Vero, i banchi monoposto non sono stati ancora consegnati tutti. Vero, quelli con le rotelle sono utilizzati per simulare autoscontri, valgono poche decine di euro e sono stati strapagati. Vero, non c'è chiarezza sui lavoratori "fragili". Vero, come del resto ogni anno, mancano migliaia di docenti e non si riesce ad utilizzare le graduatorie delle altre migliaia e migliaia di precari che affliggono da anni ed anni la scuola. Tutto vero.
Le carenze organizzative per l'avvio dell'anno scolastico ci sono. Non sapremmo dire di quanto maggiori o minori di quelle che tutte le famiglie conoscono.
L'inizio della scuola, del resto, è difficile da gestire. Coglie sempre di sorpresa: arriva l'estate, la scuola finisce e, tutto d'un tratto, arriva settembre e la scuola comincia!
La scuola è la cartina di tornasole delle tremende inefficienze della pubblica amministrazione e la prova che norme come il "decreto semplificazioni" sono pannicelli caldi. Anzi, controproducenti.
Se inizia la scuola e, come sempre, mancano banchi e/o docenti, il candidato indichi quale possa essere la causa, tra le seguenti:
a) destino cinico e baro;
b) mancanza di programmazione per tempo;
c) il ministro di turno
d) il volo degli uccelli a fine estate.
Se la risposta data è la "b)", giusto: in Italia si ha una totale mancanza di abitudine a programmare. La scuola inizia a settembre? Allora, gli acquisti degli arredi, l'effettuazione delle manutenzioni, le operazioni di gestione delle graduatorie dovrebbero essere programmate l'anno prima e gli appalti o i concorsi connessi avviati a inizio anno. Non succede mai.
Il "decreto semplificazioni", scritto da chi non ha chiare le vere disfunzioni, di programmazione nei tempi nemmeno parla e utilizza l'alambicco della formula magica dell'accorciamento dei tempi della gara. Ma se l'appalto dei banchi si avvia in estate o a fine primavera, c'è poco da fare: per l'inizio della scuola non saranno consegnati.
Occorrerebbe, allora, spingere moltissimo per l'anticipazione della programmazione, anche introducendo la valutazione della tempistica e della qualità della programmazione come elemento necessario per la valutazione della produttività degli uffici. Invece, il "decreto semplificazioni" che fa? Consente di avviare le gare "semplificate", anche senza programmazione. Apoteosi.
Se è vero che la scuola parte con i suoi atavici problemi, connessi all'incapacità di programmare acquisti, manutenzioni e graduatorie, tuttavia, i rischi connessi all'epidemia Covid-19 non pare siano connessi di per sè a quanto succede in orario scolastico. Sono tutti, invece, fuori da questo segmento.
Basta girare per le città: ai semafori, assembramenti di persone che si recano al lavoro o a scuola in attesa del verde. Nei bar delle zone circostanti scuole e uffici, assembramenti di studenti in attesa dell'ingresso. Nelle panchine di piazze o parchetti adiacenti le scuole, ragazzi uno sopra l'altro, ad aspettare la campana. Davanti l'entrata della scuola, crochi di ragazzi che il distanziamento sociale non hanno la mentalità di rispettare. Il traffico tornato ad essere tentacolare, i mezzi pubblici nuovamente contenitori ad aria compressa di decine e decine tra studenti e lavoratori.
Se da un lato è mancata, come sempre, la capacità di programmare quanto necessario per l'avvio della scuola, dall'altro le città, i comuni e, quindi i tanto decantati sindaci, da parte loro hanno fallito l'appuntamento con la programmazione di una vita delle città nuova e compatibile con le esigenze del distanziamento sociale.
Le partecipate che si occupano del trasporto pubblico sono a capitale locale: spolpate da anni ed anni di pessima gestione, spesso in deficit, non hanno avuto la forza e i denari per aumentare i mezzi e le corse.
I sindaci, per l'ennesima volta, non hanno avuto la capacità di attuare la strategica competenza, fissata dal d.lgs 267/2000 di determinare gli orari dei servizi pubblici, anche differenziandoli tra loro. Molti hanno elevato strazianti lai al cielo contro lo smart working, ma il traffico è tornato quasi ai livelli intollerabili dello scorso febbraio, gli orari di ingresso negli uffici e delle scuole tutti come sempre compressi in una fascia ristrettissima.
Il problema del distanziamento sociale non è nelle scuole: è alle fermate dei bus, ai semafori, nei bar, nelle piazze, davanti agli ingressi.
I comuni non hanno mostrato alcuna capacità di immaginare una programmazione diversa. E' perfettamente noto che se un genitore deve entrare in ufficio alle 8 e deve accompagnare il figlio a scuola, che inizia anch'essa alle 8, si recherà a scuola almeno 15 minuti prima. Vi è una fascia oraria di circa tre quarti d'ora, nel corso cella quale i ragazzi aspettano il suono della campana. Non sanno dove andare e, quindi, nascono spontanei gli assembramenti in parte descritti prima.
Una programmazione, una capacità di visione avrebbe consigliato la più banale e scontata delle idee: far aprire le scuole e consentire gli ingressi, ordinati e governabili, prima dell'orario canonico. Allo scopo, si sarebbero potuti attivare appalti di servizi con cooperative sociali o soggetti del terzo settore, o anche avvalersi del volontariato e della protezione civile.
In questo modo, si sarebbero potuti avviare lavori "nuovi" (ma, in realtà quest'esigenza delle porte delle scuole aperte ben prima della campanella si avverte da sempre), nuove fonti di reddito, nuova concezione dei tempi e degli spazi delle città.
Invece, nulla di tutto ciò. Tutto continua, come sempre. La vera vittoria del virus non sarà la sua recrudescenza, perchè comunque alla fine la responsabilità delle persone e la medicina lo sconfiggeranno sul piano clinico. La vera vittoria del virus sarà essersi diffuso, aver svelato (non ci voleva molto) i concreti mali amministrativi e sociali, senza che nulla sia cambiato davvero.
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