sabato 19 dicembre 2020

Nuovo CCNL area dirigenza Funzioni Locali: il vulnus del potere di avocazione dei segretari comunali









Sul tema ci si è ripetutamente espressi in precedenti interventi. Li riproponiamo. Il Ccnl ha molti pregi, ma il difetto dell'introduzione di clausole manifestamente nulle ed illogiche non può non essere rilevato. 

Ccnl dirigenti locali: nullo l'atto di indirizzo in merito ai poteri dei segretari comunali

Nullo l’atto di indirizzo per il contratto collettivo nazionale di lavoro della dirigenza del comparto Funzioni locali, nella parte che assegna alla contrattazione la funzione di specificare le funzioni di sovrintendenza dei segretari comunali.

L’atto di indirizzo assegna all’Aran il compito di definire i contenuti delle attività di sovraintendenza e coordinamento, previsti dall’articolo 97, comma 4, del d.lgs 267/2000 ed elenca, ai fini della graduazione della retribuzione di posizione dei segretari comunali, alcune attività considerate specifiche, tra cui “l’esercizio del potere di avocazione degli atti dei dirigenti in caso di inadempienza e ogni altra funzione di direzione richiamata nei regolamenti di organizzazione”.
La previsione si pone in contrasto insanabile con una serie di norme e principi. In primo luogo, la direttiva vìola l’articolo 40, comma 1, secondo periodo, del d.lgs 165/2001: “sono escluse dalla contrattazione collettiva le materie attinenti all'organizzazione degli uffici … quelle afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli articoli 5, comma 2, 16 e 17, la materia del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali….”. Stabilire che ai segretari comunali spetti un potere di avocazione degli atti dei dirigenti significa esattamente intromettersi nella materia dell’organizzazione degli uffici e delle prerogative dirigenziali. Infatti, il potere di avocazione è strettamente connesso alla superiorità gerarchica, che è un metodo di organizzazione. Ed è evidente che considerare gli atti dei dirigenti come avocabili dal segretario da un lato incide sulle prerogative dirigenziali, dall’altro finisce per rendere detti atti come non definitivi, quando invece lo sono per unanime visione giurisprudenziale.
Ma, tutto questo alla contrattazione collettiva, come visto, non è consentito, perché è il d.lgs 165/2001 ad impedire che la fonte contrattuale possa ingerirsi in competenze che ai sensi dell’articolo 97, comma 1, della Costituzione sono soggette a riserva di legge. Per altro, la giurisprudenza ha da tempo evidenziato a più riprese che il segretario non può avocare gli atti dei dirigenti o sostituirsi ad essi. Ad esempio, il Tar Toscana, Sezione III, con sentenza 5 marzo 2007, n. 272, ha considerato illegittimo un accordo urbanistico sottoscritto dal segretario comunale (e dal direttore generale), perché il solo soggetto dotato per legge di impegnare validamente l’ente è il dirigente competente. Dal canto suo la Cassazione, Sezione lavoro, con sentenza 12 giugno 2007, n. 13708 ha negato qualsiasi potere di avocazione degli atti di competenza dirigenziale da parte del segretario comunale, osservando che “l’attribuzione legislativaal segretario comunale di compiti di sovrintendenza di coordinamento dell’attività del dirigente, non può essere intesa, per ragioni di coerenza sistematica, nel senso che tali compiti implichino un potere di sostituzione del dirigente”. Infatti, se si attribuisse al segretario un potere di avocazione, si derogherebbe alle attribuzioni dei dirigente, in violazione della regola di diretta responsabilità del dirigente rispetto all’atto di esercizio di una funzione specificamente attribuitagli.
In particolare, l’avocazione contrasta con la previsione contenuta nell’articolo 107, comma 4, del d.lgs 267/2000, ai sensi del quale le competenze dei dirigenti sono esclusive e possono essere derogate solo per via legislativa e non certo contrattuale. Né la direttiva può attribuire ai regolamenti dell’ente il compito di attribuire ai segretari “funzioni di direzione” ulteriori e diverse da quelle esercitabili per legge che altro non sono se non funzioni “suppletive”: i segretari comunali possono essere, cioè, chiamati (in particolare negli enti di piccole dimensioni) a svolgere compiti di diretta direzione di strutture amministrative per rimediare temporaneamente alla mancanza di un dirigente o (negli enti privi di dirigenza) di un funzionario apicale.
L’atto di indirizzo conferma l’abitudine dei comitati di settore di tentare di introdurre per via contrattuale norme che, però, sono precluse alla fonte pattizia. In particolare, i sindaci da tempo ambiscono ad attribuire ai segretari compiti di avocazione, sia per blandire chi si lasci affascinare da funzioni di superiorità gerarchica pur inesistenti, sia per pretendere, poi, dai segretari ingerenze quali longa manus del sindaco e degli assessori, così da poter violare, il principio di separazione delle competenze politiche da quelle gestionali, per mano di un soggetto comunque non ascrivibile alla politica, per quanto direttamente incaricato dal sindaco, quale il segretario.

 

 

Ccnl dirigenza locale: la nullità dell'attribuzione del potere di avocazione al segretario comunale

https://luigioliveri.blogspot.com/2020/07/ccnl-dirigenza-locale-la-nullita.html

 

Sin dall'aprile 2019 chi scrive evidenzia la nullità delle disposizioni del Ccnl, area dirigenza, del comparto Funzioni Locali, ove attribuisce ai segretari comunali un inesistente potere di avocazione dei provvedimenti dei dirigenti.

Si è preferito insistere su una strada, sbagliatissima e gravemente lesiva dell'ordinamento, di cieca applicazione di un'indicazione del Comitato di settore.

Un segnale molto negativo. Compito degli amministratori pubblici è, certo, quello di applicare ed attuare l'indirizzo politico. Ma, ciò, deve avvenire non mediante la mera compiacenza e l'attuazione purchè sia, prescindendo dalla valutazione dello strumento e della sua legittimità.

Sarebbe stato onere specifico dell'Aran, come si rilevò a suo tempo negli scritti riportati qui sotto, evidenziare al Comitato di settore le illiceità e illegittimità dell'indirizzo, nonchè la nullità sottesa a questa clausola.

E' un segnale pessimo, in quanto proprio l'Aran dà la sensazione che il dirigente "bravo" è colui che segua pedissequamente "ordini". Una sorta di "monito" proprio alla dirigenza e, in particolare, ai segretari comunali, invitati indirettamente ad agire sempre e solo attuando le indicazioni politiche, senza alcuna valutazione tecnica sulla praticabilità giuridica di tali indicazioni e, quindi, con totale abdicazione alla funzione tecnica propria del ruolo.

Quali siano l'efficienza, l'efficacia, l'economicità, la managerialità derivanti dalla sottoscrizione di clausole contrattuali velleitarie, riflusso di una riforma, quella Madia, mai fortunatamente entrata in vigore, frutto di direttive illegittime, in pieno ed evidentissimo contrasto con la legge e, in una sola parola, nulle, è tutto da scoprire.

Come da scoprire sarà la responsabilità per i mille contenziosi che certamente si apriranno proprio a causa di questa sciagurata previsione contrattuale. Nonostante la sua evidente nullità, infatti, non saranno certamente pochi gli organi di governo dei comuni che ne pretenderanno l'attuazione, sia in accordo con segretari comunali convinti che l'aplomb del ruolo stia nel firmare ed avocare, sia in accordo, all'opposto, con vertici organizzativi di fiducia, intenti a mettere nell'angolo quel segretario consapevole, invece, che coordinare nel rispetto delle competenze esclusive di ciascuno è funzione molto, ma molto diversa, meno facile e meno comoda.

Il contenzioso è dietro l'angolo, perchè avocazioni sulla base di una fonte nulla non potranno non suscitare reazioni da parte dell'avocato o del destinatario del provvedimento amministrativo che possa eccepire l'incompetenza. Del resto, l'avocazione per "inadempimento" dovrebbe comunque sempre accompagnarsi a procedimenti disciplinari e di accertamento delle connesse responsabilità. Per altro verso, un contenzioso potrebbe essere aperto dai segretari chiamati ad "avocare" sempre e comunque dal tacito accordo politica-dirigenza che voglia scaricare sul parafulmine l'adozione delle scelte più "controverse", per altro pretendendo che in questi casi non si dia nemmeno corso all'azione disciplinare.

Una Caporetto del diritto, dell'organizzazione, della distinzione delle competenze della legge e dei contratti, con una compiacenza per l'esondazione della contrattazione verso una funzione che non le appartiene per nulla: stabilire regole sull'organizzazione e sulle competenze.

 

 

 

blogliveri - 5 aprile 2019

venerdì 5 aprile 2019

Ccnl dirigenti locali: nullo l'atto di indirizzo in merito ai poteri dei segretari comunali

Nullo l’atto di indirizzo per il contratto collettivo nazionale di lavoro della dirigenza del comparto Funzioni locali, nella parte che assegna alla contrattazione la funzione di specificare le funzioni di sovrintendenza dei segretari comunali.

L’atto di indirizzo assegna all’Aran il compito di definire i contenuti delle attività di sovraintendenza e coordinamento, previsti dall’articolo 97, comma 4, del d.lgs 267/2000 ed elenca, ai fini della graduazione della retribuzione di posizione dei segretari comunali, alcune attività considerate specifiche, tra cui “l’esercizio del potere di avocazione degli atti dei dirigenti in caso di inadempienza e ogni altra funzione di direzione richiamata nei regolamenti di organizzazione”.

La previsione si pone in contrasto insanabile con una serie di norme e principi. In primo luogo, la direttiva vìola l’articolo 40, comma 1, secondo periodo, del d.lgs 165/2001: “sono escluse dalla contrattazione collettiva le materie attinenti all'organizzazione degli uffici … quelle afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli articoli 5, comma 2, 16 e 17, la materia del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali….”. Stabilire che ai segretari comunali spetti un potere di avocazione degli atti dei dirigenti significa esattamente intromettersi nella materia dell’organizzazione degli uffici e delle prerogative dirigenziali. Infatti, il potere di avocazione è strettamente connesso alla superiorità gerarchica, che è un metodo di organizzazione. Ed è evidente che considerare gli atti dei dirigenti come avocabili dal segretario da un lato incide sulle prerogative dirigenziali, dall’altro finisce per rendere detti atti come non definitivi, quando invece lo sono per unanime visione giurisprudenziale.

Ma, tutto questo alla contrattazione collettiva, come visto, non è consentito, perché è il d.lgs 165/2001 ad impedire che la fonte contrattuale possa ingerirsi in competenze che ai sensi dell’articolo 97, comma 1, della Costituzione sono soggette a riserva di legge. Per altro, la giurisprudenza ha da tempo evidenziato a più riprese che il segretario non può avocare gli atti dei dirigenti o sostituirsi ad essi. Ad esempio, il Tar Toscana, Sezione III, con sentenza 5 marzo 2007, n. 272, ha considerato illegittimo un accordo urbanistico sottoscritto dal segretario comunale (e dal direttore generale), perché il solo soggetto dotato per legge di impegnare validamente l’ente è il dirigente competente. Dal canto suo la Cassazione, Sezione lavoro, con sentenza 12 giugno 2007, n. 13708 ha negato qualsiasi potere di avocazione degli atti di competenza dirigenziale da parte del segretario comunale, osservando che “l’attribuzione legislativa al segretario comunale di compiti di sovrintendenza di coordinamento dell’attività del dirigente, non può essere intesa, per ragioni di coerenza sistematica, nel senso che tali compiti implichino un potere di sostituzione del dirigente”. Infatti, se si attribuisse al segretario un potere di avocazione, si derogherebbe alle attribuzioni dei dirigente, in violazione della regola di diretta responsabilità del dirigente rispetto all’atto di esercizio di una funzione specificamente attribuitagli.

In particolare, l’avocazione contrasta con la previsione contenuta nell’articolo 107, comma 4, del d.lgs 267/2000, ai sensi del quale le competenze dei dirigenti sono esclusive e possono essere derogate solo per via legislativa e non certo contrattuale. Né la direttiva può attribuire ai regolamenti dell’ente il compito di attribuire ai segretari “funzioni di direzione” ulteriori e diverse da quelle esercitabili per legge che altro non sono se non funzioni “suppletive”: i segretari comunali possono essere, cioè, chiamati (in particolare negli enti di piccole dimensioni) a svolgere compiti di diretta direzione di strutture amministrative per rimediare temporaneamente alla mancanza di un dirigente o (negli enti privi di dirigenza) di un funzionario apicale.

L’atto di indirizzo conferma l’abitudine dei comitati di settore di tentare di introdurre per via contrattuale norme che, però, sono precluse alla fonte pattizia. In particolare, i sindaci da tempo ambiscono ad attribuire ai segretari compiti di avocazione, sia per blandire chi si lasci affascinare da funzioni di superiorità gerarchica pur inesistenti, sia per pretendere, poi, dai segretari ingerenze quali longa manus del sindaco e degli assessori, così da poter violare, il principio di separazione delle competenze politiche da quelle gestionali, per mano di un soggetto comunque non ascrivibile alla politica, per quanto direttamente incaricato dal sindaco, quale il segretario.

 

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Italia Oggi

7 maggio 2019

Pagina 40

 

Palazzo Vidoni ha dato l' ok all' atto di indirizzo per il Ccnl nonostante una norma controversa.

I dirigenti finiscono sotto tutela

I segretari avocheranno gli atti in caso di inadempimento

 

I segretari comunali potranno avocare gli atti dei dirigenti in caso inadempimento. La Funzione pubblica ha dato il suo benestare all'atto di indirizzo rivolto all'Aran per l' avvio del Ccnl dell' area dirigenza del comparto Funzioni locali, nonostante la controversad isposizione secondo cui il contratto dovrebbe attribuire e disciplinare per i segretari comunali un potere di «avocazione» degli atti dei dirigenti, in caso di inadempimento.

L' indicazione è in contrasto con l' articolo 40,comma 1, del dlgs 165/2001 che fa espresso divieto alla contrattazione collettiva di curarsi di materie «afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli articoli 5, comma 2,16 e 17»: è evidente che introdurre un potere di avocazione implica proprio ingerirsi nelle prerogative dirigenziali esplicitamente vietate. Se i segretari comunali adottassero atti nell'esercizio di un potere di avocazione, i loro provvedimenti risulterebbero tutti a fondato rischio di nullità per assoluta carenza di potere.

In ogni caso, anche fosse legittima la clausola contrattuale, la previsione si rivelerebbe una pericolosa arma a doppio taglio

Nei comuni in particolare vi sono due evidenti rischi operativi. Il primo deriva da un legame troppo stretto tra politica ed apparato dei dirigenti o funzionari responsabili di servizio, che tende a tenere isolato il segretario comunale. In questo caso, il potere di avocazione si rivela estremamente rischioso: un tacito accordo tra organi politici e funzionari potrebbe indurre questi ultimi a non adottare gli atti più delicati, scaricando indirettamente sul segretario comunale l' onere di avocarli. All'opposto, si riscontra non di rado un rapporto non troppo coordinato tra politica ed apparato; in questi casi il segretario comunale può fare da filtro e non di rado gli organi di governo si affidano al ruolo del segretario (ma anche del direttore generale, nei comuni con oltre 100 mila abitanti) per una direzione amministrativa fortemente orientata sulle esigenze politiche, più che su quelle amministrative. Il potere di avocazione del segretario, specie se allettato con la remunerazione aggiuntiva di direttore generale o comunque con la «personale adesione» alla parte politica (considerata, incredibilmente, ammissibile dalla sentenza 23/2019 della Consulta) potrebbe essere utilizzato, allora, nel caso di contrasti tra politica e gestione come strumento per un' ingerenza fortissima della prima, mediante il segretario comunale, chiamato alla bisogna ad avocare le decisioni sulle quali non vi sia concordia.

Il contratto collettivo, insomma, si presta a creare molti problemi, senza per altro alcuna ragione pratica. Il potere di avocazione si collega ad un rapporto di gerarchia, che però tra segretario comunale da un lato e dirigenti o funzionari apicali è inesistente, come accertato più volte dalla Cassazione. Ma, nei fatti, la norma contrattuale sarebbe anche inutile. La legge, infatti, disciplina già un rimedio all'inerzia di dirigenti o funzionari: è l' articolo 2, comma 9-bis, della legge 241/1990, ai sensi del quale «l'organo di governo individua, nell'ambito delle figure apicali dell' amministrazione, il soggetto cui attribuire il potere sostitutivo in caso di inerzia. Nell'ipotesi di omessa individuazione il potere sostitutivo si considera attribuito al dirigente generale o, in mancanza, al dirigente preposto all'ufficio o in mancanza al funzionario di più elevato livello presente».

 

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La Gazzetta degli enti locali - 29 maggio 2019

 

IL VULNUS DELL’AVOCAZIONE DEI PROVVEDIMENTI DA PARTE DEL SEGRETARIO COMUNALE

Luigi Oliveri

E’ incredibile come sia possibile che nessuno abbia eccepito le molteplici illegittimità, ma soprattutto i pericoli di utilizzo distorto, del potere di avocazione degli atti dirigenziali che l’atto di indirizzo rivolto all'Aran per l'avvio del Ccnl dell'area dirigenza del comparto Funzioni locali vorrebbe attribuire ai segretari comunali.

