martedì 20 ottobre 2020

Appalti: le procedure ordinarie sono sempre possibili e il procedimento di gara non si avvia con la determina a contrattare. Non è più tempo per le interpretazioni speciose.

 E' veramente stucchevole continuare ad osservare prove di interpretazioni speciose, che dicono e contraddicono, creando solo confusione e negando l'evidenza.

La cosa da mesi si ripete per gli appalti. Da un lato, si continua a forzare la mano, senza appiglio alcuno, per considerare le procedure in deroga previste dal d.l. 76/2020 come obbligatorie, quando non lo sono affatto; dall'altro, si insiste per considerare che i termini per la conclusione delle procedure di gara decorrerebbero dall'adozione della determinazione a contrattare.

In quanto al primo tema, quello della presunta obbligatorietà del ricorso alle procedure in deroga, l'ultima delle interpretazioni contraddittorie ed involute è data dal Ministero delle infrastrutture, col parere 24 settembre 2020, n. 735. Ecco come affronta la questione la nota ministeriale: "Con riferimento a quanto richiesto si rappresenta che il decreto semplificazioni, convertito con legge n. 120/2020 prescrive l’applicazione delle procedure enucleate all’art. 1, comma 2 del richiamato decreto. Non si tratta di una disciplina facoltativa; le nuove procedure sostituiscono infatti, fino al 31 dicembre 2021, quelle contenute all’art. 36 del d.lgs. 50/2016. Si tratta di procedure di affidamento più snelle e “semplificate”, introdotte nell’ottica di rilanciare gli investimenti ed accelerare gli affidamenti pubblici. Tenendo conto di tale finalità, cui è sotteso il nuovo assetto normativo in materia di contratti pubblici, si ritiene che non sia comunque precluso il ricorso alle procedure ordinarie, in conformità ai principi di cui all’art. 30 del d.lgs. 50/2016, a condizione che tale possibilità non sia utilizzata per finalità dilatorie. Gli affidamenti dovranno avvenire comunque nel rispetto dei tempi previsti dal nuovo decreto e potranno essere utilizzate le semplificazioni procedimentali introdotte. In tal caso, si consiglia di dar conto di tale scelta mediante motivazione".

Una risposta priva di qualsiasi pregio giuridico e tecnico. In primo luogo, come si nota, per un verso il Mit ritiene che la deroga "non sia una disciplina facoltativa". Dunque, si dovrebbe concludere che sia obbligatoria. Ma, scatta l'inevitabile contraddizione: "si ritiene che non sia comunque precluso il ricorso alle procedure ordinarie".

Eh, no. Troppo facile, troppo comodo. O si prende una posizione, la di dimostra e si spiega perchè prevale su una possibile soluzione diversa. Oppure, si prende atto che la posizione presa è erronea.

Affermare che la disciplina in deroga non sia facoltativa è del tutto erroneo e non sostenibile. La norma derogata continua a vigere, altrimenti sarebbe abrogata. Ma la norma che deroga, non abroga: fissa una disciplina diversa, senza intaccare la permanenza della norma derogata.

Essa, quindi, rimane perfettamente vigente ed applicabile. Il Mit, nonostante il fumo ed i giri di parole, non può che ammetterlo, pur giungendo a questa conclusione per vie traverse ed in modo erroneo: non  che il ricorso alle procedure ordinare "non sia comunque precluso"; esso è certamente possibile, perchè dette procedure sono poste a garanzie di concorrenza, trasparenza, pubblicità ed ogni altro principio enunciato dall'articolo 30 del codice dei contratti (non derogato da nulla) e desumibile dalla disciplina europea, dalla Costituzione, dalla legge 241/1990 e dalla disciplina anticorruzione.

Non pago di queste contraddizioni, il parere si avventura nella contraddizione avvitata carpiata. Infatti, dopo aver dovuto necessariamente concedere che si può perfettamente fare ricorso alle procedure ordinarie, poi afferma che esse:

1)  non debbono avere fini dilatori;

2) debbano rispettare i tempi previsti dal decreto ed utilizzare le semplificazioni procedimentali.

Si tratta di indicazioni manifestamente paradossali ed erronee. In primo luogo, non può farsi a meno di sottolineare che se le procedure ordinarie potessero essere considerate come spunto per dare corso a fini dilatori, allora il Legislatore le dovrebbe radicalmente abrogare, senza por tempo di mezzo.

Ma, ovviamente ciò è semplicemente assurdo. Le procedure ordinarie hanno una specifica scansione, dettata da norme precise, che richiedono tempi specifici. Non è pensabile che dietro questa regolamentazione alberghino fini dilatori, nè che l'utilizzo di procedure perfettamente legittime e appunto "ordinarie" possa essere tacciato come afflitto da intenti dilatori, a meno che qualcuno non riesca a dimostrarlo (come? E chi può saperlo?).

In secondo luogo, se si utilizzano procedure ordinarie, è ben evidente che non possono pretendersi i tempi disposti dalle norme in deroga, nè le semplificazioni procedurali sempre ivi previste. La tempistica speciale e la semplificazione procedurale vale per le procedure in deroga; se le procedure "ordinarie" dovessero essere gestite in modo da rispettare tempi e modalità proprie di quelle in deroga, allora non sarebbero procedure ordinarie, ma in deroga. Ma, un minimo di interpretazione secondo banalissima logica di base aristotelica, si potrebbe pretendere?

