretativi, per altro sorti, lo si ribadisce, a causa di una lettura totalmente sbagliata dell’articolo 23, comma 2, del d.lgs 75/2017.
E’, però, corretto osservare che in questo caso la Corte dei conti non ha responsabilità particolari. Infatti, la questione interpretativa, a differenza che negli altri casi citati prima, non deriva da interpretazioni “creative” di diritto effettuate tramite i pareri della magistratura contabile, ma discende da una volontà contrattuale.
In questo caso, non si può lagnarsi contro un legislatore frettoloso o distratto, oppure stigmatizzare il mancato coordinamento delle sezioni della magistratura contabile.
L’articolo 67, comma 7, è una clausola contrattuale frutto della prestazione di consenso tra le organizzazioni sindacali e l’Aran.
La responsabilità per la situazione caotica che si è creata non può che essere ricondotta a chi ha formulato la clausola, non si è avveduto delle sue conseguenze, ha sottoscritto la preintesa e non ha inteso correggere l’errore evidentissimo e pubblicamente noto una volta pubblicata la preintesa, se non con lo strumento debolissimo della dichiarazione congiunta.
Non ci voleva un genio per sapere o immaginare che la dichiarazione congiunta si sarebbe prestata certamente a valutazioni di inefficacia da parte del giudice del lavoro o anche del giudice contabile, come è puntualmente avvenuto.
La Sezione Puglia, per quanto additata adesso come la “causa” dello stallo interpretativo, a ben guardare ha proposto un’interpretazione rigorosa, forse anche rigoristica, ma certamente non infondata: la dichiarazione congiunta non vale nulla. Le parti stipulanti con l’articolo 67, comma 7, del contratto hanno espresso una volontà precisa, per quanto erronea e per altro nulla in quanto contrastante con le previsioni normative: avrebbero potuto e dovuto correggere, dunque, il testo del contratto, non limitarsi ad una dichiarazione dal valore pressoché inesistente.
Che debba essere la Corte dei conti, ora, a farsi carico di una svista clamorosa delle parti contraenti è davvero paradossale: una rinuncia all’esercizio dell’autonomia contrattuale delle parti, una sorta di richiesta di soccorso da parte di chi non si sa per quale ragione ha inteso stingersi nel capestro di una norma, l’articolo 23, comma 2, del d,lgs 75/2017, che nulla ha a che vedere con la contrattazione nazionale, e poi, per puntiglio, per frettolosità o non si sa per quali altre ragioni, non ha inteso seguire la via maestra, quella della revisione del testo dell’articolo 67, comma 7. Producendo una dichiarazione congiunta che sicuramente si presta alle valutazioni esposte dalla Sezione Puglia e che, comunque, nemmeno rimedia in pieno all’errore commesso, perché lascia comunque a carico dei fondi e non dei bilanci, come sarebbe corretto, tutti gli aumenti di costo derivanti dai maggiori importi per i vari compensi connessi all’incremento tabellare: straordinari, turni, lavoro festivo e in giornate non lavorative.
Oltre tutto, la dichiarazione congiunta numero 5 è la prova incontrovertibile dell’errore sensazionale commesso dalle parti stipulanti; è, infatti, la diretta ammissione che l’articolo 67, comma 7, è una norma costruita male.
La rinuncia all’esercizio dei poteri connessi all’autonomia contrattuale, demandando così ad un giudice contabile la soluzione ad un problema autoprodotto, con l’ulteriore rinuncia ad adottare strumenti negoziali per porvi rimedio, stonano non poco, specie considerando che l’Aran, una delle parti contrattuali, con i suoi orientamenti applicativi non poche volte ha disorientato le amministrazioni e fornito a servizi ispettivi e Corte dei conti spunti molto opinabili, sui quali costruire poi l’infinito contenzioso sulla contrattazione decentrata.
Sarebbe stato meglio un’assunzione chiara di responsabilità, l’ammissione dell’errore commesso ed una sua soluzione drastica e chiara. La stessa responsabilità nella quale le parti sono incorse nell’aver totalmente mancato l’obiettivo previsto dalla legge di semplificare costituzione e gestione del fondo del salario accessorio.

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