La previsione dell’atto di indirizzo è la seguente: “L’ARAN definisce i contenuti delle attività di sovraintendenza e coordinamento di cui all’art. 97, comma 4, del D.Lgs. n. 267/2000, tra cui, a titolo esemplificativo, la sovraintendenza alla gestione complessiva dell’ente, la predisposizione del piano dettagliato degli obiettivi, la proposta del piano esecutivo di gestione, l’esercizio del potere di avocazione degli atti dei dirigenti in caso di inadempienza e ogni 12 altra funzione di direzione richiamata nei regolamenti di organizzazione. Conseguentemente è fatta salva la disciplina prevista dall’art. 41 commi 4 e 5 CCNL 16/5/2001”.

Poche righe, nelle quali sono contenute una quantità enorme di illegittimità. Proviamo ad elencarne qualcuna:

1.  l’atto vorrebbe assegnare all’Aran il compito di definire i contenuti delle attività di sovrintendenza e coordinamento. Ma l’Aran dispone di questa competenza? La definizione delle funzioni di sovintendenza e coordinamento consiste nella specificazione della sfera di competenza e delle modalità di esercizio di un pubblico ufficio: quello del segretario. Le norme violate sono almeno:

a.       articolo 97, commi 2 e 3 della Costituzione, i quali stabiliscono: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.
Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari
”. La definizione dell’organizzazione e delle competenze, come si nota, è soggetto a riserva di legge. La legge, certo, potrebbe disporre di se stessa ed attribuire ai contratti collettivi nazionali l’esercizio di queste competenze. Peccato che nel caso di specie non sia così, come si dimostra col successivo punto;

b.       articolo 40, comma 1, del d.lgs 165/2001 che fa espresso divieto alla contrattazione collettiva di curarsi di materie «afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli articoli 5, comma 2, 16 e 17»: è evidente che introdurre un potere di avocazione implica proprio ingerirsi nelle prerogative dirigenziali esplicitamente vietate. Se i segretari comunali adottassero atti nell'esercizio di un potere di avocazione, i loro provvedimenti risulterebbero tutti a fondato rischio di nullità per assoluta carenza di potere.

c.       articolo 107, comma 4, del d.lgs 267/2000: “Le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all'articolo 1, comma 4, possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative”.

d.       Articolo 46, comma 1, del lgs 165/2001, ai sensi del quale “L'ARAN esercita a livello nazionale, in base agli indirizzi ricevuti ai sensi degli articoli 41 e 47, ogni attività relativa alle relazioni sindacali, alla negoziazione dei contratti collettivi e alla assistenza delle pubbliche amministrazioni ai fini dell'uniforme applicazione dei contratti collettivi”. Come si nota, l’Aran non dispone per legge nemmeno in minima parte del potere di definire le funzioni non solo del segretario comunale, ma di qualsiasi organo amministrativo;

2.  nella parte in cui la previsione si occupa della predisposizione del piano dettagliato degli obiettivi e della proposta del piano esecutivo di gestione, l’atto di indirizzo vìola le previsioni contenute nel d.lgs 267/2000, le quali attribuiscono, ovviamente, al regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi e al regolamento di contabilità la disciplina di questi temi, che non può essere affrontata in alcun modo legittimo e lecito dalla contrattazione collettiva;

3.  nella parte in cui prevede il potere di avocazione, le norme violate sono[1]:

a.       l’articolo 97, commi 2 e 3, della Costituzione, visti sopra;

b.       l’articolo 40, comma 1, del d.lgs 165/2001, visto sopra;

c.       l’articolo 107, comma 4, del d.lgs 267/2000, visto sopra;

d.       l’articolo 107, comma 6, del lgs 267/2000, ai sensi del quale “I dirigenti sono direttamente responsabili, in via esclusiva, in relazione agli obiettivi dell'ente, della correttezza amministrativa, della efficienza e dei risultati della gestione”;

e.       l’articolo 2, comma 9-bis, della legge 241/1990, ai sensi del quale “l'organo di governo individua, nell'ambito delle figure apicali dell'amministrazione, il soggetto cui attribuire il potere sostitutivo in caso di inerzia. Nell'ipotesi di omessa individuazione il potere sostitutivo si considera attribuito al dirigente generale o, in mancanza, al dirigente preposto all'ufficio o in mancanza al funzionario di più elevato livello presente”.

L’atto di indirizzo, come si nota, si ingerisce in competenze totalmente sottratte alla contrattazione e, per altro, intenderebbe disciplinare fattispecie già in parte regolate dalla legge.

Si ribadisce: è incredibile che la leggerezza con la quale si possano prevedere tutte queste violazioni clamorose di norme non sia stata, come doveroso, censurata e fermata. Avviare una contrattazione sulla base di questi presupposto inaccettabili è avventuristico.

Soffermiamoci, in ogni caso, sulle due ultime norme di legge violate clamorosamente dall’atto di indirizzo elencate prima.

Dovrebbe risultare chiaro ed evidente il carattere definitivo e, dunque, non suscettibile di un intervento di riesame da parte di altri organi, dei provvedimenti dei dirigenti, come indicato dall’articolo 107, comma 6, del d.lgs 267/2000. Il quale indirettamente attribuisce la caratteristica della definitività ai provvedimenti dei dirigenti, in quanto rimette alla loro esclusiva responsabilità la gestione. Poiché la loro responsabilità è “esclusiva”, nessun altro soggetto può ingerirsi nella gestione. E poiché i loro atti sono definitivi, non può in alcun modo immaginarsi nemmeno lontanamente un rapporto di gerarchia tra segretario comunale e dirigenti. Il potere di avocazione, come noto, è intimamente e strettamente connesso alla sovraordinazione gerarchica, sistema di organizzazione degli uffici mediante il quale la medesima sfera di competenza è attribuita all’ufficio sovraordinato e all’ufficio sottoordinato; quest’ultimo, quindi, esercita le competenze sotto le strette ed inviolabili indicazioni dell’ufficio sovraordinato, che dispone di poteri estremamente forti di ingerenza, quali gli ordini di servizio e, appunto, l’avocazione, quando il sovraordinato ritenga di riservare a se stesso l’adozione di provvedimenti, per qualsiasi ragione; inoltre, nel sistema gerarchico, gli atti del sottoordinato non sono definitivi e, quindi, nei confronti di questi è possibile presentare ricorso gerarchico.

L’articolo 107, comma 6, come evidenziato prima, attribuisce ai dirigenti degli enti locali una responsabilità esclusiva ed intangibile: il loro atti non possono essere oggetto di ricorso gerarchico. Dal canto suo, il comma 4 dell’articolo 1017, che si compone in evidente armonia con l’articolo 40, comma 1, del d.lgs 165/2001, esclude che qualsiasi fonte diversa dalla legge possa incidere la competenza e la responsabilità esclusive della dirigenza.

L’assenza, dunque, di un potere gerarchico in capo ai segretari comunali, e di una competenza del Ccnl di introdurlo e meno ancora di regolarlo inficiano gravemente la liceità dell’atto di indirizzo e del contratto che fosse sottoscritto attuando incautamente il vulnus gravissimo della previsione in argomento.

La cui illiceità è ulteriormente confermata dall’articolo 2, comma 9-bis, della legge 241/1990. Questa norma ha già affrontato e risolto il problema posto dall’esclusività della competenza dirigenziale, nell’ipotesi in cui il singolo dirigente risulti negligente e adotti con ritardo gli atti del proprio ufficio.

La norma introdotta nella legge 241/1990, lungi dal prevedere un potere di avocazione, impossibile per l’assenza della sovraordinazione gerarchica, dispone, invece, un potere sostitutivo di tipo straordinario. La sostituzione non modifica l’ordine delle competenze: il sostituto si insedia in via eccezionale e temporanea (in modo virtuale) nell’ufficio inerte o in ritardo ed al posto di questo adotta provvedimenti riferiti a quell’ufficio, anche se se ne assume la responsabilità diretta.

La previsione della legge 241/1990 rimedia brillantemente al rischio che l’autonomia e l’esclusività della responsabilità dei dirigenti possa indurli ad agire in modo arbitrario e senza rendere conto del dovere di attuare il programma di governo. Ma, d’altra parte, l’articolo 109, comma 1, del d.lgs 267/2000 è molto chiaro da sempre sul dovere dei dirigenti di gestire nel rispetto degli indirizzi di governo: infatti gli incarichi dirigenziali sono “sono revocati in caso di inosservanza delle direttive del sindaco o del presidente della provincia, della giunta o dell'assessore di riferimento, o in caso di mancato raggiungimento al termine di ciascun anno finanziario degli obiettivi assegnati nel piano esecutivo di gestione previsto dall'articolo 169 o per responsabilità particolarmente grave o reiterata e negli altri casi disciplinati dai contratti collettivi di lavoro”.

Se, quindi, la preoccupazione del Comitato di settore (composto dall'Associazione nazionale dei Comuni italiani (ANCI), dall'Unione delle province d'Italia (UPI) e dall'Unioncamere) è quello di garantire ai cittadini che comunque il provvedimento cui hanno diritto venga in ogni caso adottato – ferme restando le responsabilità per il ritardo – la normativa vigente è già sufficiente a risolvere il problema.

La sensazione è, invece, che proprio il soggetto la cui parte nel Comitato di settore è quella del leone, cioè l’Anci, in accordo con alcune sigle sindacali dei segretari comunali, intenda ottenere un risultato del tutto diverso: la verticalizzazione del potere, sulla base della convinzione (rafforzata da una lettura distorta della sentenza della Corte costituzionale 23/2019) che il segretario comunale sia di fatto un soggetto coinvolto in pieno nella parte politica, scelto fiduciariamente in quanto in grado quanto meno di influenzare il programma di governo e, come tale, “garante” dell’esecuzione di detto programma.

In questa ottica, il potere di avocazione evidenzia ancora maggiori vulnus all’ordinamento, più sul piano fattuale e di merito, che della legittimità.

E’ evidente che l’avocazione, intesa come sopra, è il cavallo di Troia per superare di fatto il principio di separazione tra politica e gestione: il segretario comunale avocante, fiduciario del sindaco e della parte politica, potrebbe essere lo strumento, la longa manus con la quale la politica si reimpossessa della gestione diretta.

Basta che ogni volta che una decisione gestionale dirigenziale non piaccia, il sindaco solleciti il segretario ad avocare la decisione dirigenziale, in modo che sia corrispondente in toto ai desiderata politici.

L’atto di indirizzo non ne parla: ma è facile immaginare che dietro questa volontà di introdurre la verticalizzazione del potere che si era tentata con la – per fortuna – fallita riforma Madia, vi sia la mira a creare quel “dirigente apicale” che possa ambire alle retribuzioni aggiuntive, connesse al concreto esercizio dei potere che l’atto di indirizzo vorrebbe fossero regolati dal Ccnl. Insomma, un rimedio all’abolizione della figura del direttore generale nei comuni fino a 100.000 e la riapertura del mercato delle retribuzioni a compenso di queste funzioni.

Uno scambio che potrebbe sedurre molti segretari, come in effetti nel passato è accaduto, sì che per circa 12 anni, fino al doveroso intervento normativo del 2009 che ha soppresso opportunamente l’inutile figura del direttore generale nei comuni fino a 100.000 abitanti, sono stati sperperati denari, spesso posti già a suo tempo per trasformare una figura essenziale per l’organizzazione efficace ed il rispetto delle regole, qual è il segretario comunale, in un gestore verticale, chiamato solo all’attuazione pedissequa di un programma politico; sulla base di una concezione dell’efficienza ed efficacia non più connesse all’imprescindibile legalità, ma solo al grado di compiacenza alle indicazioni politiche.

Il tutto gira intorno all’indefinito concetto di “inadempienza”, citato dall’esiziale atto di indirizzo come presupposto per l’avocazione. Inadempienza a cosa?

Se si trattasse dell’inadempienza all’adozione del provvedimento nei termini, come visto sopra, il rimedio sarebbe già pronto: l’articolo 2, comma 9-bis, della legge 241/1990.

Ma se l’Anci insiste, evidentemente per “inadempienza” non può non intendere qualcosa d’altro. E non è difficile immaginare che questo qualcosa d’altro possa essere volontariamente frainteso come qualsiasi decisione gestionale non totalmente aderente alle indicazioni della politica.

Inadempienza potrebbe essere, allora, gestire un appalto mediante procedura aperta, mentre la politica vorrebbe imporre affidamenti diretti; non prorogare un contratto che si vorrebbe prorogare; evidenziare l’inesistenza dei presupposti per l’affidamento di una consulenza che si insiste a voler dare; gestire un contributo con procedura di individuazione pubblica e non in modo diretto; derogare in vari modi a regole su concessioni, licenze, tributi.

Il “dirigente apicale” dotato di potere di avocazione potrebbe essere lo strumento deleterio di questo. E indirettamente favorire, certo nei per fortuna pochi, ma pur sempre troppi, casi di enti inquinati da corruzione e conflitti di interessi, l’adozione di atti gestionali funzionali alla mala amministrazione.

All’opposto, il potere di avocazione potrebbe essere un’arma tremenda di pressione proprio nei confronti del segretario comunale. Se, come spessissimo accade, vi è uno stretto rapporto di “fiducia” tra politici e dirigenti, questi potrebbero decidere di fare del segretario il parafulmine ogni volta che una decisione sia a conclamato rischio; l’accordo tacito tra politica e dirigenti è che questi restino appositamente inadempienti (ma non sanzionati), per passare la patata bollente di un atto a sospetta efficienza, efficacia e legittimità, al segretario comunale, non proprio in rapporto di piena consentaneità con la politica, il sindaco potrebbe imporre l’avocazione dell’atto, pena la revoca dell’incarico o dell’emolumento aggiuntivo.

L’utilizzo distorto degli istituti, specie quando introdotti e regolati in modo illegittimo come avverrebbe per l’avocazione, è sempre dietro l’angolo. Non bisogna dimenticare il monito derivante dalla sentenza della Cassazione, Sesta Sezione Penale 23 maggio 2019, n. 22871: la Suprema Corte ha condannato per abuso d’ufficio il sindaco che ha revocato l’incarico al responsabile della Polizia Municipale, perché questo aveva evidenziato comportamenti illeciti e dannosi di alcuni componenti del Corpo e non aveva accettato di condizionare il rinnovo dell’incarico all’insabbiamento. Ecco: quel sindaco, comunque, aveva avuto modo di nascondere l’atto ritorsivo dietro l’applicazione distorta della “rotazione” prevista dalla normativa anticorruzione. Facile comprendere che in quell’ente oltre ad essere stato calpestato il buon andamento della pubblica amministrazione e la dignità professionale di un funzionario corretto, punito per questo, è stato del tutto messo in un angolo il segretario comunale. Messo nella condizione, evidentemente, di non poter eccepire nulla sui provvedimenti illegittimi adottati e addirittura sullo stesso utilizzo illecito della rotazione, strumento dell’anticorruzione del quale il segretario, come è noto, è il principale responsabile.

La presa di coscienza delle inaccettabili illegittimità dell’atto di indirizzo e delle conseguenze di fatto dannosissime che deriverebbero dall’introduzione dell’avocazione dovrebbero consigliare di pensare molto bene a quel che le parti sottoscriveranno. L’Aran stessa, per prima, avrebbe l’onere di evidenziare al Comitato di settore l’impossibilità di dare corso a queste indicazioni.

 

 


[1] Non può convincere, quindi, l’erronea ricostruzione dottrinale (Brevi considerazioni sul potere avocativo del Segretario comunale, di M. Lucca e G Gianbattista Zanon; La Gazzetta degli enti locali, 6 luglio 2007) ove si sostiene che il potere di avocazione sia introducibile mediante il regolamento di organizzazione o, addirittura, perfino con provvedimento del sindaco o del presidente della provincia: la violazione dell’articolo 107, comma 4, del d.lgs 267/2000 di simili provvedimenti sarebbe clamorosa.

 

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Italia Oggi - 19 giugno 2020

La bozza di contratto torna alla riforma Madia mai entrata in vigore

Dirigenza locale precarizzata dal nuovo Ccnl

di Luigi Oliveri

 

Una bozza di rinnovo del contratto della dirigenza del comparto Funzioni locali fortemente caratterizzata da criticità, tendente ad applicare pezzi della riforma Madia mai entrata in vigore per effetto della sentenza della Consulta 251/2016.

L'Aran ha elaborato una piattaforma contrattuale pedissequamente rispettosa degli indirizzi forniti dal Comitato di settore. Ma, in questo modo, si è prodotta una bozza oggettivamente tendente ad ingigantire lo spoils system, in aperto e frontale scontro con una serie di disposizioni normative, in particolare in tema di incarichi e revoche.

L'articolo 40, comma 1, ultimo periodo del dlgs 165/2001 appare una delle poche norme caratterizzate da chiarezza cristallina: «sono escluse dalla contrattazione collettiva le materie ... afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli articoli 5, comma 2, 16 e 17, la materia del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali». Dunque, il nuovo Ccnl dovrebbe del tutto disinteressarsi di incarichi e revoche.

Del resto, le modalità di conferimento degli incarichi sono disciplinate integralmente dall'articolo 19 del dlgs 165/2001. Che al suo comma 1-ter, a proposito di revoche, dispone: «Gli incarichi dirigenziali possono essere revocati esclusivamente nei casi e con le modalità di cui all'articolo 21, comma 1, secondo periodo». E tale ultima disposizione prevede che l'amministrazione possa revocare l'incarico solo a seguito di accertamento di grave mancato raggiungimento di obiettivi o violazione di direttive politiche imputabili direttamente ai dirigenti.

