Molte amministrazioni pubbliche
hanno ricevuto in questi giorni “diffide” dalle organizzazioni sindacali,
finalizzate alla “corretta attuazione” dell’articolo 87 del d.l. 18/2020.
Particolarmente significativa è
quella della Cisl-Funzione pubblica della Campania, che si sofferma specificamente
sul presunto diritto del lavoratore disposto in lavoro agile a fruire del buono
pasto.
Ecco il passaggio della “diffida”:
“la scrivente O.S., ritiene che la corresponsione dell’indennità
sostitutiva per mancato servizio di mensa debba essere legittimamente
riconosciuto ai lavoratori posti in lavoro agile. A tal proposito la
Scrivente ricorda altresì, che: ai sensi e per gli effetti dell’art. 20 della
Legge 81/2017: “Il lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro
agile ha diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello
complessivamente applicato, in attuazione dei contratti collettivi di cui
all'articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, nei confronti
dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all'interno
dell'azienda”; che le linee guida della Funzione Pubblica in merito al lavoro
agile non precludono la possibilità di elargizione del buono pasto,
ma lo rimandano agli accordi aziendali di secondo livello, cosa che data la
condizione di emergenza non possono essere contrattati, pertanto la legge
n.18/2020, in quanto fonte normativa di rango superiore, decide, e ne preclude
l’attribuzione al solo caso di esenzione dal servizio”.
Gli errori di impostazione ed
interpretazione della “diffida” sono talmente tali, profondi e tanti da far
scadere nel grottesco, una sia pur lecita azione volta al tentativo di tutelare
i lavoratori. Azione che meriterebbe meditate forme di confronto, non
scriteriate “diffide” prive di fondamento.
Andiamo al primo punto, ove si
afferma che occorrerebbe corrispondere l’indennità sostitutiva di mensa ai
lavoratori agili. La “diffida”, in effetti, prima parla dell’indennità
sostitutiva della mensa e poi del buono pasto (come emerge dalle parole in
grassetto), come fossero la stessa cosa o equivalenti.
Peccato che non sia affatto
così. L’indennità sostitutiva della mensa è un elemento della retribuzione,
interamente soggetta a contribuzione fiscale e previdenziale. Il buono pasto
non fa per nulla parte della retribuzione e non è soggetto a contribuzione,
entro determinati limiti di valore.
Dovrebbe essere noto, poi, che
ai sensi dell’articolo 40 del d.lgs 165/2001, spetta alla contrattazione nazionale
collettiva disciplinare il trattamento economico dei dipendenti pubblici.
Quindi, l’indennità sostitutiva della mensa, per spettare in astratto, dovrebbe
essere regolata e prevista dalla contrattazione collettiva nazionale. Un altro
peccato: nel comparto Funzioni locali la contrattazione collettiva nazionale
non prevede per nulla tale indennità sostitutiva.
Gli articoli 45 e 46 del Ccnl 14.9.2000,
ancora vigenti, rispettivamente regolano la mensa aziendale o il buono pasto.
Non l’indennità sostitutiva della mensa.
Andiamo, in secondo luogo, alle
linee guida della Funzione Pubblica in merito al lavoro agile. La Direttiva
3/2017 della Funzione Pubblica, alla questione dedica, nell’ambito del capitolo
dedicato alle relazioni sindacali, le seguenti parole: “eventuali
riflessi sull’attribuzione del buono pasto”.
Il lavoro agile, quindi, per
espressa laconica indicazione delle invocate “direttive” della Funzione
Pubblica considerano la possibilità di attribuire il buono pasto al lavoratore
agile solo in via eventuale. Il che conferma: non esiste alcun diritto al buono
pasto per il lavoratore agile.
Anche perché, si dimentica che,
sia la mensa, sia l’erogazione del buono pasto, a loro volta né sono un diritto
del lavoratore, né un obbligo per il datore. L’articolo 45, comma 1, del Ccnl
14.9.2000 è chiarissimo, sul punto: “Gli enti, in relazione al proprio
assetto organizzativo e compatibilmente con le risorse disponibili, possono
istituire mense di servizio o, in alternativa, secondo le modalità indicate
nell’art. 46, attribuire al personale buoni pasto sostitutivi, previo confronto
con le organizzazioni sindacali”. Gli enti “possono” istituire mensa o erogare
buoni pasto. Non “debbono”.
C’è, poi, un “rinvio” delle
direttive di Palazzo Vidoni ad accordi aziendali di secondo livello? No, E non
potrebbe esservi. Per una ragione semplicissima: stabilire quali siano le
relazioni sindacali e quali le loro materie è competenza che la legge (sempre l’articolo
40 del d.lgs 165/2001) riserva in via esclusiva solo ai contratti collettivi
nazionali di lavoro. Il Ccnl 21.5.2018, all’articolo 7, ove si disciplinano le
materie di contrattazione, quelle che consentono gli “accordi di secondo
livello” non cita per nulla la questione dell’erogazione dei buoni pasto. Dunque,
essa non costituisce materia di contrattazione e di accordi sindacali di
secondo livello: né in periodo emergenziale, né in tempi normali. L’articolo 45
del Ccnl 14.9.2000, per parte sua, come visto parla di “confronto” con le
organizzazioni sindacali: relazione che non produce alcun accordo, come ben
noto.
