Sul quotidiano La Repubblica del 16 marzo 2019 un articolo di Liana
Milella commenta alcune prime notizie che trapelano sugli interventi
iniziali di riforma del codice dei contratti, che il Governo vorrebbe
introdurre nel cosiddetto “sblocca cantieri”.
L’articolo è intitolato in modo estremamente chiaro: “Ma la
magistratura è in allarme "Così via i controlli preventivi"”.
E’, quindi, opportuno verificare esattamente dove si concentra
l’allarme lanciato, secondo l’articolo, dalla magistratura.
Si legge nell’articolo: “adesso l'asticella dell'affidamento
dei lavori senza controlli sale vertiginosamente in alto, arriva
addirittura al milione di euro. Facile comprendere allora, davanti
alle prime indiscrezioni di fonte giornalistica, la reazione di
sorpresa dell'Anac. Identica a quella di magistrati esperti in
materia di appalti che parlano di «decisioni gravissime», di «un
disastro nella lotta alla legalità», di «porta aperta alla
corruzione». Nella scala delle priorità negative, di certo la
novità che colpisce negativamente più di tutte le altre, e che
viene giudicata letteralmente foriera di «future catastrofi», è
la possibilità dell'affidamento diretto, addirittura «senza obbligo
di motivazione», per servizi e forniture inferiori a 40mila euro, e
per la vori fino a un milione di euro. Come fa notare una
toga, «così cade qualsiasi possibilità di controllo
preventivo». Una decisione che viene
definita - alla luce delle più recenti inchieste sulla corruzione
assolutamente «scioccante». Ovviamente «del tutto inopportuna in
quanto pericolosa». In una parola: così non si favorisce la ripresa
degli appalti, ma quella delle tangenti, delle varianti in corso
d'opera, dei costi che lievitano all'infinito. Purtroppo senza più
alcuna possibilità di controllo. Per parlare dell'Anac, in questo
modo si cancella qualsiasi possibilità di prevenzione,
all'insegna dell'appalto libero”.
Un allarme certamente da non trascurare: eliminando i controlli
preventivi sugli appalti di lavori fino a un milione di euro e su
servizi e forniture fino a 40.000 euro, la stragrande maggioranza
degli appalti pubblici viene sottratta alle necessarie ed
imprescindibili misure di verifica preventiva della legalità
procedurale.
Qual è, però, il vero problema? Molto semplice: l’allarme e lo
stupore per l’eliminazione dei controlli preventivi appare quanto
meno tardivo. Sia ai magistrati indirettamente citati dall’articolo,
sia all’esposizione dei fatti in esso contenta, sfugge,
evidentemente, che i controlli preventivi sugli appalti sono stati
eliminati, almeno con specifico riferimento agli enti locali (un
potenziale di oltre 8.100 committenti) dal 22 anni, a partire dalle
leggi Bassanini, che hanno fatto fuori i sistemi di controllo
preventivo di legittimità esterno su qualsiasi provvedimento
amministrativo.
Si dirà: ma, con la legge anticorruzione e la costituzione dell’Anac
questi controlli sono stati ripristinati. Questa è l’indicazione
generica che spesso si legge sulla stampa generalista. Le norme,
tuttavia, dicono tutt’altro.
Certo, l’articolo 1, comma 16, della legge 190/2012 indica le
procedure di gara come area caratterizza ex lege da un elevato
rischio di corruzione e conflitto di interesse. Ma, nessuna norma
affida all’Anac il potere di svolgere controlli preventivi sugli
appalti. In alcune ipotesi, come nel caso del Mose, solo in presenza
di particolari accordi e protocolli tra amministrazioni appaltanti ed
Anac si è instaurato un complesso sistema di collaborazione affinché
un occhio esterno e competente come quello dell’autorità potesse
aiutare l’amministrazione ad agire nella legalità, scongiurando
influenze interne ed esterne; similare azione è stata intrapresa per
l’Expo 2015.
Si tratta, tuttavia, come detto, di iniziative specifiche e
sostanzialmente isolate. La normativa anticorruzione non ha costruito
un sistema di controllo preventivo sugli appalti.
Scopo della disciplina anticorruzione è un altro: la prevenzione del
rischio. Alla quale si giunge mediante analisi dei fattori che
possano rendere, nello specifico territorio e per la specifica
amministrazione, concretamente aperta la possibilità di influenze
negative.
Il rimedio non è dato da controlli sugli appalti, bensì da piani
triennali di prevenzione della corruzione, che contengono indirizzi
di carattere generale volti ad orientare l’azione gestionale di chi
è chiamato a condurre le procedure in modo da conoscere i fattori di
rischio e rispettare le misure di contenimento connesse.