La bozza di Ccnl pare ignorare questi vincoli. Sugli incarichi, ad esempio, la bozza considera il tema come materia di relazioni sindacali, secondo la modalità del confronto. Altro elemento affrontato, del tutto estraneo alle competenze contrattuali è la rotazione, che viene regolata come fosse un obbligo diffuso, in un'accezione travisata delle regole sulla trasparenza.

Ma è soprattutto sulla revoca che la bozza insiste moltissimo, con un effetto di marcata precarizzazione dello status della dirigenza, platealmente contrario anche alla giurisprudenza maturata dalla Corte costituzionale a partire dalla sentenza 103/2007.

L'articolo 21 del dlgs 165/2001, unica norma che per legge, come visto prima, è legittimata a regolare la revoca, richiama la contrattazione collettiva solo per consentirle di dettare previsioni i merito alla responsabilità disciplinare connessa al mancato raggiungimento degli obiettivi o alla violazione colposa delle direttive. Il Ccnl, quindi, vìola la riserva di legge nel regolare la responsabilità dirigenziale. Eppure, la bozza introduce un'ipotesi, platealmente illegittima, di sanzione per responsabilità dirigenziale non prevista dall'articolo 21 del dlgs 165/2001: la sospensione da ogni incarico dirigenziale per la durata minima di due anni, per altro riferita esclusivamente al personale dirigenziale a tempo indeterminato.

Ancora, il Ccnl, in chiarissimo contrasto col già citato articolo 19, comma 1-ter, del dlgs 165/2001 consente espressamente una revoca anticipata dell'incarico dirigenziale per esigenze organizzative e gestionali. Non solo questa previsione contrasta con i limiti imposti dalla legge al Ccnl, ma finirebbe per legittimare una prassi altamente illegittima molto diffusa nelle amministrazioni locali: quella, cioè, di prevedere «riorganizzazioni» in realtà solo formali, surrettiziamente volte a penalizzare e precarizzare dirigenti non considerati «allineati» sul piano politico. Un ritorno, appunto, ai nefasti elementi di politicizzazione della dirigenza previsti dalla mai entrata in vigore riforma Madia. La bozza si diffonde anche sui motivi della revoca degli incarichi ai segretari comunali, introducendo tra essi il mancato esercizio del potere di «avocazione» degli atti dei dirigenti, con una doppia illegittimità: da un lato, infatti, i segretari comunali non sono superiori gerarchici dei dirigenti e quindi difettano completamente di poteri di avocazione; dall'altro, in questo modo la bozza vìola il divieto imposto dalla legge ai Ccnl di incidere sulle prerogative dirigenziali.

Ulteriori elementi di limitazione all'autonomia della dirigenza discendono dalla previsione che la programmazione delle ferie deve essere soggetta ad una «verifica della conciliabilità» con le esigenze degli organi politici. Una vera e propria autorizzazione sotto mentite spoglie, incompatibile con l'autonomia della dirigenza di organizzazione del proprio lavoro e potenzialmente deleteria per le finanze: sono molti i dirigenti che non esauriscono le ferie prima della pensione. Sin qui la giurisprudenza ha sempre negato risarcimento di danni, visto che le ferie sono autogestite. L'introduzione di questa autorizzazione surrettizia potrebbe sortire il cambiamento di questo filone giurisprudenziale e costare molto caro al comparto.

 

https://luigioliveri.blogspot.com/2020/07/ccnl-dirigenti-locali-e-potere-di.html

 

Ccnl dirigenti locali e potere di avocazione dei segretari comunali: è nullo, come nullo è l'atto di indirizzo del Comitato di settore, sul quale si tenta di fondarne la legittimità.

Una delle prassi meno commendevoli della gestione amministrativa consiste nell’adottare provvedimenti attuativi di direttive palesemente illegittime, se non nulle.

Nella convinzione che le responsabilità risultino attenuate dalla “copertura politica”, e che le direttive siano un obbligo imperativo, specie se corroborate, nonostante la loro contrarietà a legge, da qualche parere o vaglio di qualcuno, spesso nelle amministrazioni scelte di dubbia opportunità o legittimità si fanno precedere da “direttive” dell’organo di governo. Quasi che l’atto gestionale conseguente risulti, poi, dovuto, vincolato nell’an e nel quomodo.

La giurisprudenza della Corte dei conti trabocca di decisioni che smentiscono totalmente la praticabilità e la correttezza di questo assunto.

L’intero sistema amministrativo, dall’inizio degli anni ‘90, si caratterizza perché applicativo del principio discendente direttamente dall’articolo 97 della Costituzione della separazione delle funzioni di indirizzo politico amministrativo, da quelle di gestione.

L’indirizzo, per altro, non può e non deve avere mai carattere vincolante né nell’an, ma soprattutto nel quomodo.

E’ compito dell’apparato amministrativo accertare sempre:

1) che l’indirizzo ricevuto sia conforme alle norme; il principio di legalità dell’azione amministrativa non ammette che un atto di indirizzo, per quanto proveniente da un organo politico, contrasti con le norme, ma prevalga su di esse;

2) quali sono le modalità tecniche di attuazione, vaglio che spetta in via esclusiva alla dirigenza, che oltre al se attuare l’indirizzo (sforzandosi sempre di cercare comunque la strada per attuarlo: in presenza di dubbi, è corretto un confronto per riformulare l’indirizzo), ha totale responsabilità sul “come” (sul punto, è fondamentale la sentenza della Corte dei Conti - Sezione Giurisdizionale per il Piemonte – 13 aprile 2000, n. 1192/EL/2000): “In altre parole, se nel nostro ordinamento giuridico, è la legge a dare la definizione di interesse pubblico (con una serie articolata di criteri e parametri costituzionali) nei vari campi in cui essa opera e se detto interesse costituisce il fine razionale dell’agire amministrativo (artt.97 e 98 Cost.), spetterà all’Amministrazione procedente definire come tale i canoni di riferimento in base all’imparzialità, all’efficienza ed alla legalità. In dipendenza di ciò, il rapporto che si instaura con la politica (inteso come tale quel momento di “cerniera” di cui poc’anzi si parlava) non può che definire le linee generali ed i collegamenti con l’agire amministrativo, nonché con i singoli momenti di attuazione. L’Amministrazione opera, pertanto, in base a canoni generali i cui limiti ed oggetto di intervento sono stabiliti dalla legge ed all’interno di essa in base alle regole da essa stessa stabilite (poteri di regolamentazione di fonte secondaria)”.

Di fronte ad una direttiva palesemente nulla come quella rivolta dal Comitato di settore all’Aran in merito al Ccnl dell’area dirigenza del comparto Funzioni Locali, invocare una presunta insuperabilità della direttiva stessa come causa sia efficiente, sia legittimante, di clausole contrattuali a loro volta nulle, appare oggettivamente argomentazione debolissima e da respingere.

Attribuire alle direttive dei comitati di settore valore vincolante per la contrattazione è, ovviamente, inimmaginabile. Se così fosse, la contrattazione non avrebbe alcun senso: la direttiva autoprodurrebbe i contenuti del contratto, al quale le organizzazioni sindacali dovrebbero limitarsi ad aderire, senza proferire parola.

Ma, le cose non stanno così. La contrattazione collettiva, a livello nazionale, è vera e piena. La direttiva del Comitato di settore rivolta all’Aran non è la Bibbia, non ha valore vincolante, ma solo orientativo. In sede di contrattazione si possono adottare accordi diversi; e li si dovrebbero porre in essere, soprattutto in presenza di conclamata nullità della direttiva, per palese violazione di legge.

Non pare proprio, allora, che la preintesa del Ccnl possa trovare difesa, circa la nulla previsione del potere di avocazione, sulla presunta necessità di attuare, senza poterla modificare, una direttiva nulla.

Non la vede così l’Unione dei segretari comunali e provinciali. Teoria che ovviamente è lecito esprimere, per quanto erronea.

Come riportato nell’articolo pubblicato il 30 luglio 2020 su Ntplus, a firma di Arturo Bianco, “Segretari, il nodo dell'avocazione divide la categoria” il segretario di detto sindacato ritiene che l’articolo 101 della preintesa, che attribuisce il potere di avocazione ai sindacati,è legittimo “perché esemplifica e descrive le attività di sovrintendenza e coordinamento che sono esplicitamente previste dalla legge”. Infatti, prosegue il segretario dell’Unione “E' il TUEL a prevedere che il Segretario sovrintende alle funzioni dei dirigenti e ne coordina l'attività, non il contratto”.

Peccato, però, che il Tuel, il d.lgs 267/2000 non preveda proprio da nessuna parte in via esplicita che il segretario disponga del potere di avocazione.

E non lo prevede per una ragione semplicissima: il segretario non è posto in posizione di superiorità gerarchica rispetto alla dirigenza, che è totalmente autonoma e responsabile in via esclusiva delle proprie decisioni.

A smentire clamorosamente l’assunto che le funzioni di sovrintendenza e coordinamento contengano il potere di avocazione, proprio invece del potere di gerarchia, sono le previsioni dell’articolo 107, sempre del Tuel:

a) comma 2: “Spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale, di cui rispettivamente agli articoli 97 e 108”; questa norma, con chiarezza estrema, separa funzioni e responsabilità del segretario e del direttore generale, da quelle della dirigenza;

b) comma 4: “Le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all'articolo 1, comma 4, possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative”. Già questa previsione rappresenta un primo elemento di nullità della clausola contrattuale (poiché si verte in tema di contratto e di ordinamento civile, non si può parlare di illegittimità, ma di nullità per violazione di norme imperative di legge). Infatti, l’avocazione implica una lesione delle attribuzioni dei dirigenti, visto che il segretario, che come prevede il comma 2 dell’articolo 107 ha competenze proprie e separate, si ingerirebbe nelle funzioni dirigenziali. Ma, un contratto non è una legge e, quindi, non ha il minimo potere di dettare contenuti in contrasto con l’articolo 107, comma 4, del Tuel;

c) comma 6: “I dirigenti sono direttamente responsabili, in via esclusiva, in relazione agli obiettivi dell'ente, della correttezza amministrativa, della efficienza e dei risultati della gestione”. Se la responsabilità della gestione è esclusiva, è perché gli atti dei dirigenti sono tutti definitivi, come le scelte gestionali, non suscettibili di avocazione da parte di alcuno. Laddove una scelta gestionale di non attuare un indirizzo si rivelasse illegittima o dannosa, i rimedi sono due. Il primo è la valutazione negativa del dirigente, che può portare anche alla risoluzione del contratto. Il secondo è il commissariamento, sulla falsa riga di quanto prevede l’articolo 14, comma 3, del d.lgs 165/2001.

Affermare, poi, come chiosa il segretario dell’Unione che “il contratto sul punto è del tutto in linea con l'atto di indirizzo sulla base del quale si è aperta la negoziazione, atto di indirizzo che è stato già vagliato positivamente dalle istituzioni competenti. Sarebbe grave e costituirebbe un pericoloso precedente se un percorso negoziale a suo tempo autorizzato e poi svolto dovesse essere revocato in dubbio, verrebbe meno la stessa attendibilità del procedimento negoziale nel suo complesso. Ma siamo convinti che così non sarà” non ha alcuna utilità. Il contratto non deve essere in linea con l’atto di indirizzo, se questo, prevedendo il potere di avocazione, è illecito. Il contratto deve rispettare le norme imperative di legge. Ed è giusto, per altro, tenere conto che di fronte alle granitiche certezze sulla presunta gravità di interventi di correzione ad un “percorso negoziale” gravemente viziato, i fatti registrano già, da anni, posizioni giurisprudenziali nettamente in linea con l’inesistenza di un potere di avocazione del segretario comunale (per tutte, Corte di cassazione Sezione Lavoro 12 giugno 2007, n. 13708).

Il fatto che il Comitato di settore abbia espresso una direttiva, che qualche organo ministeriale l’abbia “bollinata”, senza accorgersi sul punto della plateale sua nullità, non può e non deve avere alcun rilievo. Non sono le sviste sulle violazioni di legge a fondare la legittimità di tali violazioni.

Per altro, a fronte della debolissima tesi a sostegno della correttezza dell’avocazione (lo impone l’atto di indirizzo; lo prevede il Tuel – che non lo prevede affatto, anzi, il contrario - ), la quantità di norme violate dall’atto di indirizzo e dalle clausole contrattuali è talmente vasta da risultare davvero inaccettabile che in via negoziale si possa essere dato luogo a ciò:

1.                articolo 2 (rubricato “Fonti”), comma 1, del d.lgs 165/2001, ai sensi del quale, confermando ovviamente il costrutto della Costituzione, “Le amministrazioni pubbliche definiscono, secondo principi generali fissati da disposizioni di legge e, sulla base dei medesimi, mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali di organizzazione degli uffici; individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi”. Nessuno spazio è dato alla contrattazione collettiva;

2.                sempre l’articolo 2, stavolta comma 2, del d.lgs 165/2001, che circoscrive l’orizzonte della potestà normativa dei contratti collettivi: “I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto…”. I contratti, come è logico, possono interessarsi della regolazione del rapporto di lavoro, ma non delle competenze e delle funzioni;

3.                l’articolo 40, comma 1, sempre del d.lgs 165/2001, che allo scopo di confermare e chiarire il quadro visto prima, prevede: “La contrattazione collettiva disciplina il rapporto di lavoro e le relazioni sindacali e si svolge con le modalità previste dal presente decreto. Nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, della mobilità, la contrattazione collettiva è consentita nei limiti previsti dalle norme di legge. Sono escluse dalla contrattazione collettiva le materie attinenti all'organizzazione degli uffici, quelle oggetto di partecipazione sindacale ai sensi dell'articolo 9, quelle afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli articoli 5, comma 2, 16 e 17la materia del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali, nonché quelle di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 23 ottobre 1992, n. 421”. Attribuire ai segretari comunali il potere di avocazione, come già rilevato sopra, implica interferire proprio sulle prerogative dirigenziali: il Ccnol non poteva e non può affrontare questa materia;

4.                l’articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 421/1992, ai sensi del quale “…Sono regolate con legge, ovvero, sulla base della legge o nell'ambito dei princìpi dalla stessa posti, con atti normativi o amministrativi, le seguenti materie:
1) le responsabilità giuridiche attinenti ai singoli operatori nell'espletamento di procedure amministrative;
2) gli organi, gli uffici, i modi di conferimento della titolarità dei medesimi;
3) i princìpi fondamentali di organizzazione degli uffici;
4) i procedimenti di selezione per l'accesso al lavoro e di avviamento al lavoro;
5) i ruoli e le dotazioni organiche nonché la loro consistenza complessiva. Le dotazioni complessive di ciascuna qualifica sono definite previa informazione alle organizzazioni sindacali interessate maggiormente rappresentative sul piano nazionale;
6) la garanzia della libertà di insegnamento e l'autonomia professionale nello svolgimento dell'attività didattica, scientifica e di ricerca;
7) la disciplina della responsabilità e delle incompatibilità tra l'impiego pubblico ed altre attività e i casi di divieto di cumulo di impieghi e incarichi pubblici
;

5.                l’articolo 97, comma 4, del d.lgs 267/2000, che regola, come fonte di legge, le funzioni del segretario comunale;

6.                l’articolo 107, comma 4, del d.lgs 267/2000, ai sensi del quale “Le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all'articolo 1, comma 4, possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative”. Un CCNL, quindi, non può certamente né ingerirsi nelle prerogative dirigenziali (a ciò inibito espressamente dall’articolo 40, comma 1, del d.lgs 165/2001), né derogare o modificare le attribuzioni dirigenziali, introducendo l’inesistente potere di avocazione;

7.                gli articoli 16 e 17 del d.lgs 165/2001, che disciplinano in modo intangibile dalla contrattazione collettiva funzioni e prerogative dei dirigenti;

8.                l’articolo 100 del d.lgs 267/2000, ai sensi del quale “Il segretario può essere revocato con provvedimento motivato del sindaco o del presidente della provincia, previa deliberazione della giunta, per violazione dei doveri d'ufficio”. Poiché i doveri d’ufficio sono fissati esclusivamente dalla legge o da atti di organizzazione di stampo pubblicistico, risultano totalmente sottratti alla contrattazione collettiva, che non ha in alcun modo nessun potere di indicare quali sono i doveri d’ufficio.

9.                L’articolo 97 della Costituzione, che riserva alla legge, non certo alla contrattazione collettiva, l’organizzazione degli uffici.

Su un punto si concorda. L’articolo 101, comma 1, della preintesa, nella parte che non tratta del potere di avocazione, descrive le funzioni che spettano in via naturale a chi svolge funzioni di sovintendenza e coordinamento: “sovraintendenza alla gestione complessiva dell’ente, la responsabilità della proposta del piano esecutivo di gestione nonché, nel suo ambito, del piano dettagliato degli obiettivi e del piano della performance, la responsabilità della proposta degli atti di pianificazione generale in materia di organizzazione e personale”.

