domenica 6 dicembre 2020

Nuova contrattazione ed elemento perequativo: nemmeno a Palazzo Vidoni sanno a cosa serva. La prova dell'eccessiva complessità delle norme

In una lettera aperta inviata a Il Messaggero del 6.12.2020, il Ministro della Funzione Pubblica, Fabiana Dadone, illustra la strategia del Governo, finalizzata alla nuova stagione della contrattazione collettiva.
Tra le molte belle parole e dichiarazioni di intenti, non si può non notare quella che riguarda l'elemento perequativo:


L'aggettivo "perequativo" deve essere piaciuto molto e ha trascinato il Ministro, ed evidentemente chi lo assiste nella lettura ed interpretazione delle norme, a ritenere che si trattasse appunto di una misura per perequare tra i salari più bassi e quelli più elevati.
Però, le cose non stanno così. Basta leggere, ad esempio, l'articolo 66 del Ccnl del comparto Funzioni Locali 21.5.2020: "Tenuto conto degli effetti degli incrementi retributivi di cui all’art. 64 sul personale già destinatario delle misure di cui all’art. 1, comma 12, legge 23 dicembre 2014, n. 190, nonché del maggiore impatto sui livelli retributivi più bassi delle misure di contenimento della dinamica retributiva, è riconosciuto al personale individuato nell’allegata Tabella D un elemento perequativo un tantum [...]".
Sarebbe bastato leggere questa norma ed approfondirla solo un po', accedendo all'articolo 1, comma 12, della legge 190/2014, per capire esattamente qual è il vero scopo dell'elemento perequativo. Accediamo, quindi, all'articolo 1, comma 12, della legge 190/2014: "Il comma 1-bis dell'articolo 13 del testo unico delle  imposte sui redditi, di cui al decreto del  Presidente  della  Repubblica  22 dicembre 1986, n. 917, e' sostituito dal seguente:  «1-bis. Qualora l'imposta lorda determinata sui redditi di cui agli articoli 49, con esclusione di quelli indicati nel comma  2, lettera a), e 50, comma 1, lettere a), b), c), c-bis), d), h-bis) e  l),  sia di importo superiore a quello della detrazione spettante ai sensi del comma  1,  compete  un  credito  rapportato  al  periodo  di   lavoro nell'anno, che non concorre alla formazione del reddito,  di  importo pari a: 
    1) 960 euro, se il reddito complessivo non e' superiore a  24.000 euro; 
    2) 960 euro, se il reddito complessivo e' superiore a 24.000 euro ma non a 26.000 euro. Il credito spetta per la  parte  corrispondente al rapporto tra l'importo  di  26.000  euro,  diminuito  del  reddito complessivo, e l'importo di 2.000 euro»".
Si tratta dei famosi 80 euro del Governo Renzi. Allora, scopriamo che l'elemento perequativo con la perequazione tra redditi bassi ed alti non ha nulla a che vedere.
Si è trattato di uno strumento finalizzato a non far perdere ai redditi più bassi dei vari comparti della PA il beneficio degli 80 euro mensili, che si sarebbe perduto una volta superate le soglie previste dalla norma.
Una maggiore attenzione alle norme, ai loro rinvii ed alle loro finalità, specie da parte dei rappresentanti del governo, appare doverosa.
Ma, questo piccolo svarione di Palazzo Vidoni attesta e comprova qualcosa che si conosce ma non si vuole ammettere: i problemi della "burocrazia" derivano, in via preponderante, dalla complessità delle norme, che si contorcono, si avviluppano, si sovrappongono, si richiamano tra esse continuamente, così da rendere difficile la loro corretta ricostruzione ed interpretazione e far perdere presto memoria dei loro scopi.
In questo errore vi è incorso Palazzo Vidoni, in una lettera ad un giornale: errore del tutto veniale. Ma, ogni giorno, migliaia e migliaia di amministrazioni e funzionari debbono affrontare la battaglia quotidiana con questo modo di redigere le norme, che produce il risultato dell'ingabbiamento delle decisioni e dell'impossibilità di certezza del diritto e certezza dei tempi operativi.




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