Qual è il problema complessivo di questo sistema? La creazione di
una quantità torrenziale di piani e di adempimenti materiali
(innumerevoli sono le pubblicazioni1
di atti e dati ai fini della trasparenza e della prevenzione,
previsti tanto dal codice dei contratti – che duplicano adempimenti
già normati dallo stesso codice o da altre norme – quanto dai
piani anticorruzione) e la conseguente genericità e poca capacità
di incidere di questi strumenti.
Scrive l’Anac nel piano nazionale anticorruzione 2015:
“Dall’analisi dei PTPC (piani
triennali di prevenzione della corruzione, nda) è emerso
che gran parte delle amministrazioni ha applicato in modo troppo
meccanico la metodologia presentata nell’allegato 5 del PNA. Con
riferimento alla misurazione e valutazione del livello di esposizione
al rischio, si evidenzia che le indicazioni contenute nel PNA, come
ivi precisato, non sono strettamente vincolanti potendo
l’amministrazione scegliere criteri diversi purché adeguati al
fine. Quindi, fermo restando quanto previsto nel PNA, al fine di
evitare l’identificazione di misure generiche, sarebbe di sicura
utilità considerare per l’analisi del rischio anche
l’individuazione e la comprensione delle cause degli eventi
rischiosi, cioè delle circostanze che favoriscono il verificarsi
dell’evento. Tali cause possono essere, per ogni rischio,
molteplici e combinarsi tra loro. Ad esempio, tenuto naturalmente
conto che gli eventi si verificano in presenza di pressioni volte al
condizionamento improprio della cura dell’interesse generale: a)
mancanza di controlli: in fase di analisi andrà verificato se presso
l’amministrazione siano già stati predisposti – ma soprattutto
efficacemente attuati – strumenti di controllo relativi agli eventi
rischiosi”.
L’Anac stessa, quindi, si è accorta dell’assenza di controlli
nelle amministrazioni e considera questo un fattore di rischio.
Allora, la conclusione da trarre è la seguente: se per prima
l’autorità anticorruzione considera un fattore di rischio
l’assenza di controlli, la ragione, semplicissima, di ciò sta
nella circostanza che appunto la normativa vigente non prevede
affatto in modo obbligatorio controlli preventivi.
Del resto, i fatti di cronaca, al di là del recupero di posizioni
dell’Italia nella graduatoria internazionale dei Paesi in lotta
contro la corruzione, paiono dimostrare che le misure della normativa
discendente dalla legge 190/2012 non hanno praticamente mai
contribuito né a prevenire, né a svelare episodi di corruzione.
Sempre il piano nazionale anticorruzione del 2015 si diffonde proprio
sul rischio connesso agli appalti pubblici, identifica fattori di
rischio e misure di prevenzione. Queste, per l più, sono configurare
come analisi dei processi, linee guida, standard descrittivi,
estensione delle motivazioni, check list.
Non si prevede mai il controllo preventivo come misura
anticorruzione. E non stupisce. Nel corso di tutti gli anni ‘90 ha
prevalso la teoria secondo la quale i controlli preventivi di
legittimità sarebbero sia una lesione dell’autonomia decisionale
delle amministrazione, particolarmente grave per comuni, province e
regioni, vista la garanzia di autonomia disposta per tali enti dalla
Costitizione; inoltre, i controlli preventivi esterni sarebbero
troppo burocratici e causa di allungamento dei tempi.
Per tale ragione, tali controlli sono stati sostituiti con:
-
controlli “collaborativi”: si tratta di attività di definizione preventiva di comportamenti (un po’ come avviene con i piani triennali anticorruzione) e di standard e con la ricognizione, successiva, di eventuali scostamenti per ritarare, mediante indicazioni generali e complessive l’azione amministrativa; quindi sono controlli non puntuali su atti e procedure ma finalizzati a incidere su prassi e procedure;
-
controlli “sulla gestione”: si tratta di controlli successivi non aventi ad oggetto procedure o atti, ma gli esiti, sostanzialmente contabili e finanziari, della gestione;
-
controlli “della gestione”: si tratta di controlli che possono anche essere concomitanti, i cui oggetto è la verifica della capacità di conseguire gli obiettivi operativi programmati annualmente; anche in questo caso non riguardano gli atti o le procedure, ma gli indicatori di misurazione dei risultati.
Negli enti locali, solo nel 2012 sono stati reintrodotti controlli
preventivi di regolarità amministrativo-contabile.