Poichè la preintesa accerta che queste sono attribuzioni ordinarie dei segretari comunali, qualcuno dovrà spiegare:

1.                  perché se queste sono funzioni normalmente connesse all’esercizio delle funzioni dei segretari comunali nei comuni fino a 100.000 abitanti, non lo sarebbero per i comuni con popolazione maggiore e per province o città metropolitane; accrescendosi la posizione di carriera del segretario, diminuiscono competenze e attribuzioni? Non è strano?;

2.                  perché, se la categoria dei segretari comunali è unica, le sedi di segreteria di minor dimensione implicherebbeo attribuzioni maggiori delle sedi di segreteria maggiori;

3.                  perché, se la categoria è unica e, dunque, le attribuzioni non possono che essere uniche, nei comuni con più di 100.000 abitanti, nelle province e nelle città metropolitane, se si nomina un direttore generale, figura che finisce per sottrarre competenze al segretario, il trattamento economico del segretario resta intonso e si duplica la spesa; non appare che la preintesa renda ingiustificabile l’incarico al direttore generale e l’incremento della spesa connessa?;

4.                  perché, visto quanto sopra, si è considerata ulteriormente vigente la previsione di cui all’articolo 44 del Ccnl 15.5.2001, che prevede la possibilità di attribuire ai segretari comunali un’indennità aggiuntiva, se incaricati, nei comuni con oltre 100.000 abitanti, nelle province e nelle città metropolitane, di svolgere le funzioni del direttore generale, cioè funzioni che in realtà sono già caratteristica propria della figura del segretario?

 

 

https://luigioliveri.blogspot.com/2020/08/potere-di-avocazione-dei-segretari.html

 

Potere di avocazione dei segretari comunali. Argomentazioni pro alla preintesa al Ccnl dell'area dirigenza del comparto Funzioni Locali che lo introduce.

 Di fronte a previsioni normative innovative e da collocare nel complicato mosaico ordinamentale, le chiavi di lettura ai fini dell'approccio interpretativo sono ovviamente molte, spesso contrastanti. I contrasti interpretativi sono reperibili molto sovente tra giurisdizioni e, nell'ambito di una stessa giurisdizione, anche tra diversi giudici, oltre che in dottrina.

Non c'è, quindi, nulla di strano se rispetto all'introduzione del potere di avocazione attribuito al segretario comunale dalla preintesa al Ccnl dell'area dirigenza del comparto funzioni locali si possano esprimere tesi contrapposte: una volata ad evidenziare la nullità di tale clausola per violazione di legge; l'altra tendente, invece, a ritenerla corretta.

Ferme restando le posizioni, il fondamento delle tesi sta, ovviamente, nelle argomentazioni.

Chi scrive sostiene che la previsione della preintesa è nulla per violazione di legge. E propone una specifica ed unica argomentazione: la previsione contrattuale va in chiaro contrasto con quanto disposto dall'articolo 40, comma 1, secondo periodo, del d.lgs 165/2001, ai sensi del quale "Sono escluse dalla contrattazione collettiva le materie attinenti all'organizzazione degli uffici, quelle oggetto di partecipazione sindacale ai sensi dell'articolo 9, quelle afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli articoli 5, comma 2, 16 e 17, la materia del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali, nonché quelle di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 23 ottobre 1992, n. 421".

Come affermato già varie volte, la previsione della preintesa vìola due volte la disposizione richiamata, perchè:

1. il potere di avocazione incide evidentemente sull'organizzazione degli uffici. Infatti, l'avocazione è una misura organizzativa, che disciplina in particolare i rapporti interorganici e consiste nella possibilità che un organo eserciti i compiti spettanti ad altro organo (organizzazione deriva dalla medesima radice...), in ordine a singoli atti, per motivi di interesse pubblico e indipendentemente dall'inadempimento dell'organo istituzionalmente competente (E. Casetta). Infatti, l'avocazione è potere tipico ed esclusivo del potere di gerarchia proprio: l'organo sovraordinato condivide con quello subordinato la medesima sfera di potere e però lascia che sia l'organo sotto ordinato a compiere certi atti, riservandosi sempre, comunque, la possibilità di incidere sulla competenza del sotto ordinato, avocando a sè il compimento di questi, non solo nel caso di inadempimento, ma anche per valutazioni di opportunità. Dunque, stabilire che un organo dispone di un potere di avocazione nei confronti di altri, implica indirettamente fissare un rapporto di gerarchia e, quindi, incidere sull'organizzazione dell'ente. Inutile ricordare qui che il rapporto organizzativo negli enti locali è, per legge, basato sul rapporto di direzione e non gerarchico, come chiarito in modo evidentissimo dall'articolo 107, commi da 2 a 5, del Tuel. Quel che conta è limitarsi ad osservare che la clausola della preintesa vìola un primo precetto dell'articolo 40, comma 1, del d.lgs 165/2001;

2. nel momento in cui un contratto collettivo incide sull'organizzazione e sull'esercizio delle competenze, evidentemente allarga il proprio disposto alle "prerogative dirigenziali". La clausola contestualmente introduce una prerogativa inesistente, l'avocazione, e limita le prerogative dirigenziali.

E' bene ricordare che ai sensi dell'articolo 2, comma 2, del d.lgs 165/2001, "I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto, che costituiscono disposizioni a carattere imperativo".

La valutazione della nullità della clausola della preintesa, quindi, non discende da una presa di posizione socio-politica o di "antipatia" verso essa, ma semplicemente dalla lettura delle norme. Vi è un contrasto tra tale clausola e le norme citate, contrasto che, essendo le previsioni del d.lgs 165/2001 a carattere imperativo, implica la nullità della previsione contrattuale, per violazione di norma di legge imperativa. Ci si richiama a norme basiche, come l'articolo 1418, comma 1, del codice civile: "Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente".

In questo post sono state per altro esposte molte altre cause di nullità, per violazione ad una serie oggettivamente estesissima di norme.

Ma, andiamo alla tesi, invece, favorevole. L'argomentazione che ci si dovrebbe aspettare è volta a dimostrare che la previsione contrattuale non vìoli l'articolo 40, comma 1, del d.lgs 165/2001 o che, in subordine, tale norma non sia imperativa.

In gran parte, fin qui, invece, le argomentazioni evidenziate sono di tutt'altro segno, caratterizzate da una dimostrazione di opportunità della clausola contrattuale. Nulla vieta a nessuno di condividere il merito della previsione. Ma, il problema che si pone non è una condivisione, si ribadisce "socio-politica", bensì la tenuta della clausola rispetto alle disposizioni normative.

Ccnl fonte equiordinata alla legge. Una prima argomentazione è quella secondo la quale il Ccnl sarebbe fonte equiordinata alla legge, come tale, pertanto, pienamente legittimata dall'ordinamento a disciplinare poteri organizzativi.

Dalla riforma del 1998, in effetti, si assiste ad un tentativo, per la verità disomogeneo ed incostante, di riconduziuone della disciplina del rapporto di lavoro pubblico a quello privato, con il rafforzamento del ruolo della contrattazione.

E', tuttavia, noto che questo processo ha subìto una forte battuta d'arresto con la riforma Brunetta del 2009 e che le divergenze tra disciplina del lavoro pubblico e privato restano e si ampliano.

In effetti, non esiste alcuna equiordinazione tra Ccnl e legge. Lo dimostrano proprio le norme citate in precedenza. L'articolo 2, comma 2, del d.lgs 165/2001 ("I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto, che costituiscono disposizioni a carattere imperativo") limita l'estensione della competenza dei Ccnl alla sola regolazione del rapporto di lavoro, materia dalla quale esula la definizione di poteri organizzativi. Infatti, l'articolo 40, comma 1, del d.lgs 165/2001 vieta alla contrattazione collettiva di ingerirsi nell'organizzazione: essa è tipicamente pertinenza esclusiva datoriale e soggetta, oltre tutto, a riserva di legge, ai sensi dell'articolo 97, comma 2, della Costituzione: "I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge". E' una riserva relativa, certo. Ma, non è dato rinvenire nessuna disposizione normativa che abbia permesso ai Ccnl di disciplinare l'organizzazione dei pubblici uffici. Sarebbe quella norma che permetterebbe di superare l'imperatività delle previsioni del d.lgs 165/2001 ed eviterebbe alla clausola del Ccnl di incappare nella nullità imposta dall'articolo 1418, comma 1, del codice civile. Tuttavia, questa previsione non esiste.

Efficienza dell'organizzazione. L'introduzione di una previsione posta a porre in capo ad un vertice organizzativo un potere di avocazione corrisponderebbe a criteri di efficienza, volti a ricondurre ad unità la gestione e a creare un sistema coerente e dotato di un livello ultimativo di decisione.

Si tratta di un'argomentazione suggestiva. Si potrebbe controdedurre che:

1. in ogni caso ciò presupporrebbe l'introduzione di un sistema di potere gerarchico proprio, sicchè il segretario comunale assommerebbe in sè tutte le competenze dei dirigenti, comprese quelle dei dirigenti tecnici, degli assistenti sociali, dell'avvocatura, del comando della polizia municipale, del bilancio, dei tributi. Da elemento di organizzazione, un collo di bottiglia simile si tramuterebbe in sintomo irrimediabile di disorganizzazione. Un modello simile può funzionare solo nei comuni con meno di 1000 anime e 3-5 dipendenti. L'evoluzione organizzativa richiede altri principi organizzativi, che sono quelli in effetti indicati dall'ordinamento: direzione e coordinamento;

2. l'avocazione degli atti dei dirigenti non è prevista nemmeno nell'organizzazione dei Ministeri, ove i dirigenti di prima fascia sono realmente collocati in posizione di gerarchia superiore rispetto ai dirigenti di seconda fascia. E' disciplinato solo il potere di sostituzione in caso di inerzia. La ragione è semplice: gli etti dei dirigenti sono sempre e tutti definitivi. Altrimenti, la certezza del diritto e degli strumenti di tutela si azzererebbero.

Ma, a ben vedere, queste due controdeduzioni non occorrono e si rivelerebbero controproducenti. Non perchè non fondate, bensì perchè condurrebbero a spostare l'attenzione, invece di lasciarla focalizzata sulla violazione dell'articolo 40, comma 1, del d.lgs 165/2001.

Allora, tornando al problema di tale violazione, è facile dimostrare che la suggestione delle necessità organizzative cozza comunque col divieto imperativo posto dalla legge al Ccnl di interessarsi dell'organizzazione.

L'avocazione è nella sostanza il potere sostitutivo. E' un'interpretazione interessante, volta a "conservare" il valore giuridico della clausola contrattuale, senza giungere alla conclusione della sua radicale nullità.

In sostanza, il Ccnl avrebbe riscritto, in modo atecnico e parzialmente erroneo, la previsione contenuta nell'articolo 2, comma 9-bis, della legge 241/1990: "L'organo di governo individua, nell'ambito delle figure apicali dell'amministrazione, il soggetto cui attribuire il potere sostitutivo in caso di inerzia. Nell'ipotesi di omessa individuazione il potere sostitutivo si considera attribuito al dirigente generale o, in mancanza, al dirigente preposto all'ufficio o in mancanza al funzionario di più elevato livello presente nell'amministrazione".

Così intesa, la disposizione contrattuale conserverebbe le proprie validità ed efficacia e non comporterebbe in ogni caso uno stravolgimento organizzativo ed un'incisione nelle prerogative dirigenziali.

Si tratta di un'interpretazione per un verso anche auspicabile, perchè non condurrebbe alla "traumatica" nullità. Le parti, per altro, in un accordo di interpretazione autentica potrebbero anche sostenere questa visione e chiudere ogni diatriba.

C'è, però, un problema grave. La normativa della legge 241/1990, per altro rinvenibile anche nel novero delle competenze dei dirigenti di prima fascia ai sensi dell'articolo 16 del d.l.gs 165/2001, disciplina il potere sostitutivo come sacrosanto e necessario rimedio all'inerzia.

La disposizione del Ccnl è diversa: radica il potere di avocazione non sull'inerzia ma sulla diversa situazione dell'inadempimento.

Qui è il nocciolo della questione. L'inerzia è un fatto oggettivo. L'inadempimento pure, ma si presta ad essere valutato come tale in relazione a punti di vista. Sta qui l'estremo rischio di disorganizzazione e contenzioso del potere di avocazione, a chiunque assegnato segretario comunale o non segretario comunale.

Allo scopo, chi scrive ha ricordato qui la vicenda affrontata dalla sentenza della Corte di cassazione Sezione Lavoro 12 giugno 2007, n. 13708. Non ha richiamato la sentenza citata per trarre da questa argomentazioni sulla liceità della clausola della preintesa, ma per evidenziare i rischi molto gravi sottesi all'avocazione. Nel post è, infatti, scritto: "La storia è quella di un responsabile del servizio edilizia, che evidenzia all'amministrazione, evidentemente propensa ad autorizzare ad una certa persona un intervento edilizio, l'illegittimità e la connessa improcedibilità della concessione.

E la storia continua con l'amministrazione che si rivolge al segretario comunale, per chiedere di "avocare" a sè un atto, per altro caratterizzato da spiccata tecnicità edilizia, in modo da superare le valutazioni tecniche contrarie del responsabile tecnico e, quindi, disporre il provvedimento di concessione.

Storia che prosegue con l'avocazione e anche l'instaurazione di un procedimento disciplinare nei confronti del tecnico.

La storia finisce col tecnico che per tutelarsi contro l'avocazione illegittima, si rivolge al giudice civile, che riconosce la legittimità del suo operato, fino a giungere alla Cassazione, che esclude il potere di avocazione del comune, costituitosi ancora una volta contro il tecnico e supportata per altro da un intervento di un sindacato da anni alla ricerca dell'assegnazione ai segretari comunali dell'inesistente potere di avocazione".

Come si nota, la Cassazione ha affrontato una questione legata non ad un inadempimento, bensì ad una decisione gestionale di rigetto di un'istanza edilizia, cui ha fatto seguito la reazione dell'amministrazione, che ha preteso ed ottenuto dal segretario comunale di "avocare" la competenza per concedere ciò che il tecnico aveva denegato, causando contestualmente il procedimento disciplinare del tecnico. Tutto senza alcun fondamento.

Ora, si ribadisce, il richiamo di questa sentenza non ha lo scopo di fondare la illiceità della clausola della preintesa, bensì di evidenziare quali sono le certe conseguenze del certissimo utilizzo distorto che del potere di avocazione verrebbe diffusamente preteso nei comuni.

Il problema è, appunto, nel concepire e definire l'ipotesi di "inadempimento". Sul piano squisitamente giuridico è ovviamente il mancato compimento di un obbligo o la mancata esecuzione di un'obbligazione.

Troppo facile è, però, prevedere che agli occhi degli amministratori di matrice politica, "inadempimento" è anche negare una concessione edilizia, non attribuire un contributo, non assegnare un appalto in affidamento diretto ad una certa ditta, non concludere un concorso con la collocazione al primo posto in graduatoria del candidato che si sarebbe voluto "premiare".

Da questo punto di vista, la clausola del Ccnl non solo è nulla, ma scellerata sul piano operativo, perchè se non intesa come riscrittura mal riuscita dell'articolo 2, comma 9-bis, della legge 241/1990, potrebbe far esplodere continui contrasti tra politica e gestione negli enti locali e trasformare, per via contrattuale, il segretario in quella longa manus politica che sarebbe stato il "dirigente apicale" mai entrato in vigore.

Sul piano del merito, per altro, c'è, abbastanza da dubitare della legittimità di una manovra che intenda ripresentare, sia pure non nominalmente, un istituto che per legge non è passato, attraverso una diversa fonte.

Sentenza vecchia. Tra le argomentazioni favorevoli all'avocazione, si afferma anche quella secondo la quale l'opposta tesi è erronea perchè fondata sulla citata sentenza della Cassazione, una sentenza comunque "vecchia" e come tale non utile a fondare un'argomentazione.

A parte la circostanza che la clausola contrattuale va considerata nulla non per la sentenza della Cassazione, bensì per le violazioni di legge indicate sopra, fondare un'interpretazione giuridica sulla datazione di una sentenza è oggettivamente del tutto privo di senso e di pratica giuridica.

Le sentenze non hanno il marchio di scadenza, come lo yogurt. Esse si considerano come elemento a supporto di tesi, sulla base del loro contenuto, non in relazione alla data di emanazione. Le sentenze con le quali la Consulta ha rilevato l'illegittimità costituzionale dello spoil system per i dirigenti non appartenenti alla prima fascia sono del 2007, esattamente come quella della Cassazione citata sopra: nessuno dubita che le sentenze della Consulta, pur di 13 anni fa, siano e restino attuali.

Una sentenza può divenire "vecchia", ma meglio dire inconferente rispetto ad una questione interpretativa, se riferita a norme non più in vigore o ad un sistema ordinamentale superato.

L'argomentazione della sentenza "vecchia", si consenta, è una non argomentazione, ma solo un sofisma, finalizzato a non affrontare il problema vero: spiegare perchè la clausola della preintesa non vìoli l'articolo 40, comma 1, del d.lgs 165/2001. Fermarsi sulla data della sentenza è come buttare il pallone in tribuna o parlar d'altro, per distogliere dal tema reale.

 

https://luigioliveri.blogspot.com/2020/07/ccnl-dirigenza-locale-valorizzazione.html

Ccnl dirigenza locale: valorizzazione dei segretari comunali o complicazione dell'assetto normativo e retributivo?

 

La preintesa del Ccnl dell’area dirigenziale, comparto Funzioni Locali, con riferimento al segretario comunale, viene considerata da molti come strumento di  “valorizzazione del ruolo”.

Leggendo l’articolo 101, comma 1, della preintesa, però, si arriva ad una conclusione molto diversa.

Lungi da una “valorizzazione” del ruolo del segretario, si nota come il Ccnl altro non faccia che andare ad ulteriore detrimento della figura, proseguendo un percorso che dura dal 1997.