Le procedure ordinarie, in quanto tali, non possono che seguire modi e tempi ordinari e non in deroga. Questo non può che essere un punto fermo.

Diverso è affermare che il ricorso alle procedure ordinarie è, in questa fase, opportuno solo laddove il cronoprogramma (salvo ricorsi) adottato dimostri la fattibilità di una conclusione delle procedure di gara entro termini non troppo dissimili da quelli previsti (molto a casaccio) dal d.l. 76/2020.

Andiamo, poi, al tema del dies a quo del computo del termine. Sul punto ci si è già espressi più volte, da ultimo qui.

Ma, molta dottrina, Anci, Ance, insistono nel ritenere che il procedimento si avvii dalla determinazione a contrattare.

Occorre, quindi, tornare a sottolineare che tale visione è erronea, perchè in marcato contrasto con la chiarissima previsione dell'articolo 32, comma 2 (non derogato) del d.lgs 50/2016: "Prima dell’avvio delle procedure di affidamento dei contratti pubblici, le stazioni appaltanti, in conformità ai propri ordinamenti, decretano o determinano di contrarre". La norma appare scritta a prova di qualsiasi speciosità cavillosa: la determina a contrattare è anteposta all'avvio della procedura di gara.

Si tratta di una disposizione talmente chiara e inconfutabile, che ha ricevuto interpretazioni in suo totale allineamento.

Nel precedente regime normativo, era l'articolo 11, comma 1, del d.lgs 163/2006 a proporre il medesimo contenuto normativo visto prima: "Prima dell'avvio delle procedure di affidamento dei contratti pubblici, le amministrazioni aggiudicatrici decretano o determinano di contrarre". E' allora, utile riferirsi non solo alla giurisprudenza granitica (1), secondo la quale la determina a contrattare è atto a valenza esclusivamente interna, che non avvia un bel nulla, ma anche a quanto ne scrive l'Anac, con le proprie FAQ:

"D1. Che cosa si intende per determina o decreto a contrarre?

La determina a contrarre è l’atto, di spettanza dirigenziale, con il quale la stazione appaltante, pubblica amministrazione, manifesta la propria volontà di stipulare un contratto.


D2. Quali sono i riferimenti normativi a base della determina a contrarre?

L’articolo 11 del decreto legislativo n. 163/06 stabilisce, al secondo comma, che “prima dell’avvio delle procedure di affidamento dei contratti pubblici, le amministrazioni pubbliche decretano o determinano di contrarre, in conformità ai propri ordinamenti …”.

Per gli enti locali, la determinazione a contrarre è disciplinata dall’articolo 192  del Testo Unico degli Enti locali di cui al decreto legislativo n. 267/2000 che stabilisce il contenuto minimo essenziale (la determina a contrarre era stata già disciplinata dalla legge n. 142/1990 dove si usava il termine di “deliberazione” a contrattare).

Inoltre la determina a contrarre deve essere richiamata nel bando di gara (l’articolo 55, comma 3, del Codice dei contratti pubblici dispone che se ne “fa menzione”).

D3. Quale è la natura giuridica della determina a contrarre?

È un atto amministrativo di tipo programmatico con efficacia interna, rilevante solo ai fini del procedimento formativo della volontà del committente pubblico.

D4. La determina a contrarre produce effetti verso terzi?

La determina a contrarre ha come unico destinatario l’organo rappresentativo, legittimato ad esprimere all’esterno la volontà dell’Ente.

D5. Quali differenze sussistono tra la determina a contrattare ed il bando di gara?

Mentre la determina a contrarre ha rilevanza meramente interna, il bando di gara è atto amministrativo di natura generale a rilevanza esterna, con il quale la stazione appaltante rende conoscibile la propria determinazione di addivenire alla conclusione del contratto".

Non parrebbe vi sia da aggiungere altro. Se non auspicare che l'insistenza interpretativa su altri erronei approdi non incrementi la confusione già ampia, complicando senza alcuna ragione ulteriormente la vita degli operatori.


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(1) Tar Basilicata, 13 gennaio 2020, n. 40: "Tale atto non ha una efficacia propriamente provvedimentale, non producendo effetti giuridici autonomi verso terzi quale atto presupposto suscettibile di autonoma impugnazione. In quanto precedente l’avvio della procedura di affidamento, lo stesso ha, invece, natura più propriamente “endoprocedimentale” e, quindi, di regola è inidoneo a costituire in capo a terzi posizioni di interesse qualificato. La sua funzione, infatti, attiene essenzialmente alla corretta assunzione di impegni di spesa da parte dell'amministrazione nell'ambito del controllo e della gestione delle risorse finanziarie dell'ente pubblico, esaurendo gli effetti all’interno dell'amministrazione stessa (T.A.R. Campania, sez. V, 5 settembre 2018, n. 5380; T.A.R. Abruzzo, 26 maggio 2014 n. 485; T.A.R. TrentinoAlto Adige, 16 febbraio 2017 n. 53; T.A.R. Veneto, sez. III, 17 luglio 2017, n. 680; T.A.R. Campania, sez. I, 7marzo 2012, n.1160)".

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