Purtroppo, però, tali controlli sono:
-
interni: cioè svolti da organi della stessa amministrazione e, quindi, non in posizione di terzietà ed autonomia;
-
autoprodotti: sono attestazioni di regolarità autoprodotte dallo stesso soggetto che adotta l’atto; una sorta di autocertificazione della propria correttezza;
-
ad autonomia solo formale: l’autocontrollo interno preventivo potrebbe funzionare a meraviglia, se l’organo che lo esegue fosse davvero e concretamente autonomo e in grado di resistere a qualsiasi pressione politica e lobbistica; il fatto è che nella gran parte dei casi, chi gestisce le procedure di gara ha incarichi operativi precari, attribuiti dagli organi di governo con modalità che dovrebbero essere meritocratiche, ma spesso finiscono per avere attenzione all’adesione politica, soggetti quindi a pressioni formidabili che rendono non di rado cedevole la regolarità alle forzature interne o esterne.
Lo sblocca cantieri che si sta mettendo in pista, quindi, non avrebbe
il vizio di eliminare controlli preventivi, per la semplice ragione
che essi sono stati già eliminati da anni o, in qualche caso,
ripristinati in modo del tutto debole, precario e formale. Come
troppo formale, burocratica ed adempimentale è la disciplina
anticorruzione.
Tra l’altro, la possibilità di affidare forniture e servizi al di
sotto dei 40.000 euro sostanzialmente senza motivazione è già
prevista esattamente dal codice dei contratti vigente, per altro con
una norma fortemente ambigua, che crea ovviamente contrasti
interpretativi e giurisprudenziali.
Visto che le direttive europee lasciano margini per la regolazione
degli appalti sotto la soglia di rilevanza comunitaria, in astratto
non appare impossibile che gli affidamenti possano essere diretti e
senza specifica motivazione: la motivazione potrebbe consistere
appunto esclusivamente in un certo tetto di spesa.
Lo sblocca cantieri se eliminasse ogni ambiguità su questo tema
potrebbe rivelarsi solo utile e proficuo.
Basti dare uno sguardo alle contorsioni cui è stata indotta l’Anac
nel punto 4.3.1. delle Linee Guida 4 in merito agli affidamenti sotto
soglia, quando tratta della motivazione proprio per gli affidamenti
diretti: “In ottemperanza agli obblighi di motivazione del
provvedimento amministrativo sanciti dalla legge 7 agosto 1990 n. 241
e al fine di assicurare la massima trasparenza, la stazione
appaltante motiva in merito alla scelta dell’affidatario, dando
dettagliatamente conto del possesso da parte dell’operatore
economico selezionato dei requisiti richiesti nella determina a
contrarre o nell’atto ad essa equivalente, della rispondenza di
quanto offerto all’interesse pubblico che la stazione appaltante
deve soddisfare, di eventuali caratteristiche migliorative offerte
dall’affidatario, della congruità del prezzo in rapporto alla
qualità della prestazione, nonché del rispetto del principio di
rotazione. A tal fine, la stazione appaltante può ricorrere alla
comparazione dei listini di mercato, di offerte precedenti per
commesse identiche o analoghe o all’analisi dei prezzi praticati ad
altre amministrazioni. In ogni caso, il confronto dei preventivi di
spesa forniti da due o più operatori economici rappresenta una best
practice anche alla luce del principio di concorrenza. Si richiama
quanto previsto ai paragrafi 3.6 e 3.7 in merito all’applicazione
del principio di rotazione”.
Ridurre la motivazione alla circostanza oggettiva di una certa soglia
di spesa sortirebbe l’effetto di eliminare le incertezze di
percorsi motivazionali sostanzialmente impervi, se non impossibili
come quelli indicati dall’Anac: si tratterebbe di una vera
semplificazione attesa da anni.
Certo, i pericoli sono molti. Ma, allora, l’attenzione non dovrebbe
essere distratta dall’allarme sull’eliminazione dei controlli
preventivi, che in realtà da anni ed anni non ci sono più.
L’attenzione dovrebbe essere concentrata sull’opportunità di una
misura che chiarirebbe una volta e per sempre quando agire con gli
affidamenti diretti, senza bizantinismi motivazionali; opportunità,
però, da accompagnare necessariamente con l’abbandono di oltre 20
anni di un atteggiamento contrario ai controlli esterni e preventivi
di legittimità.
Affidamenti diretti fino a 40.000 euro per servizi e forniture e fino
a 1.000.000 di euro per lavoro sottendono molti rischi: frazionamento
artificioso, insufficiente consultazione di prezzi di mercato,
proroghe e riaffidamenti, progettazione minimale. Per scongiurare
questi rischi, pubblicazioni sui portali, piani anticorruzione,
relazioni, report, check list, possono risultare belli o anche
interessanti, ma non sono efficaci: occorre reintrodurre veri
controlli preventivi di legittimità.