Vediamo il perché. Il testo dell’articolo 101, comma 1, dispone quanto segue: “Nei comuni fino a 100.000 abitanti ovvero nei Comuni, Province e Città Metropolitane ove non sia stato nominato il direttore generale ai sensi dell’art. 108 del d. Lgs. n. 267/2000, l’assunzione delle funzioni di segretario comunale comporta compiti di sovraintendenza allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e di coordinamento delle loro attività, tra i quali la sovraintendenza alla gestione complessiva dell’ente, la responsabilità della proposta del piano esecutivo di gestione nonché, nel suo ambito, del piano dettagliato degli obiettivi e del piano della performance, la responsabilità della proposta degli atti di pianificazione generale in materia di organizzazione e personale, l’esercizio del potere di avocazione degli atti dei dirigenti in caso di inadempimento”.

Trascuriamo gli elementi di evidentissima violazione di legge della clausola, che ne comporta certamente la nullità e concentriamoci sulla presunta funzione di “valorizzazione” della figura.

Con una premessa, purtroppo, sempre di legittimità. Laddove la norma contrattuale fosse intesa come intenta a riprodurre, nella sostanza, nei comuni sotto i 100.000 abitanti la figura del direttore generale per altro incardinandola obbligatoriamente nel segretario comunale, questa chiave di lettura sarebbe un’ulteriore vizio clamoroso di legittimità della clausola contrattuale. Essa, infatti, andrebbe a cozzare col meritorio articolo 2, comma 186, lettera d), della legge 191/2009, modificato dall'art. 1, comma 1-quater, lett. d), della legge 42/2010, grazie al quale nei comuni fino a 100.000 abitanti la figura, inutile e costosa, del direttore generale è stata eliminata. Ovviamente, un contratto collettivo non può surrettiziamente reintrodurre una figura abolita.

Ora, visto che:

1.      nei comuni fino a 100.000 abitanti il direttore generale – fortunatamente – non esiste e non può essere ripristinato:

2.      al direttore generale l’articolo 108 del d.lgs 267/2000 assegna i compiti di “attuare gli indirizzi e gli obiettivi stabiliti dagli organi di governo dell'ente, secondo le direttive impartite dal sindaco o dal presidente della provincia, e che sovrintende alla gestione dell'ente, perseguendo livelli ottimali di efficacia ed efficienza. Compete in particolare al direttore generale la predisposizione del piano dettagliato di obiettivi previsto dall'articolo 197, comma 2 lettera a), nonché la proposta di piano esecutivo di gestione previsto dall'articolo 169”, in assenza del segretario comunale;

3.      al segretario comunale, quindi, per necessaria conseguenza logica e giuridica, spettano queste identiche funzioni, in assenza del direttore generale, anche perché è solo con l’esercizio di queste funzioni il segretario “sovrintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e ne coordina l'attività”, come prevede l’articolo 97 del Tuel;

la conclusione che si deve necessariamente trarre è che l’articolo 101, comma 1, della preintesa non introduce alcuna novità per i segretari dei comuni con popolazione inferiore ai 100.000 abitanti. Pertanto, non c’è nessuna “valorizzazione”, ma solo un racconto delle cose come stanno.

Al contrario, la norma si rivela estremamente controproducente per i segretari dei comuni con oltre 100.000 abitanti e di province e città metropolitane. Infatti, l'articolo 101, comma 1, certifica anche contrattualmente che i segretari di tali enti, se presente il direttore generale, si limitano ad alcune funzioni: responsabili anti corruzione, consulenti giuridico amministrativi, ufficiali roganti, assistenza alle sedute degli organi collegiali. Ma non a svolgere le funzioni di coordinamento attribuite ai segretari degli enti di minori dimensioni.

E, così come scritta, la norma lascia apparire che le funzioni di coordinamento, "normali" nei segretari con popolazione inferiore a 100.000 abitanti, divengano invece “eccezionali” nei comuni maggiori e in province e città metropolitane. Il che è manifestamente assurdo: non si vede perché un segretario con esperienza e competenza in ipotesi maggiori e di maggior durata di segretari iscritti a fasce che non consentono di andare in sedi di segreteria da oltre 100.000 abitanti, per esercitare le funzioni ordinariamente spettanti ai segretari, debbano essere ammantati dell’incarico di direttore generale, con l’aggravio di costi che ciò comporta (l’articolo 44 del Ccnl 15.5.2001, che ammette una specifica indennità per la direzione generale, è ancora applicabile), visto che si tratta, ai sensi del contratto, di funzioni del tutto ordinariamente connesse allo status di segretario. Ma, perché applicare un incremento retributivo per una funzione ordinariamente spettante, è tutto da comprendere.

La presunta “valorizzazione” pone problemi di coerenza dell’inquadramento della figura e della stessa sostenibilità dell’articolo 44 del Ccnl, in un quadro contrattuale che considera – giustificatamente – normale caratterizzazione della figura del segretario l’esercizio delle funzioni di coordinamento connesse a dette funzioni.

L'unica vera valorizzazione si avrà quando sarà eliminato lo spoil system.

 

https://luigioliveri.blogspot.com/2020/07/lillegittimita-dellavocazione-degli.html

L'illegittimità dell'avocazione degli atti dei dirigenti da parte del segretario accertata dalla Cassazione

La sentenza della Corte di cassazione Sezione Lavoro 12 giugno 2007, n. 13708 è perfettamente rappresentativa delle deviazioni connesse all'assegnazione di inesistenti poteri di avocazione ai segretari comunali.

Essa racconta una storia emblematica del tentativo di ingerenza e forzatura, con tanto di ritorsione, della politica nella gestione.

La storia è quella di un responsabile del servizio edilizia, che evidenzia all'amministrazione, evidentemente propensa ad autorizzare ad una certa persona un intervento edilizio, l'illegittimità e la connessa improcedibilità della concessione.

E la storia continua con l'amministrazione che si rivolge al segretario comunale, per chiedere di "avocare" a sè un atto, per altro caratterizzato da spiccata tecnicità edilizia, in modo da superare le valutazioni tecniche contrarie del responsabile tecnico e, quindi, disporre il provvedimento di concessione.

Storia che prosegue con l'avocazione e anche l'instaurazione di un procedimento disciplinare nei confronti del tecnico.

La storia finisce col tecnico che per tutelarsi contro l'avocazione illegittima, si rivolge al giudice civile, che riconosce la legittimità del suo operato, fino a giungere alla Cassazione, che esclude il potere di avocazione del comune, costituitosi ancora una volta contro il tecnico e supportata per altro da un intervento di un sindacato da anni alla ricerca dell'assegnazione ai segretari comunali dell'inesistente potere di avocazione.

La storia che racconta questa sentenza è molto più diffusa di quanto non appaia. Per un fatto accertato in una sentenza, altri 100 non vanno a giudizio.

La sciagurata e nulla previsione contenuta nell'articolo 101 della preintesa del Ccnl dell'area dirigenza delle Funzioni Locali, riproponeo ancora una volta, l'ennesima volta, il tentativo di riconoscere per via contrattuale quel potere di avocazione che la legge e la giurisprudenza non riconoscono ai segretari, per altro utilizzando una fonte, il Ccnl, alla quale la legge inibisce tale potere normativo. E tale sciagurata previsione altro non farà, in quegli enti che non avranno la capacità di riconoscerne la totale nullità, se non decuplicare i casi di ingerenza politica sulle decisioni gestionali per mano dei segretari (divisi tra quelli convinti che l'incarico per "personale adesione" al progetto politico li induce necessariamente ad operare come soggetto politico e cane da guardia delle decisioni politiche, a prescindere dalla loro praticabilità tecnica, e quelli che si sentiranno stritolati dall'espansione dello spoil system, discendente dalla pressione operativa derivante dall'articolo 103, comma 4, della preintesa, che connette la revoca dell'incarico anche alla mancata avocazione). Altra conseguenza, sarà la crescita abnorme della conflittualità interna agli enti e del contenzioso amministrativo, civile e penale.

Non si può fare a meno di chiedersi se davvero valeva la pena introdurre nel Ccnl una clausola contra legem per dare copertura a modalità operative di questo genere.

Infine. Questa storia del 2007, attualissima, evidenzia l'altro estremo vulnus che sta dietro la sciagurata clausola: la concezione del cosiddetto "inadempimento" non per quello che dovrebbe essere, cioè la violazione di un obbligo ad adempiere, bensì per quello che intenderanno gli organi di governo, cioè l'adozione di decisioni che ad essi risultino sgradite.

Il tecnico protagonista della sentenza qui sotto riportata non è stato per nulla inadempiente: ha semplicemente denegato la concessione edilizia.

Appare gravissimo che un Ccnl possa fornire fieno alla cascina di un modo di amministrare la cosa pubblica in modo così lontano dal buon andamento e dalle regole della tecnica.

 

 

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

 

SEZIONE LAVORO

 

Sentenza 12 giugno 2007, n. 13708

 

Svolgimento del processo

 

C.B., geometra, impiegato del Comune di Cogorno nell'area tecnica e tecnico manutentiva comunale, inquadrato in cat. D3, dovendo decidere della domanda di un privato avente ad oggetto l'autorizzazione paesaggistica ex Lege n. 1497 del 1939 e la concessione edilizia ad eseguire lavori di ristrutturazione con sostituzione edilizia di fabbricato adibito ad attività non insalubre, ritenendo che la richiesta non potesse trovare accoglimento perchè l'intervento era da considerare quale nuova ristrutturazione, comunicò il diniego di concessione al Sindaco.

 

Questi intimò al C. il rilascio del provvedimento, che venne poi effettivamente emesso, su richiesta del Sindaco, dal Segretario comunale in via sostitutiva.

 

Il C. chiese quindi al Tribunale - giudice del lavoro di dichiarare illegittimo il provvedimento emesso dal Segretario comunale, di riconoscergli la titolarità esclusiva del potere decisionale sui provvedimenti di concessione edilizia, e di dichiarare legittimo il diniego della concessione. Il Tribunale ritenuta la giurisdizione del giudice amministrativo per una parte di tali domande, affermò, quanto al resto, che in caso di inadempienza ingiustificata e illegittima dei funzionari, sussisteva il potere del Segretario comunale di sostituzione - avocazione. Il geom. C. impugnò tale sentenza e l'appellato si costituì resistendo.

 

A seguito della vicenda amministrativa sopra riassunta il Comune di Cogorno irrogò al dipendente la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per cinque giorni, contesi andò due addebiti: a) la violazione dei doveri di comportamento da cui sia derivato disservizio ovvero danno agli utenti o a terzi, in relazione al mancato rilascio della concessione edilizia, nonostante il parere favorevole della commissione edilizia integrata, e il conseguente prolungarne ti lo dei tempi di rilascio, fonte di possibile responsabilità risarcitoria per il comune; b) la condotta non conforme ai principi di correttezza verso i superiori in relazione all'esposto presentato dal C. alla Procura della Repubblica, contenente l'informazione circa l'avvenuto esercizio del potere sostitutivo, per la verifica dell'illecito penale, eventualmente configurabile in tale esercizio.

 

Il geom. C. impugnò la sanzione dinanzi al Tribunale di Chiavari e il Comune si costituì resistendo.

 

Il Tribunale rigettò le eccezioni proposte dal Comune, fondate la prima sulla circostanza che il giudice incaricato della decisione era stato componente del Collegio che aveva deciso sul reclamo contro un'ordinanza cautelare, resa nel procedimento del quale il processo di merito costitutiva riassunzione, la seconda sul mancato esperimento del tentativo di conciliazione. Nel merito accolse il ricorso del C., escludendo che vi fosse stato indebito ritardo e perciò violazione di doveri da parte del dipendente, essendo stati compiuti nel corso della procedura concessoria diversi atti che si palesavano opportuni ed essendo intercorse varie comunicazioni con l'amministrazione comunale e regionale. Il Tribunale escluse altresì che fosse qualificabile quale comportamento scorretto il fatto che il dipendente si era rivolto all'autorità giudiziaria.

 

Il Comune di Cogorno propose appello contro la sentenza ribadendo le eccezioni richiamate e sostenendo, nel merito, la legittimità dell'intervento sostitutivo di fronte al rifiuto del dipendente, e del provvedimento disciplinare. Il C. si costituì resistendo.

 

La Corte d'Appello di Genova riuniti i due procedimenti ha dichiarato illegittima la sostituzione operata dal Segretario comunale, confermando nel resto le sentenza impugnate e motivando, in sintesi, come segue.

 

Non vi è alcuna incompatibilità fra la lettura in udienza della motivazione della sentenza ed il rito del lavoro. Inoltre l'aver trattato della controversia in sede di procedimento cautelare non costituisce un'ipotesi assimilabile sotto il profilo della incompatibilità alla trattazione della causa in altro grado del giudizio. In ogni caso sarebbe stato necessario far valere tale circostanza come motivo di ricusazione, il che non era avvenuto.

 

Non è fondata l'eccezione di improcedibilità, dovendo farsi riferimento al termine di cui all'articolo 669 - octies c.p.c., comma 4, ampiamente trascorso al momento della instaurazione della causa di merito dinanzi al Tribunale.

 

Quanto al merito, la concessione edilizia è atto proprio del dirigente, o nei comuni senza dirigenti come quello in questione, del responsabile dell'ufficio competente. Il C. era, pacificamente, responsabile del servizio tecnico del Comune. Il Segretario comunale sulla base della normativa di riferimento (D.Lgs. n. 267 del 2000, articolo 97) non ha poteri di avocazione e sostituzione ma funzioni di supervisione e coordinamento dei dirigenti. Lo stesso deve dirsi anche sulla base del regolamento comunale anteriore alla citata disposizione di legge. E' consentita l'assegnazione al Segretario comunale di funzioni ulteriori, ma occorre una previsione espressa, che nella specie è stata introdotta con il regolamento comunale successivo ai fatti di causa, e nel quale comunque il potere di avocazione e sostituzione presuppone l'accertata inerzia del dirigente titolare. In conclusione, sia pure per un solo atto, il Comune con il provvedimento di sostituzione del 20 settembre 2001 ha illegittimamente spogliato il dipendente delle mansioni che gli erano attribuite.

 

Quanto alla sanzione disciplinare, l'informazione circa l'esercizio del potere sostitutivo data dal C. all'autorità giudiziaria, ossia l'invocazione del controllo di legalità sull'operato dell'amministrazione, non può integrare lesione della dignità professionale e personale del Segretario comunale, salvo il caso di denunzia con modalità denigratorie ed offensive, neppure adombrate nel procedimento disciplinare. D'altra parte il contratto collettivo tipicizza l'illecito disciplinare nella "condotta non conforme ai principi di correttezza verso i superiori", e richiama pertanto principi di lealtà ed onestà, la cui violazione è incompatibile con una condotta secondo diritto, quale la denunzia all'autorità giudiziaria, tanto più che il C. non aveva un interesse giuridico a impugnare la concessione dinanzi al giudice amministrativo.

 

Quindi uno dei due addebiti è da ritenere insussistente. Poichè la sanzione è stata inflitta in considerazione dell'intera vicenda, venuta meno la rilevanza disciplinare di una parte di questa, la sanzione complessiva deve ritenersi eccessiva, e perciò contraria al principio di proporzionalità fissato nell'articolo 25 del contratto collettivo.

 

Di questa sentenza il Comune di Cogorno chiede la cassazione sulla base di quattro motivi limitatamente peraltro alla parte in cui essa ha dichiarato l'illegittimità della sostituzione operata dal Segretario comunale con il provvedimento del 20 settembre 2001.

 

C.B. resiste con controricorso, chiedendo preliminarmente che sia dichiarata l'inammissibilità del ricorso per inefficacia o invalidità della procura conferita dal Sindaco del Comune di Cogorno nonchè per violazione del principio di autosufficienza e per la mancata individuazione degli errore addebitati alla sentenza impugnata.

 

L'Unione nazionale segretari comunali e provinciali, ha depositato una "comparsa di costituzione" aderendo al ricorso del Comune.

 

Motivi della decisione

 

Preliminarmente vanno esaminate le diverse eccezione di inammissibilità del ricorso.

 

Secondo il controricorrente la procura alle liti conferita dal Sindaco al difensore del Comune non sarebbe valida, e determinerebbe l'eccepita inammissibilità del ricorso, in quanto avrebbe ecceduto il contenuto decisorio della autorizzazione concessa dalla Giunta comunale.

 

L'eccezione è infondata dal momento che le Sezioni unite di questa Corte, superando il contrario orientamento giurisprudenziale cui si richiama il controricorrente, hanno affermato che nel nuovo quadro delle autonomie locali, ai fini della rappresentanza in giudizio del Comune, l'autorizzazione alla lite da parte della giunta comunale non costituisce più, in linea generale, atto necessario ai fini della proposizione o della resistenza all'azione, salva restando la possibilità per lo statuto comunale - competente a stabilire i modi di esercizio della rappresentanza legale dell'ente, anche in giudizio ("ex" art. 6, comma 2, del lesto unico delle leggi sull'ordinamento delle autonomie locali, approvato con il D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267) - di prevedere l'autorizzazione della giunta, ovvero di richiedere una preventiva determinazione del competente dirigente (ovvero, ancora, di postulare l'uno o l'altro intervento in relazione alla natura o all'oggetto della controversia). Ove l'autonomia statutaria si sia così indirizzata - il che nella specie non è stato dedotto - l'autorizzazione giuntale o la determinazione dirigenziale devono essere considerati atti necessari, per espressa scelta statutaria, ai fini della legittimazione processuale dell'organo titolare della rappresentanza. (Cass. Sez. Un. 16 giugno 2005, n. 12868).

 

Parimenti infondato è il rilievo di difetto di autosufficienza per la mancata trascrizione della parte della sentenza ritenuta viziata.

