Su Il Fatto Quotidiano on line l'intervista a Gabriele Grea evidenzia l'uovo di Colombo:
Ineccepibile. Ma, c'era bisogno della pandemia per capirlo?
Regolare gli orari e la vita delle città in modo diverso, più umano e sostenibile è un potere/dovere al quale da anni ed anni i sindaci, narrati come bravi e attenti ai bisogni delle comunità (a fronte di disastri economici, finanziari ed organizzativi diffusissimi), mancano da sempre.
Si è accettato supinamente il mantra secondo il quale la città è viva ed attiva, "piena di strade e di negozi e di vetrine piene di luce, con tanta gente che lavora, con tanta gente che produce", se c'è l'ingorgo, se tutti affollano le vie, le banchine dei bus e delle metropolitane, se sgomitano al bar per il caffè mattutino, se si mettono in coda all'ingresso dell'unica sede di lavoro, concentrata in limitate zone della città, mentre le periferie languono.
Si è accettato che il trasporto pubblico fosse organizzato a misura di questo caos. Senza mai un potenziamento efficace nelle ore di punta, ma con un'attenzione spasmodica alla percentuale di riempimento dei mezzi. Si è accettato che in alcune ore della giornata i mezzi fossero pieni all'inverosimile, mentre in altri quasi deserti, per garantire medie di copertura finanziariamente sostenibili.
Non si è mai preso in considerazione la necessità che un servizio pubblico, come tale, dovrebbe garantire mezzi in quantità e con percorsi tali da evitare sempre, non solo in tempi di pandemia, lo sconcio del sovraffollamento.
Teorie economiciste hanno prevalso, per altro applicate malissimo, perchè comunque le aziende di trasporto sono sempre in deficit, al collasso, male amministrate in quanto sempre preda degli incarichi politicizzati, con attenzione maggiore a tessere ed assunzioni, che all'efficacia del servizio.
Il trasporto pubblico locale è competenza delle regioni e dei comuni: se è ridotto, da sempre, ad un orrendo serpentone che tra sudori, afrori, ritardi, ammassamenti, trasporta in malo modo le persone al lavoro è perchè da decenni si è accettato questo modo di agire. Ora il Covid-19 presenta il conto.
Lo Stato, comunque, nel tempo, ci ha messo del suo, anche in questo caso tagliando i fondi e prevedendo norme assurde e contraddittorie sull'Iva, che negli scorsi 10 anni hanno contribuito a pregiudicare i bilanci delle aziende di trasporto.
Certo, ormai è tardi. E' impensabile effettuare ora gli investimenti mai fatti negli anni, per moltiplicare corse e mezzi ed assumere autisti. E' impensabile che da subito i bilanci degli enti territoriali dovrebbero concentrarsi di più sul sostegno pubblico ai servizi, invece che ad incarichi ad addetti stampa, staff, contributi ad associazioni per iniziative improbabili e inutili ma nell'illusione che portino voti.
Ma, almeno la ridefinizione degli orari, lo scaglionamento degli ingressi, l'allentamento della tensione sui trasporti, si possono ottenere.
Ed è altrettanto necessario smetterla con i piagnistei e gli isterismi per difendere le rendite di posizione dei baretti e delle aziende che hanno creato mostruose torri e centri direzionali contro il lavoro agile, misura necessaria esattamente quanto quella sulla differenziazione degli orari, per rendere le città più sane e vivibili.
Laddove, per la PA, lo smart working rallenti le pratiche, si provveda a sanzionare pesantemente le amministrazioni che non hanno investito in digitalizzazione e i dipendenti che si trincerano dietro questa modalità organizzativa, per rallentare il lavoro.
Non era più possibile da anni, da sempre, organizzare le città così come sono organizzate. E' tempo di comprenderlo una volta e per sempre.
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