L’Anac non basta. Anzi, la sua funzione para-normativa con la
cosiddetta soft law, che come
visto sopra non riesce nemmeno, spesso, a dirimere questioni
operative ed interpretative in modo chiaro, è a sua volta elemento
di complicazione, sicché l’idea, sempre sottesa alla riforma degli
appalti che si intenderebbe attivare, va certamente nella giusta
direzione di razionalizzare e stabilizzare il sistema delle fonti.
Ma, soprattutto, l’Anac è un regolatore, non un controllore.
Quindi, un sistema degli appalti più
“agile” nelle procedure e negli oneri amministrativi (anche
ridurre le infinite e duplicate pubblicazioni di atti e dati non
sarebbe un male; la corretta attuazione del Foia dovrebbe consentire
comunque un accesso generalizzato, anche ad atti non pubblicati), va
benissimo. Ma va accompagnato dall’urgente ripristino di controlli
preventivi di legittimità, adottati da organismi esterni e terzi
rispetto alle amministrazioni appaltatrici.
I controlli preventivi non incidono
sull’autonomia, non la riducono, non la deprimono: sono un sistema
essenziale per garantire procedura per procedura, atto per atto, che
non si deragli dai binari delle regole, sia normative, sia disposte
dai piani anticorruzione.
Il difetto dell’assenza dei
controlli non è, quindi, dello “sblocca cantieri”, perché esso
non ha il torto di eliminare ciò che non v’è più da anni ed
anni; ma ha, semmai, il torto di insistere nel mantenere l’assenza
di efficaci sistemi di controllo, che non possono non essere
garantiti da organismi esterni, terzi, specializzati, non soggetti ad
alcuna pressione o influenza di organi di governo degli enti
controllati.
__________________________
1Basti
citare l’articolo 29, commi 1 e 2, del d.lgs 50/2016:
“1. Tutti gli atti delle amministrazioni
aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori relativi alla
programmazione di lavori, opere, servizi e forniture, nonché alle
procedure per l'affidamento di appalti pubblici di servizi,
forniture, lavori e opere, di concorsi pubblici di progettazione, di
concorsi di idee e di concessioni, compresi quelli tra enti
nell'ambito del settore pubblico di cui all'articolo 5, alla
composizione della commissione giudicatrice e ai curricula dei suoi
componenti, ove non considerati riservati ai sensi dell'articolo 53
ovvero secretati ai sensi dell'articolo 162, devono essere
pubblicati e aggiornati sul profilo del committente, nella sezione
“Amministrazione trasparente” con l'applicazione delle
disposizioni di cui al decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33. Al
fine di consentire l'eventuale proposizione del ricorso ai sensi
dell’articolo 120, comma 2-bis, del codice del processo
amministrativo, sono altresì pubblicati, nei successivi due giorni
dalla data di adozione dei relativi atti, il provvedimento che
determina le esclusioni dalla procedura di affidamento e le
ammissioni all'esito della verifica della documentazione attestante
l'assenza dei motivi di esclusione di cui all'articolo 80,nonché la
sussistenza dei requisiti economico-finanziari e
tecnico-professionali. Entro il medesimo termine di due giorni è
dato avviso ai candidati e concorrenti, con le modalità di cui
all'articolo 5-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82,
recante il Codice dell'amministrazione digitale o strumento analogo
negli altri Stati membri, di detto provvedimento, indicando
l'ufficio o il collegamento informatico ad accesso riservato dove
sono disponibili i relativi atti. Il termine per l'impugnativa di
cui al citato articolo 120, comma 2-bis, decorre dal momento in cui
gli atti di cui al secondo periodo sono resi in concreto
disponibili, corredati di motivazione. Nella stessa sezione sono
pubblicati anche i resoconti della gestione finanziaria dei
contratti al termine della loro esecuzione con le modalità previste
dal decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33. Gli atti di cui al
presente comma recano, prima dell’intestazione o in calce, la data
di pubblicazione sul profilo del committente. Fatti salvi gli atti a
cui si applica l'articolo 73, comma 5, i termini cui sono collegati
gli effetti giuridici della pubblicazione decorrono dalla
pubblicazione sul profilo del committente.
2. Gli atti di cui al comma 1, nel rispetto di
quanto previsto dall’articolo 53, sono, altresì, pubblicati sul
sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e sulla
piattaforma digitale istituita presso l’ANAC, anche tramite i
sistemi informatizzati regionali, di cui al comma 4, e le
piattaforme regionali di e-procurement interconnesse tramite
cooperazione applicativa”.
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