 

L'art. 366 c.p.c., comma 1, sia nel testo vigente al momento della proposizione del ricorso che in quello attuale richiede l'esposizione sommaria dei fatti di causa, e non quella della sentenza o del capo della sentenza, la cui trascrizione nel ricorso può essere come può non essere sufficiente ai fini del requisito in esame.

 

Infine, le censure formulate nei quattro motivi consentono pienamente di comprendere, come del resto si vedrà in seguito, quali errori vengano addebitati alla sentenza impugnata, sicchè è da respingere anche l'ultimo delle ragioni di inammissibilità fatta valere dal controricorrente.

 

Quanto alla posizione della Unione Nazionale Segretari Comunali e Provinciali che ha depositato un atto denominato "comparsa di costituzione" in adesione al ricorso del Comune di Cogorno, va rilevato che si tratta di un atto di intervento volontario,del quale va dichiarata l'inammissibilità in questa sede, in conformità di costante giurisprudenza di questa Corte (v. per tutte Cass. 7 luglio 2004, n. 12448).

 

Con il primo motivo di ricorso è denunziata violazione e falsa applicazione dell'articolo 281 sexies c.p.c..

 

Si sostiene che la sentenza di primo grado sarebbe nulla perchè, riguardando una controversia di lavoro, non poteva essere pronunziata mediante contestuale lettura della motivazione secondo quanto previsto dalla norma richiamata.

 

Il motivo è infondato E' infatti esatto ritenere, come ha fatto il giudice di merito, che non vi sia alcuna incompatibilità di principio fra la lettura in udienza della motivazione della sentenza ed il rito del lavoro potendosi porre solo un problema di opportuni adattamenti in relazione all'assenza, nel rito del lavoro, dell'udienza di precisazione delle conclusioni, problema però insussistente nella specie.

 

Come recentemente ricordato da questa Corte, nel rito del lavoro - essendo vietate le udienze di mero rinvio e non essendo prevista un'udienza di precisazione delle conclusioni - ogni udienza, a cominciare dalla prima, è destinata, oltre che all'ammissione ed assunzione di eventuali prove, alla discussione orale e, quindi, alla pronuncia della sentenza ed alla lettura del dispositivo - sulle conclusioni di cui al ricorso, per quanto riguarda l'attore, e su quelle di cui alla memoria difensiva, per quanto concerne il convenuto, salvo modifiche autorizzate dal giudice per gravi motivi - con la conseguenza che il giudice del lavoro non è tenuto ad invitare le parti alla precisazione delle conclusioni - prima della pronuncia della sentenza - al termine dell'udienza, nella quale le stesse parti hanno facoltà di procedere alla discussione orale - rimessa, integralmente, alla loro discrezionalità - senza che ne risulti alcuna violazione del diritto di difesa. Sulla base di tale principio è quindi corretto ritenere applicabile al processo del lavoro la disposizione di cui all'art. 281 sexies cod. proc. civ., a condizione del suo adattamento al rito speciale, nel quale, a differenza di quanto stabilito nella citata disposizione riguardante la fase decisoria nel giudizio ordinario di cognizione dinanzi al tribunale in composizione monocratica, non è prevista l'udienza di precisazione delle conclusioni. (Cass. 20 aprile 2006, n. 9235).Si deve considerare, d'altra parte, che l'interesse sotteso alla disposizione che nel rito del lavoro prescrive la decisione in udienza mediante lettura del dispositivo (art. 429 c.p.c., comma 1; v. anche art. 420 c.p.c., comma 4) non solo non contrasta ma è pienamente coerente con lo scopo di accelerazione perseguito nell'art. 281 sexies c.p.c.. Nè, peraltro, la lettura della motivazione e del dispositivo in un unico contesto temporale può in alcun modo ritenersi, anche nel rito del lavoro lesiva di alcun interesse delle parti, dovendo al contrario ipotizzarsi che queste si giovino della immediata conoscenza, oltre che della decisione, delle ragioni di questa.

 

Con il secondo motivo di ricorso è denunziata violazione e falsa applicazione dell'articolo 51 c.p.c., n. 4 e del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, articoli 69 e 69 bis. Il motivo contiene due censure.

 

Con la prima si addebita alla sentenza impugnata di non aver considerato che il giudice chiamato a decidere nel merito il ricorso riassunto dal geom. C. ex articolo 669 terdecies c.p.c., avrebbe avuto l'obbligo di astenersi, avendo già fallo parte, quale relatore, del collegio che aveva deciso sul reclamo del Comune contro l'ordinanza del Tribunale di Chiavari 19 - 20 giugno 2002, Con la seconda si addebita alla sentenza impugnata di aver rigettato l'eccezione di improcedibilità del ricorso in riassunzione, fondata sulla mancata promozione da parte del ricorrente del tentativo obbligatorio di conciliazione.

 

La prima censura è infondata.

 

Nei procedimenti civili - come in quelli disciplinari dinanzi agli ordini forensi- l'inosservanza dell'obbligo dell'astensione determina la nullità del provvedimento adottato solo nell'ipotesi in cui il componente dell'organo decidente abbia un interesse proprio e diretto nella causa, tale da porlo nella veste di parte del procedimento, mentre in ogni altra ipotesi la violazione dell'art. 51 cod. proc. civ. assume rilievo solo quale motivo di ricusazione, rimanendo esclusa, in difetto della rv relativa istanza, qualsiasi incidenza sulla regolare costituzione dell'organo decidente e sulla validità della decisione, con la conseguenza che la mancata proposizione di detta istanza nei termini e con le modalità di legge preclude la possibilità di far valere tale vizio in sede d'impugnazione, quale motivo di nullità del provvedimento (v., fra le molte, Cass. Sez. un. 8 agosto 2005, n. 16615; Cass. 15 giugno 2004, n. 11275). In tale ordine di idee si è ritenuto in particolare non deducibile come motivo di nullità di una sentenza d'appello la circostanza che uno dei componenti del collegio che l'ha pronunciata precedentemente avesse conosciuto dei medesimi fatti in sede di reclamo contro ordinanza di rigetto di richiesta di un provvedimento di urgenza "ante causam", poichè l'avere conosciuto della stessa causa in un altro grado deve essere ritualmente fatto valere come motivo di ricusazione del giudice, a norma dell'art. 51 c.p.c., comma 1, n. 4, e art. 52 cod. proc. civ. e, d'altra parte, l'avere trattato della controversia in sede di procedimento cautelare proposto "ante causam" neanche costituisce, secondo la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 326/1997 e ordinanza n. 193/1998), un'ipotesi sufficientemente assimilabile, sotto il profilo dell'incompatibilità, alla trattazione della causa in un altro grado di giudizio. (Cass. 13 agosto 2001, n. 11070).

 

Anche la seconda censura è infondata.

 

L'articolo 669 octies c.p.c., nel testo vigente all'epoca dei fatti di causa, dispone, per quanto di rilievo, che l'ordinanza cautelare di accoglimento di domanda proposta ante causam deve fissare un termine perentorio non superiore a 30 giorni per l'inizio del giudizio di merito (comma 1); che tale termine perentorio di 30 giorni vale comunque se il giudice non ne abbia fissato uno diverso (comma 2); che esso decorre dalla pronunzia dell'ordinanza, se in udienza, o dalla sua comunicazione (comma 3).

 

Lo stesso articolo (comma 4) per le controversie di lavoro con le pubbliche amministrazioni, quale quella in esame, stabilisce che il termine decorre dal momento in cui la domanda è divenuta procedibile, condizione che, in base a quanto previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, articolo 65, comma 2, (corrispondente all'articolo 69 del D.Lgs. n. 29 del 1993) si verifica trascorsi 90 giorni dalla promozione del tentativo di conciliazione.

 

Ma il codice di rito civile, con la norma in esame, considera anche l'ipotesi in cui la conciliazione non sia stata richiesta e, coerentemente con il principio della necessaria introduzione della causa di merito entro un termine breve e non superabile, stabilisce, che in tale caso il termine inizi il proprio decorso, una volta decorsi, a loro volta, 30 giorni. Così, come la dottrina non ha mancato di rilevare, interrogandosi sulla scarsa ragionevolezza della soluzione, per il promovimento della causa di merito in tale genere di controversie si determina un sicuro allungamento, cumulandosi due termini, il primo dei quali peraltro oggi, per effetto del nuovo articolo 669 octies c.c. raddoppiato a 60 giorni.

 

Da quanto precede deriva che, entro il (più lungo) termine così individuato il ricorrente vittorioso in sede cautelare ha in ogni caso l'onere di proporre la domanda di merito, ancorchè il giudice rilevando la mancata proposizione del tentativo di conciliazione possa sospendere il giudizio ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, articolo 65, comma 3, l'issando alle parti il termine perentorio per promuovere il tentativo.

 

Ciò premesso, è pacifico nel caso di specie, che il giudizio di merito sia stato avviato entro il termine di cui sopra e che il giudice di merito non lo abbia sospeso rimettendo le parti alla sede competente per la conciliazione. Quindi è inesatto dire, come fa la sentenza, che al momento della udienza di discussione la causa era procedibile, perchè in realtà il giudice avrebbe dovuto rilevare che essa non era stata preceduta dal tentativo e provvedere conseguentemente.

 

Tuttavia la censura in esame non può condurre alla cassazione della sentenza.

 

Questa Corte, con riferimento alle controversie di lavoro privato, ma con una affermazione che deve ritenersi egualmente valida per quelle di lavoro con le pubbliche amministrazioni, data la riconducibililà di entrambe sotto il profilo in esame al medesimo principio, ha infatti chiarito che la questione della procedibilità della domanda giudiziaria in relazione al preventivo espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione è sottratta alla disponibilità delle parti e rimessa al potere - dovere del giudico del merito, da esercitarsi, ai sensi dell'art. 443 cod. proc. civ., comma 2, solo nella prima udienza di discussione, sicchè ove la improcedibilità, ancorchè segnalata, non venga rilevata dal giudice entro detto termine e non sia stato fissato il termine perentorio per la richiesta del tentativo, l'azione giudiziaria prosegue, in ossequio al principio di speditezza di cui agli artt. 24 e 111 Cost., comma 2, e la questione stessa non può essere riproposta nei successivi gradi del giudizio. (Cass. 19-07-2004, n. 13394; 27 febbraio 2003, n. 3022).

 

Con il terzo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione dell'articolo 25, comma 4, del c.c.n.l. 6 luglio 1995.

 

Si addebita alla sentenza impugnata di avere ritenuto illegittima la avocazione da parte del Segretario comunale, in quanto intervenuta prima del regolamento comunale che ne aveva previsto la possibilità, e di aver considerato corretto il diniego della concessione edilizia dato il parere negativo della Regione.

 

Così decidendo il giudice del merito non aveva però considerato che la Regione Liguria ha subdelegato ai Comuni le funzioni conferitele dalla legge in materia di paesaggio e che i Comuni devono esercitare i relativi poteri sulla base della parere vincolante della Commissione edilizia. Quindi, dato il parere favorevole di quest'ultima, il Contorno non poteva disattenderlo ed era obbligato non solo al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica ma anche a quello delle concessione, non potendo far richiamo al parere dell'Ufficio Affari giuridici della Regione, non competente in materia, nè richiedere inconferenti varianti al piano regolatore generale, con aggravio del procedimento e il superamento del termine fissato dalla legge per il rilascio dell'atto in questione.

 

D'altra parte dai compiti di sovrintendenza e coordinamento attribuiti della legge al Segretario comunale deriva in capo tale organo il potere di avocazione, con la conseguenza che una volta diffidato dal Segretario comunale a compiere l'atto il C. era tenuto a provvedervi.

 

Con il quarto motivo è dedotta violazione dell'articolo 25, comma 4, contratto collettivo nazionale di lavoro 6 luglio 1995, sotto altro profilo.

 

Si addebita alla sentenza impugnata di non avere considerato che, data l'inottemperanza alla diffida da parte del C., era legittima la sostituzione disposta dal Segretario comunale, e ciò anche in considerazione di quanto previsto dallo Statuto comunale in materia di corretto e tempestivo assolvimento degli incarichi da parte degli uffici, e di responsabilità verso il Segretario comunale dei dipendenti ad essi preposti. Parimenti legittima era quindi la sanzione irrogata al C., per la grave violazione dei compiti istituzionali e il rischio di risarcimento al quale egli, ledendo l'interesse legittimo del privato, aveva esposto il Comune.

 

I motivi, fra loro connessi, possono essere esaminati congiuntamente.

 

Prima di tale esame la Corte ritiene necessario peraltro chiarire esattamente i termini della impugnazione sulla quale è chiamata a decidere, data la mancanza di chiarezza del ricorso su tale punto. Il ricorrente afferma infatti di voler ottenere la "riforma" della sentenza impugnata "laddove ha dichiarato l'illegittimità della sostituzione operata dal Segretario comunale con il provvedimento 10563 del 20 settembre 2001" in ragione dei motivi successivamente esposti, ma nel quarto motivo di ricorso esordisce affermando che l'irrogazione del provvedimento disciplinare sarebbe "ancor più giustificata" dalla sua del C. mancata ottemperanza alla diffida a rilasciare la concessione" e nelle conclusioni chiede alla Corte di confermare la sanzione disciplinare inflitta dal Comune al dipendente.

 

La Corte non può che valorizzare l'insieme di questi dati e ritenere pertanto che l'annullamento della sentenza sia chiesto non solo nel capo relativo alla dichiarata illegittimità della sostituzione ma anche in quello concernente la ritenuta illegittimità della sanzione.

 

Ciò premesso, può tuttavia agevolmente affermarsi, già sulla base della lettura dei motivi in questione, che essi non sono idonei ad ottenere la cassazione della sentenza in tale secondo capo. La valutazione di illegittimità, fatta dal giudice di merito, è infatti fondata su di una ragione - il difetto di proporzionalità rispetto al fatto complessivamente considerato, parte essenziale del quale è stata considerata l'iniziativa del dipendente di informare l'autorità giudiziaria dell'esercizio del potere sostitutivo da parte del Segretario comunale - che le censure sopra riferite neppure prendono in considerazione.

 

Vale quindi, con gli opportuni adattamenti, il principio per cui il ricorso che non censuri tutte le ragioni poste a fondamento della decisione è inammissibile (fra le molte, Cass. 18 maggio 2005, n. 10420; Cass. 4 febbraio 2005, n. 2274; Cass. 26 maggio 2004, n. 10134) la diversità rispetto a tale ipotesi qui risiedendo nella circostanza che, benchè il ricorso sia diretto contro più capi della sentenza, solo uno di essi è, quanto meno in astratto, effettivamente investito da censure che lo riguardano.

 

L'esame va allora rivolto ai motivi soprariassunti in quanto diretti a contestare la valutazione di illegittimità della sostituzione operata dal Segretario comunale nei confronti di un atto rientrante nella sfera di attribuzione del C., cui pacificamente, secondo conformi previsioni di legge, erano state attribuite funzioni dirigenziali, benchè privo della relativa qualifica.

 

I fatti rilevanti per la causa, per quanto emerge dalla sentenza impugnata, si sono svolti nell'arco di tempo che va dall'8 maggio 2000, data di presentazione della domanda di concessione edilizia, al 20 settembre 2001, data del rilascio della concessione da parte del segretario comunale.

 

Essi vanno pertanto valutati alla luce delle norme contenute nel D.Lgs. 18 agosto 2000, 267 (testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) onde accertare se fosse o no legittimo sostituire il C. nella emanazione dell'atto (concessione edilizia) rientrante nelle funzioni assegnategli. Quindi non hanno rilievo le argomentazioni sviluppate nei motivi del ricorso circa la normativa regionale in tema di autorizzazione paesaggistica e dei relativi compiti da essa subdelegati ai Comuni, nè quelle in tema di doverosità del rilascio della concessione da parte del dipendente.

 

D'altra parte, neppure possono avere rilievo le norme regolamentari e statutarie citate nel ricorso (Statuto comunale in ultimo modificato con atto del Consiglio 20 marzo 1995, n. 19) che riflettono un sistema anteriore al vigore del cit. testo unico, disegnando in modo difforme da esso il rapporto fra dipendenti comunali e segretario.

 

Ciò premesso deve osservarsi che nel D.Lgs. n. 267 del 2000 i compiti propri del segretario comunale sono definiti, in linea generale quali "compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico- amministrativa nei confronti degli organi dell'ente in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti" (t.u. articolo 97, comma 2). Viene poi specificato che "il segretario sovrintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e ne coordina l'attività" (articolo 97, comma 4, prima parte dell'enunziato). Al segretario inoltre possono essere specificamente attribuite dallo statuto o dai regolamenti o conferite dal vertice politico dell'ente ulteriori funzioni (articolo 97, comma 4, lettera d).

 

Disposizioni specifiche regolano inoltre i compiti del segretario comunale in relazione alla presenza o assenza nella struttura organizzativa dell'ente della figura del direttore generale, alla cui nomina il vertice politico dell'ente può provvedere sulla base dell'articolo 108 del medesimo testo unico.

 

Nell'ipotesi in cui il direttore generale manchi, le funzioni di quest'ultimo possono essere conferite al segretario (articolo 108, comma 4 t.u.), l'elenco delle cui funzioni comprende infatti "le funzioni di direttore generale nell'ipotesi prevista dall'articolo 108 c.p.c., comma 4". (art. 97 comma 4, lett. e).

 

Qualora tale conferimento non sia avvenuto, i compiti del segretario restano quelli di sovrintendenza e coordinamento sopraindicati.

