lunedì 9 marzo 2020

Per muoversi per lavoro in tempi di restrizioni? Basta un badge

La situazione è grave, ma evidentemente non è del tutto seria. Il Dopcm 8.3.2020 ha indicato con parole non chiarissime, ma tuttavia aventi un fine evidente, che occorre limitare quanto più possibile gli spostamenti, salvo "comprovate" esigenze di lavoro.

Come si può intendere l'aggettivo "comprovato"? Si direbbe, con una "prova", cioè un elemento prevalentemente documentale, grazie al quale rendere evidente che la persona si sposta per una necessità lavorativa.
Perchè occorre la prova? Perchè evidentemente il datore di lavoro non ha chiuso, non ha (se privato) attivato la Cigo, non ha previsto che il lavoratore svolga le proprie attività da casa in telelavoro o smart working e non lo ha collocato in ferie.
Chi è responsabile, quindi, dell'espletamento dell'attività lavorativa, anzi, della sua organizzazione? Sarebbe facile la risposta: il datore di lavoro.
Eppure, l'idea propugnata da molti e molte amministrazioni sarebbe che sia lo stesso lavoratore a "comprovare" si fa per dire la necessità:
a) con l'autocertificazione;
b) con l'esibizione del badge.
La situazione, si conferma, non è seria. L'autocertificazione può andar bene per il libero professionista o la partita Iva.
Ma, come rilevato sopra, l'organizzazione del lavoro è responsabilità del datore. Dovrebbero essere i datori di lavoro, specie quelli pubblici, a garantire che gli spostamenti siano giustificati da esigenze di lavoro. Non i lavoratori.
Chiunque, di solito, gira con il badge nel portafoglio o nella borsa: che valga come un "lascia passare" quasi indiscriminato è semplicemente senza basi logiche ed organizzative.
Le indicazioni di comprovare le esigenze lavorative con autocertificazioni o col badge sono una vera e propria fuga dall'organizzazione e dalle responsabilità datoriali.

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