Sulla presunta possibilità, poi,
che il buono pasto sia dovuto al lavoratore agile in quanto la “legge” 18/2020
(terzo peccato: è un decreto legge, ma non stiamo a sottilizzare) esclude
espressamente l’indennità sostitutiva di mensa ai soli lavoratori esonerati dal
servizio, tale idea è, a sua volta, ovviamente, totalmente priva di qualsiasi
fondamento. Sia perché la legge si riferisce ad un istituto, l’indennità
sostitutiva della mensa, che nell’ambito degli enti locali non esiste. Sia perché
da una previsione speciale che precluda a chi per legge sia esentato dalla
prestazione lavorativa, non si può certo, a contrario, desumere un’indicazione
generale di spettanza dei buoni pasto per ogni altro lavoratore.
Al di là delle facili deduzioni
alle infondate ragioni della “diffida”, si deve osservare che al lavoratore
agile dell’ordinamento locale non spetta il buono pasto, in via generale, per
una ragione assolutamente ovvia: questo “benefit” è evidentemente connesso al
disagio che affronta il lavoratore obbligato a rendere la propria prestazione
in un orario comprensivo della fisiologica pausa nutritiva in un luogo, la sede
di lavoro, diverso da quello della propria abitazione, nel quale non può
trovare quanto necessario per rifocillarsi. Per questo, discipline normative e
contrattuali consentono ai datori di organizzare mense aziendali o di rifondere,
con l’indennità di mensa, la spesa affrontata dal lavoratore costretto a
rifocillarsi nella pausa per il pranzo presso ristoratori, o di fornire i buoni
pasto, sempre al medesimo scopo di alleviare la spesa che il lavoratore
affronta presso ristoratori, invece di mangiare a casa propria.
E’ chiaro che laddove il
lavoratore sia disposto in lavoro agile, viene a mancare il presupposto stesso
del sinallagma che sta alla base della possibilità di fruire della mensa, dell’indennità
sostitutiva di essa o del buono pasto: l’obbligo di prestare l’attività
lavorativa nella sede di lavoro, per un orario che avvolga anche la pausa
pranzo.
Il lavoro agile fa mancare il presupposto
sinallagmatico non solo per ragioni logistiche, ma anche di orario. Lo smart
worker, infatti, non è obbligato a rendere la propria prestazione entro un segmento
definito ed inviolabile orario “dalle… alle…”; può, invece, autonomamente distribuire
la prestazione oraria spezzandola, adeguandola ad esigenze organizzative anche
proprie.
Manca del tutto, quindi, una
ratio perché possa giustificarsi il buono pasto. A meno che, ed è questa la
sola “evenutalità” che, come ha indicato la direttiva 3/2017 della Funzione
pubblica, si può prendere in considerazione, il lavoro agile non sia svolto
solo a casa, ma anche in altre sedi, che rendano non raggiungibile l’abitazione
mentre si renda la prestazione. In questo caso, quindi, gli specifici accordi
individuali (non collettivi decentrati) possono anche permettere la fruizione del
buono pasto.
Ma non è certo il caso specifico
dello smart working dovuto all’emergenza Covid-19, che, come ritenuto da
accorta dottrina (Vito Antonio Bonanno, “Alcune
note sull’organizzazione del lavoro pubblico da parte dei dirigenti in vigenza
dalla normativa di contrasto all’emergenza epidemiologica da COVID-19”)
è piuttosto un “home working”, perché deve essere svolto da casa, allo
scopo di garantire il distanziamento sociale, come misura principale di
contrasto al contagio.
La funzione delle organizzazioni sindacali è fondamentale in ogni fase della riorganizzazione del lavoro. Il loro contributo, prezioso. Le idee ed i suggerimenti irrinunciabili. Le "diffide" proposte da teste di ariete volte solo alla conflittualità non pare possano e debbano avere troppo spazio.
Nel caso la giornata lavorativa in SW venga disciplinata prevedendo un paio d'ore (ad esempio dalle ore 10 alle ore 12) di svolgimento dell'attività presso la sede dell'Ente che riflessi ci sarebbero secondo lei sull'attribuzione del buono pasto?
RispondiEliminaLo smart work non può essere organizzato, in realtà, prevedendo in modo "fisso" ore di presenza in un luogo, piuttosto che in un altro. Dunque, la questione posta si dovrebbe risolvere alla stregua della presa d'atto che se lo sw consente certamente di svolgere la prestazione "anche" nella sede (non solo a casa, per quanto in questa fase emergenziale occorra ridurre al massimo qualsiasi uscita), se si dimostri necessario per la corretta attività dello smart worker. Poichè, allora, sarebbe una sua auto organizzazione, in ogni caso mancherebbe il presupposto per la fruizione del buono pasto. Il quale potrebbe spettare, si ribadisce, in un lavoro agile non emergenziale, per casi di giornate in lavoro agile organizzate necessariamente fuori dall'abitazione (in "trasferta", per capirsi).
RispondiEliminaLa ringrazio per la sua risposta. In verità le due ore di presenza (con relativo turno tra il personale) sono state richieste dal titolare dell'ente per coprire (non per tutto l'orario di servizio) le esigenze indifferibili e che
Eliminarichiedono necessariamente la presenza sul luogo di lavoro. Nel restante orario, giornaliero e settimanale il personale è in lavoro agile a casa. È un po' che cerco di capire come inquadrare queste due ore di servizio presso l'ente e come "giustificare" le altre ore di lavoro della giornata prestate presso il proprio domicilio.