 

Se invece si sia provveduto a tale nomina, la legge impone all'organo di vertice di disciplinare i rapporti fra direttore generale e segretario, indicando quale criterio il "rispetto dei loro distinti ed autonomi ruoli".

 

Quanto alle attribuzioni dei dirigenti, la legge ribadisce il principio fondamentale di separazione tra poteri di indirizzo e controllo politico amministrativo, da un lato, gestione dall'altro, ed in questa prospettiva assegna ai dirigenti "la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettate dagli statuti e dai regolamenti", imponendo a questi ultimi di uniformarsi al principio anzidetto (articolo 107, t.u. comma 1). Attribuisce quindi ai dirigenti ogni compito non riconducibile, in modo espresso, alle funzioni di indirizzo e controllo politico amministrativo o "non rientrante tra le funzioni del segretario o del direttore generale" (art. 107 t,u, comma 2). Tali compiti ricomprendono l'adozione degli atti e provvedimenti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, (art. 107. comma cit.). Fra di essi, rientrano in particolare, "i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi ... ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie".

 

Particolare rilievo nella ricostruzione delle funzioni dirigenziali assumono, infine, le previsioni circa la inderogabilità delle attribuzioni dei dirigenti, se non per espressa e specifica previsione di legge (articolo 10, comma 4) e la diretta ed esclusiva responsabilità dei dirigenti "in relazione agli obiettivi dell'ente, della correttezza amministrativa della efficienza e dei risultati della gestione" (articolo 107, comma 6). li" da tener presente che le funzioni dirigenziali, in presenza di determinati presupposti, possono essere attribuite anche a personale privo della relativa qualifica (art. 109, comma 2) come avvenuto nella specie.

 

Quanto al direttore generale, elemento, come si è detto non necessario ma solo eventuale, della struttura dell'ente, esso è individuato dalla legge quale organo che attua gli "indirizzi e gli obiettivi stabiliti dagli organi di governo dell'ente" e "sovrintende alla gestione dell'ente perseguendo livelli ottimali di efficacia ed efficienza". Il rapporto fra dirigenti e direttore generale è poi espressamente delineato nel senso che "a tali fini", ossia ai fini del perseguimento dei compiti assegnati al direttore generale, i dirigenti sono responsabili verso di lui. (art. 108 c.p.c., comma 1, ultima parte).

 

Il quadro normativo cosi sinteticamente accennato consente quindi di affermare - senza necessità in questa sede di ulteriori approfondimenti - che anche nei confronti del direttore generale eventualmente nominato, il rapporto dei dirigenti assume connotazioni tali non permetterne con sicurezza l'inquadramento in una relazione gerarchica, se non con attenuazioni del (e scostamenti dal) relativo modello. In ogni caso, il modello della relazione fra dirigente e direttore generale consente anche di misurare con chiarezza la distanza che intercorre fra esso ed quello della relazione fra gli stessi dirigenti e il segretario generale, salvo quando quest'ultimo eserciti come è pacifico nella specie che non sia avvenuto - le funzioni del direttore generale espressamente conferitegli a norma dell'articolo 108, comma 4.

 

Al Segretario generale sono infatti affidati compiti di coordinamento dell'attività dei dirigenti e di sovrintendenza allo svolgimento delle relative funzioni mentre non risulta invece riprodotta per tale ipotesi la disposizione sulla diretta responsabilità dei dirigenti nei confronti del direttore generale.

 

Ai dirigenti è assegnata a una sfera di attribuzioni non derogabile se non con norma primaria, ed essi sono direttamente ed esclusivamente responsabili del loro esercizio. Quindi l'attribuzione legislativa al segretario comunale di compiti di sovrintendenza di coordinamento dell'attività del dirigente, non può essere intesa, per ragioni di coerenza sistematica, nel senso che tali compiti implichino un potere di sostituzione del dirigente. Un siffatto potere da un lato comporterebbe deroga alle attribuzioni di quest'ultimo, in contrasto con l'esplicito limite che la legge prevede in proposito, dall'altro determinerebbe violazione della regola di diretta responsabilità del dirigente rispetto all'atto di esercizio di una funzione specificamente attribuitagli.

 

Nella prospettiva del rapporto di lavoro, che è quella in cui, come esattamente osservato nella sentenza impugnata, il giudice ordinario deve collocarsi nella valutazione dell'atto di cui si discute - con conseguente estraneità alla presente controversia di qualsivoglia dubbio circa la giurisdizione - i problemi di inerzia o rifiuto nel provvedere, vanno quindi affrontati sul piano della responsabilità de dirigente, mentre deve escludersi che essi potessero trovare soluzione mediante un'iniziativa sostitutiva, non consentita sulla base delle norme in vigore all'epoca della controversia.

 

In conclusione, la sostituzione oggetto di controversia è stata esattamente considerata illegittima dalla Corte d merito e il ricorso del Comune va rigettato mentre va dichiarato inammissibile l'intervento della Unione Nazionale Segretari Comunali e Provinciali, con condanna solidale del ricorrente e della parte interveniente alle spese liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso del Comune di Cogorno; dichiara inammissibile il ricorso in intervento della Unione Nazionale Segretari Comunali e Provinciali; condanna il ricorrente e la parie interveniente in solido al pagamento delle spese in Euro 96,00 oltre a Euro 2000,00 per onorari.

 

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2007.

 

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2007.

 

 

 

I vizi di nullità del Ccnl dirigenza locale su funzioni e revoca dei segretari comunali

 

Luigi Oliveri

 

Ne La Gazzetta degli enti locali dello scorso 29 maggio 2019, con l’articolo “Il vulnus dell’avocazione dei provvedimenti da parte del segretario comunale”, cui si rinvia, si erano evidenziati i molteplici vizi dell’atto di indirizzo rivolto dal Comitato di settore all’Aran, ove si prevedeva l’introduzione – tramite Ccnl ! – del potere di avocazione dei provvedimenti dei dirigenti in capo al segretario comunale.

Purtroppo, l’Aran, sostenuta anche da alcune organizzazioni sindacali, si è dimostrata totalmente sorda alle voci di chi ha evidenziato le plateali violazioni di legge dell’atto di indirizzo, ostinandosi nel proporre le deleterie previsioni contenute negli articoli 101 e 103 della preintesa del Ccnl dell’area dirigenza del Comparto funzioni locali. Una serie di clausole, certamente nulle (non si capisce davvero quale possa essere l’utilità pubblica ed il buon andamento nel perseguire la sottoscrizione di clausole nulle…), che però inevitabilmente saranno fonte di contenziosi estesissimi, finchè non giunga una sentenza o una norma che le spazzi via, come necessario.

Il contenzioso è dietro l'angolo, perchè se vi saranno avocazioni da parte dei segretari sulla base di una fonte nulla, esse non potranno non suscitare reazioni da parte dell'avocato o del destinatario del provvedimento amministrativo che possa eccepire l'incompetenza del soggetto avocante. Del resto, l'avocazione per "inadempimento" dovrebbe comunque sempre accompagnarsi a procedimenti disciplinari e di accertamento delle connesse responsabilità: il che scatenerà altri contenziosi connessi con l’avocazione. Per altro verso, un contenzioso potrebbe essere aperto dai segretari chiamati ad "avocare" sempre e comunque dal tacito accordo politica-dirigenza che voglia scaricare sul parafulmine l'adozione delle scelte più "controverse", per altro pretendendo che in questi casi non si dia nemmeno corso all'azione disciplinare.

Un disastro organizzativo ed operativo, di facilissima previsione di totale evidenza; lascia sorpresi e al contempo attoniti la pervicacia nell’inserire nel contratto norme così manifestamente nulle e, comunque, foriere di problemi operativi.

Esaminiamole nel merito. L’articolo 101 della preintesa al comma 1, dispone: “Nei comuni fino a 100.000 abitanti ovvero nei Comuni, Province e Città Metropolitane ove non sia stato nominato il direttore generale ai sensi dell’art. 108 del d. Lgs. n. 267/2000, l’assunzione delle funzioni di segretario comunale comporta compiti di sovraintendenza allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e di coordinamento delle loro attività, tra i quali la gestione complessiva dell’ente, la responsabilità della proposta del piano esecutivo di gestione nonché, nel suo ambito, del piano dettagliato degli obiettivi e del piano della performance, la responsabilità della proposta degli atti di pianificazione generale in materia di organizzazione e personale, l’esercizio del potere di avocazione degli atti dei dirigenti in caso di inadempimento”.

Tale disposizione deve essere letta in combinazione con l’articolo 103, comma 4, della preintesa: “Ai fini della revoca del presente articolo, costituisce violazione dei doveri d’ufficio anche il mancato o negligente svolgimento dei compiti di cui all’art. 101 (Funzioni di sovraintendenza e coordinamento del Segretario) comma 1”.

Come si nota, il Ccnl intende dunque definire nel dettaglio le funzioni di competenza del segretario comunale, connettendo al loro mancato esercizio la revoca.

Nullità della definizione delle funzioni. L’articolo 101 è nullo per plateale violazione ad una serie oggettivamente impressionante di disposizioni di legge.

Si parte dall’articolo 97, commi 2 e 3, della Costituzione:

I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.

Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari”.

La Costituzione riserva alla legge l’organizzazione e la definizione delle competenze degli uffici pubblici. Per quanto si tratti di una riserva non assoluta, non è dato in alcun modo nessun potere alla contrattazione collettiva di ingerirsi in queste materie.

Infatti, le due norme citate della preintesa vìolano anche le seguenti norme:

1.      articolo 2 (rubricato “Fonti”), comma 1, del d.lgs 165/2001, ai sensi del quale, confermando ovviamente il costrutto della Costituzione, “Le amministrazioni pubbliche definiscono, secondo principi generali fissati da disposizioni di legge e, sulla base dei medesimi, mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, le linee fondamentali di organizzazione degli uffici; individuano gli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità dei medesimi”. Nessuno spazio è dato alla contrattazione collettiva;

2.      sempre l’articolo 2, stavolta comma 2, del d.lgs 165/2001, che circoscrive l’orizzonte della potestà normativa dei contratti collettivi: “I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto…”. I contratti, come è logico, possono interessarsi della regolazione del rapporto di lavoro, ma non delle competenze e delle funzioni;

3.      l’articolo 40, comma 1, sempre del d.lgs 165/2001, che allo scopo di confermare e chiarire il quadro visto prima, prevede: “La contrattazione collettiva disciplina il rapporto di lavoro e le relazioni sindacali e si svolge con le modalità previste dal presente decreto. Nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, della mobilità, la contrattazione collettiva è consentita nei limiti previsti dalle norme di legge. Sono escluse dalla contrattazione collettiva le materie attinenti all'organizzazione degli uffici, quelle oggetto di partecipazione sindacale ai sensi dell'articolo 9, quelle afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli articoli 5, comma 2, 16 e 17la materia del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali, nonché quelle di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 23 ottobre 1992, n. 421”;

4.      l’articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 421/1992, ai sensi del quale “…Sono regolate con legge, ovvero, sulla base della legge o nell'ambito dei princìpi dalla stessa posti, con atti normativi o amministrativi, le seguenti materie:
1) le responsabilità giuridiche attinenti ai singoli operatori nell'espletamento di procedure amministrative;
2) gli organi, gli uffici, i modi di conferimento della titolarità dei medesimi;
3) i princìpi fondamentali di organizzazione degli uffici;
4) i procedimenti di selezione per l'accesso al lavoro e di avviamento al lavoro;
5) i ruoli e le dotazioni organiche nonché la loro consistenza complessiva. Le dotazioni complessive di ciascuna qualifica sono definite previa informazione alle organizzazioni sindacali interessate maggiormente rappresentative sul piano nazionale;
6) la garanzia della libertà di insegnamento e l'autonomia professionale nello svolgimento dell'attività didattica, scientifica e di ricerca;
7) la disciplina della responsabilità e delle incompatibilità tra l'impiego pubblico ed altre attività e i casi di divieto di cumulo di impieghi e incarichi pubblici
;

5.      l’articolo 97, comma 4, del d.lgs 267/2000, che regola, come fonte di legge, le funzioni del segretario comunale;

6.      l’articolo 107, comma 4, del d.lgs 267/2000, ai sensi del quale “Le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all'articolo 1, comma 4, possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative”. Un Ccnl, quindi, non può certamente né ingerirsi nelle prerogative dirigenziali (a ciò inibito espressamente dall’articolo 40, comma 1, del d.lgs 165/2001), né derogare o modificare le attribuzioni dirigenziali, introducendo l’inesistente potere di avocazione;

7.      gli articoli 16 e 17 del d.lgs 165/2001, che disciplinano in modo intangibile dalla contrattazione collettiva funzioni e prerogative dei dirigenti;

8.      l’articolo 100 del d.lgs 267/2000, ai sensi del quale “Il segretario può essere revocato con provvedimento motivato del sindaco o del presidente della provincia, previa deliberazione della giunta, per violazione dei doveri d'ufficio”. Poiché i doveri d’ufficio sono fissati esclusivamente dalla legge o da atti di organizzazione di stampo pubblicistico, risultano totalmente sottratti alla contrattazione collettiva, che non ha in alcun modo nessun potere di indicare quali sono i doveri d’ufficio.

Una serie incredibile di violazione di legge, che rende totalmente incomprensibile come un tavolo come quello della contrattazione, composto da esperti del diritto, possa aver sottoscritto in un contratto collettivo nazionale simile scempio.

La violazione di queste norme, tutte imperative, non può che portare alla conclusione dell’irrimediabile nullità delle disposizioni contrattuali.

Questo significa:

1.      da un lato, le funzioni come elencate in modo illecito dall’articolo 101, comma 1, della preintesa, non sono pretensibili e commette ulteriori illiceità il sindaco che, appunto, le pretendesse;

2.      dall’altro, che qualsiasi procedimento di revoca fondato sulla violazione delle norme nulle contenute nell’articolo 101, comma 1, citato, è a sua volta da considerare nullo e causa di danno.

Non vi è alcun dubbio, come evidenziato sopra, che nonostante la sua nullità, la norma contrattuale citata sarà fonte di contenzioso.

Con molta probabilità, infatti, i sindaci che, mediante il Comitato di settore, hanno insistito per la regolazione del potere di revoca mediante lo strumento (sbagliatissimo) del contratto, si aspetteranno che i segretari attuino il presunto potere di avocazione illecitamente disciplinato dal Ccnl.

E’ un modo, infatti, per “verticalizzare” la gestione, concentrandola su un soggetto solo, per altro subordinato ad un fortissimo spoil system. E’ evidente che la scelta dei segretari, finchè non venga evidenziata dal Legislatore o dalla giurisprudenza la totale nullità delle norme contrattuali in commento, sarà fortemente condizionata dalla valutazione della “personale adesione” del segretario all’orientamento politico e alla sua chiara enunciazione della volontà di adottare l’avocazione, come “garanzia” delle decisioni politiche, per “passare sulla testa” della dirigenza, laddove questa ritenga di non poter attuare l’indirizzo, almeno non con le modalità (impropriamente) indicate nel dettaglio.

Sarebbe un ulteriore gravissimo errore pensare di disciplinare l’avocazione, attraverso i regolamenti di organizzazione. Un regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi che introducesse appunto una disciplina dell’avocazione, intanto ammetterebbe che la revoca del segretario è connessa all’esercizio di tale potere; in secondo luogo, sarebbe a sua volta totalmente illegittimo e nullo, perché fondato su una norma nulla.

C’è in molti la preoccupazione che il mancato esercizio del potere di avocazione possa comportare oltre all’attivazione della revoca, anche responsabilità penali, per omissione d’atti d’ufficio. Da qui, l’opportunità presunta di regolare mediante regolamenti la fattispecie.

L’ipotesi di responsabilità penale è estremamente astratta e di scuola. Anche se le previsioni contrattuali non fossero nulle, in ogni caso esse condizionano l’inesistente avocazione all’inadempimento dei dirigenti.

Occorre, quindi, che prima dell’esercizio dell’avocazione si accerti l’inadempimento. Qui sorgono i veri, gravissimi, problemi. La disciplina contrattuale implicitamente vuole sconvolgere il principio di separazione delle competenze politiche rispetto a quelle gestionali, ledendo l’autonomia tecnico gestionale.

In effetti, la clausola contrattuale non farà altro se non spingere ulteriormente gli organi di governo ad adottare “direttive” contenenti dettagli gestionali così specifici, da essere considerate come “ordini di servizio”, da “adempiere”, a pena di “avocazione”, come se si fosse in un sistema di gerarchia, e non di direzione e coordinamento.

Il cavallo di Troia per inquinare l’organizzazione locale, consentendo agli organi di governo di ingerirsi nella gestione diretta, senza tuttavia adottare le decisioni ma spingendo altri a farlo, è appunto l’avocazione.

Una giunta potrebbe decidere, e spesso avviene, di assegnare un contributo ad un destinatario, in assenza di impegno di spesa, oppure in totale carenza della procedura di evidenza pubblica necessaria, ai sensi dell’articolo 12 della legge 241/1990 e dell’articolo 1, comma 16, della legge 190/2012, per la legittimità dell’erogazione, incaricando della materiale concessione poi un dirigente.

Questo avrebbe l’onere, in realtà sin dall’istruttoria sulla deliberazione, di evidenziare l’illegittimità di tale procedimento, dovendo invitare la giunta a revocare il provvedimento e, comunque, non attuandolo.

Sarebbe tale doveroso modo di agire un “inadempimento”? Qui è il cuore del problema. Ovviamente, agli occhi dell’amministrazione, sì, lo sarebbe. Ma, chi dovrebbe decidere se c’è o meno inadempimento, in un sistema di separazione delle competenze? Il cavallo di Troia, cioè il segretario investito del potere di avocazione. Se esercitato, il segretario prende posizione: è inadempimento. A prescindere dai vizi di legittimità della deliberazione a monte.

Il segretario scongiura l’eventuale azione di revoca nei suoi confronti. Ma, può non attivare a questo punto un’azione di responsabilità disciplinare e dirigenziale? E come potrebbe farlo, lecitamente, in presenza di una sua illegittima avocazione, basata su una clausola contrattuale nulla, e su una deliberazione illegittima e, magari, anche su un regolamento di “recepimento” della clausola contrattuale nulla a sua volta nullo? Si metterebbe al riparo da responsabilità penali? E quello stesso segretario, quante chance avrebbe di non essere coinvolto in azioni risarcitorie e di responsabilità, scatenate dal dirigente che abbia subito l’avocazione e il procedimento di responsabilità dirigenziale e disciplinare?

Paradossale che queste riflessioni semplicissime non siano state evidentemente tenute presenti in particolare dall’Aran, che aveva il dovere tecnico ed etico di non dare corso all’indicazione illecita del Comitato di settore.

Per altro, questa esiziale decadenza verso norme nulle, si accompagna ad un’altra deleteria norma: la limitazione per un anno della responsabilità erariale per colpa grave e il sostanziale annullamento dell’abuso d’ufficio.

Le pressioni nei confronti della dirigenza ad adottare atti come quelli esemplificati sopra, saranno decuplicate, proprio perché sarà automatico, da parte dell’organo di governo, vista l’assenza della responsabilità erariale, considerare come “boicottaggio” meritevole di avocazione la mancata attuazione di direttive, per quanto illegittime. E le pressioni sul segretario per adottare gli atti, saranno ancora maggiori.

E’ auspicabile che al più presto vi sia l’occasione per eliminare lo scempio ordinamentale sotteso a queste sciagurate previsioni.

Ma, non basta. Anche il comma 2 dell’articolo 101 della preintesa sorprende per il dispregio totale di norme e principi vigenti. La disposizione prevede: “L’incarico di Responsabile per la Prevenzione della Corruzione e la Trasparenza del Segretario Comunale e Provinciale, è compatibile con la presidenza dei nuclei o altri analoghi organismi di valutazione e delle commissioni di concorso, nonché con altra funzione dirigenziale affidatagli, fatti salvi i casi di conflitti di interesse previsti dalle disposizioni vigenti”.

Una previsione al limite del comico, oltre che ben al di là dei confini dell’assurdo. Davvero le parti possono ritenere che un contratto, visti i limiti alla fonte della contrattazione collettiva visti sopra, possa ingerirsi e superare il complesso normativo anticorruzione, formato dalla legge 190/2012 e dai connessi piani nazionali? Davvero si pensa che una disposizione contrattuale possa prevalere sul principio che impedisce al soggetto controllore, il rpct, di assumere contestualmente la veste anche di controllato? Non è semplicemente puerile proclamare il Ccnl come fonte della regolazione della compatibilità delle funzioni del segretario con quelle di rpct, componente del nucleo di valutazione ed anche dirigente, ma “fatti salvi i conflitti di interesse previsti dalle disposizioni vigenti”? Non è evidentissimo, cristallino l’immenso conflitto di interesse consistente nell’assommarsi su una medesima figura di tutte queste funzioni? Ma, l’Aran sa che esiste l’Anac? Conosce i suoi orientamenti? Eccone, in materia, uno recentissimo, la Delibera numero 180 del 26 febbraio 2020: “L’Autorità ha, a suo tempo, rilevato che in generale in tutti i Comuni, il Segretario è spesso componente anche del Nucleo di valutazione; come è noto la particolare situazione è stata oggetto di apposito Atto di segnalazione n. 1 del 24 gennaio 2018 trasmesso al Governo e al Parlamento. L’Autorità, con deliberazione n. 1074/2018 (PNA 2018), ha ritenuto non compatibile prevedere nella composizione del Nucleo di valutazione (o organo diversamente denominato nell’autonomia degli enti locali), la figura del RPCT, in quanto verrebbe meno l’indefettibile separazione di ruoli in ambito di prevenzione del rischio corruzione che la norma riconosce a soggetti distinti ed autonomi, ognuno con responsabilità e funzioni diverse. In caso di coincidenza, il RPCT si troverebbe nella veste di controllore e controllato, in quanto, in qualità di componente del Nucleo di valutazione, è tenuto ad attestare l’assolvimento degli obblighi di pubblicazione, mentre in qualità di Responsabile anche per la trasparenza è tenuto a svolgere stabilmente un’attività di controllo proprio sull’adempimento dei suddetti obblighi da parte dell’amministrazione, con conseguente responsabilità, ai sensi dell’art. 1, comma 12, legge 190/2012, in caso di omissione. La commistione di funzioni, inoltre, non solo può compromettere l’imparzialità del RPCT che già partecipa al sistema dei controlli interni, ma confligge con le prerogative allo stesso riconosciute, in particolare di interlocuzione e controllo nei confronti di tutta la struttura, che devono essere svolte in condizioni di autonomia e indipendenza.

… Pertanto, la coincidenza nella medesima persona delle funzioni di SG/RPCT e componente di Nucleo di valutazione è da ritenersi non ammissibile a meno che non ricorrano le condizioni di: a) impossibilità di tenere distinti i ruoli da evidenziarsi in apposita motivazione; b) ci si riferisca a piccoli comuni; c) il Nucleo di Valutazione abbia carattere collegiale; d) il RPCT non ricopra il ruolo di Presidente.…”.

Conosce, l’Aran, sul tema, l’orientamento della Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Puglia, delibera 103/2019: “In relazione alla puntualizzazione, contenuta nella richiesta di parere, della nomina del Segretario comunale quale Responsabile per la Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza (presumibilmente in ossequio alla preferenza espressa in favore di tale soggetto dall’art. 1, comma 7 della l. 6.11.2012, n. 190), si ritiene opportuno dover esprimere l’avviso sulla difficoltosa conciliabilità della contemporanea intestazione al medesimo segretario, oltre che delle funzioni di Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (RPCT), anche di componente del Nucleo di valutazione (o dell’organo diversamente denominato). La necessità di una distinzione fra le due figure emerge, infatti, dal comma 8-bis dello stesso art. 1 della l. n. 190/2012, che attribuisce all’OIV il compito di verificare che i piani triennali per la prevenzione della corruzione siano coerenti con gli obiettivi stabiliti nei documenti di programmazione strategico-gestionale e che nella misurazione e valutazione delle performance si tenga conto degli obiettivi connessi all’anticorruzione e alla trasparenza, nonché di verificare – in rapporto agli obiettivi inerenti alla prevenzione della corruzione e alla trasparenza – i contenuti della relazione che il RPCT deve trasmettere entro il 15 dicembre di ogni anno allo stesso OIV (e all’organo di indirizzo dell’amministrazione) sui risultati dell’attività svolta, potendo a tal fine chiedere allo stesso RPCT le informazioni e i documenti necessari per lo svolgimento del controllo. Ne consegue che la coincidenza delle due figure (OIV/struttura con funzioni analoghe e RPCT) farebbe venir meno la necessaria separazione di ruoli in ambito di prevenzione del rischio corruzione prevista dal vigente quadro normativo”.

Sorge spontanea la domanda: ma di che parliamo? Ma, come è possibile che siano confluite in un atto così importante come un contratto collettivo nazionale errori di diritto di questa clamorosa portata?

 

 

 

 

 

Avocazione dei segretari comunali? O semplice esercizio del potere sostitutivo?

 

 

Nell’articolo pubblicato su La Gazzetta degli enti Locali, dal titolo “Segretari comunali (e provinciali): coordinamento, sovrintendenza e poteri di avocazione” Riccardo Nobile si produce in una confusa, tediosa e magniloquente difesa fantagiuridica del potere di avocazione.

Uno sforzo ricostruttivo, intriso di incisi e rimandi per girare attorno ai problemi:

  1. della liceità della clausola contenuta nell’articolo 101 della preintesa del Ccnl dell’area dirigenza del comparto Funzioni Locali;
  2. della configurabilità di un potere, quello di avocazione, che è ammesso solo per il modello di gerarchia propria.

Le conclusioni cui l’Autore giunge sono sostanzialmente petizioni di principio apodittiche, del tutto prive del supporto giuridico, normativo o pretorio.

Partiamo dalla prima enunciazione, sulla quale si regge l’intera ricostruzione: un’organizzazione acefala non può non esserci, in quanto disfunzionale. Dunque, sarebbe perfettamente coerente verticalizzare le competenze su un unico soggetto, il segretario comunale qualificabile come “super dirigente” con funzioni anche, se non, preminentemente gestionali. Tra le quali non può non sussistere l’avocazione, quale strumento necessario per la garanzia che le direttive e gli atti di coordinamento non si traducano in vuote enunciazioni.

Il debolissimo supporto paragiuridico consiste nella stanca enunciazione della previsione contenuta nell’articolo 97, comma 4, lettera d), del d.lgs 267/2000, secondo la quale il segretario comunale “esercita ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti, o conferitagli dal sindaco o dal presidente della provincia”. Una previsione che, se letta come erroneamente propone il Nobile (non da solo), isolatamente potrebbe indurre davvero la sensazione che essa detti e legittimi quel “modello a evidente geometria variabile e quindi adattativo sia alle reali esigenze del contesto ambientale, sia ai contenuti e alla portata del programma generale di governo del singolo Ente locale” delle funzioni del segretario comunale.

Peccato che la “geometria variabile” non possa non scontrarsi con alcuni confini invalicabili. Tra i quali, in primis, quello dell’articolo 97, commi 3 e 4:

I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.

Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari”.

Le previsioni dell’articolo 97, comma 4, lettera d), del Tuel non possono che considerarsi attuabili se rispettose della Costituzione, primo limite alla variabilità delle sue geometrie. Ora, l’organizzazione degli uffici degli enti locali è determinata dalla legge, come dispone la Costituzione e, in particolare, dalle previsioni degli articoli 97, 107 e 108, per quanto concerne la determinazione delle funzioni gestionali e di direzione.

Esaminiamo i primi due elementi della variabilità delle geometrie dei segretari comunali [e provinciali, lo diciamo qui, una volta anche per il prosieguo]: il segretario può svolgere le “altre” funzioni che gli attribuiscano statuti e regolamenti.

Ma, statuti e regolamenti possono modificare l’ordine delle competenze e delle attribuzioni delle funzioni dei dirigenti, modificando (quindi violando) quello stabilito dalla legge? Evidentemente no: perché si tratta di fonti subordinate alla legge e perché violerebbero il dettato dell’articolo 96 della Costituzione.

E cosa dispone, in particolare, l’articolo 107, comma 6, del Tuel? La norma stabilisce: “I dirigenti sono direttamente responsabili, in via esclusiva, in relazione agli obiettivi dell'ente, della correttezza amministrativa, della efficienza e dei risultati della gestione”.

Non c’è alternativa: dalla variabilità delle geometrie ammesse dall’articolo 97, comma 4, lettera d), del Tuel si esclude del tutto la possibilità di attribuire, in concomitanza con un dirigente in servizio, una medesima funzione e competenza, poiché è dall’esercizio della funzione che deriva la responsabilità; poiché questa è esclusiva, anche la competenza e la funzione lo è e non può non esserlo.

Ovviamente, se statuti e regolamenti non possono incidere le funzioni e competenze esclusive dei dirigenti, impensabile è che possano ottenere questo risultato provvedimenti del sindaco, per altro privi di qualsiasi competenza diretta al disegno della macro organizzazione, che passa per i regolamenti e gli statuti: gli atti sindacali di cui parla l’articolo 97, comma 4, lettera d), sono, con ogni evidenza, atti di specificazione di competenze e funzioni o di attribuzione in esecuzione di disposizioni normative, statutarie, regolamentari o contrattuali.

La ragione semplicissima per la quale la responsabilità della gestione è in via esclusiva attribuita alla dirigenza sta nella circostanza che non esiste rapporto di gerarchia col segretario comunale. Questo organo, cioè, non condivide con i dirigenti le competenze, potendole, quindi, avocare a sé.

I provvedimenti dei dirigenti, infatti, sono definitivi e non è data possibilità alcuna di presentare un ricorso gerarchico al segretario comunale. Chi si ritenga leso dai provvedimenti dei dirigenti ha la strada del ricorso al tribunale amministrativo regionale o a del ricorso straordinario al Capo dello Stato.

Senza nemmeno troppo insistere sull’evidente violazione delle previsioni dell’articolo 40, comma 1, del d.lgs 165/2001 da parte della Direttiva del Comitato di settore, prima, e dell’articolo 101 della preintesa, dopo, le ragioni dell’illiceità di una norma che non accerta, ma introduce un potere di avocazione impossibile per assenza del rapporto di gerarchia, sta di per sé nel Tuel ed è di evidenza piana: basta levare il polverone delle metafore e delle perifrasi che cercano di dimostrare la qualità del volo dei quadrupedi diversi dai pipistrelli.

In quanto alla seconda argomentazione, secondo la quale l’avocazione è compresa nell’espressione delle direttive e del coordinamento, che costituiscono la funzione di sovrintendenza, il Nobile, per solito attento all’evoluzione delle norme, nel tentativo della difesa a tutti costi dell’indifendibile, dimentica un passaggio fondamentale. L’articolo 51, comma 1, ultimo periodo, della legge 142/1990, stabiliva: “Il regolamento disciplina l'attribuzione ai dirigenti di responsabilità gestionali per l'attuazione degli obiettivi fissati dagli organi dell'ente e stabilisce le modalità dell'attività di coordinamento tra il segretario dell'ente e gli stessi”. La relazione non in termini di gerarchia, ma appunto di coordinamento, risale a 30 anni fa. L’articolo 107, comma 2, del Tuel, riprende quell’enunciazione come segue: “Spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale, di cui rispettivamente agli articoli 97 e 108”. Le funzioni che spettano al segretario non spettano ai dirigenti; quelle spettanti ai dirigenti, non spettano al segretario.

La funzione gestionale, quindi, non spetta al segretario comunale. Non c’è maggiore evidenza della chiarissima previsione normativa citata con attenzione alla sua evoluzione.

Non solo, sempre prestando attenzione all’evoluzione delle norme, l’articolo 52, comma 3, della legge 142/1990, prevedeva: “Il segretario, nel rispetto delle direttive impartitegli dal sindaco o dal presidente della provincia da cui dipende funzionalmente, oltre alle competenze di cui all'articolo 51, sovraintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e ne coordina l'attività, cura l'attuazione dei provvedimenti, è responsabile dell'istruttoria delle deliberazioni, provvede ai relativi atti esecutivi e partecipa alle riunioni della giunta e del consiglio”. Ma, le funzioni di cura dell’attuazione dei provvedimenti e di responsabilità dell’istruttoria delle deliberazioni, certamente ascrivibili alla gestione e anche ad una superiorità gerarchica, non a caso sono state espunte dall’articolo 97 del d.lgs 267/2000. Né possono essere reintrodotte fa fonti subordinate, che contrasterebbero con la chiara volontà del legislatore.

Le funzioni gestionali il segretario può svolgerle, come il Nobile ben sa ma sorprendentemente omette di ricordare, solo come rimedio estremo ad un’attuale carenza di soggetti preposti alla gestione. Ecco perché, come rilevato sopra, al segretario comunale, come al direttore generale, è precluso di poter gestire e decidere nelle materie attribuite alla direzione di un dirigente in modo concomitante con questo.

L’attribuzione di funzioni gestionali al segretario comunale è evento straordinario, limitato nel tempo, quale rimedio ad una situazione contingente. Ciò è confermato dalla previsione del Contratto collettivo integrativo di livello nazionale dei segretari comunali e provinciali - Accordo n. 2, del 22.12.2003 (norma tra le più violate nell’ordinamento locale) il quale dispone: “Relativamente agli incarichi per attività di carattere gestionale occorre che gli stessi siano conferiti in via temporanea e dopo aver accertato l’inesistenza delle necessarie professionalità all’interno dell’Ente”. E’ bene precisare che questo accordo si regge sull’articolo 41, comma 4, del Ccnl 16.5.2001, norma la cui vigenza è confermata espressamente dalla preintesa.

Dunque, per tabulas la ricostruzione del Nobile è del tutto privata di pregio: al segretario comunale non spettano poteri di gestione, se non come rimedio ad una vacanza temporanea del dirigente, non gli è attribuita una posizione di gerarchia, ma dispone dei poteri, amplissimi, di coordinamento e direzione, volti a fare di una struttura policefala, qual è un comune, non un ente verticalizzato secondo il disegno della riforma Madia, ma un sistema che mediante il Peg, le direttive e gli atti di coordinamento garantisca il conseguimento degli obiettivi generali definiti dagli organi di governo, ferme restando le responsabilità di ognuno.

Inutile, quindi, soffermarsi sulle sei ragioni in base alle quali il Nobile ravviserebbe il fondamento della privazione di pregio della tesi che evidenzia l’inesistenza del potere di avocazione del segretario. Le sei tesi sono appese nell’etere, non hanno alcuna base.

Infine, il Nobile afferma che l’avocazione è del tutto naturale che sia adottata dal segretario comunale, come presunto organo di vertice di “ultima istanza” “in caso di inadempimento, ossia di ritardo qualificato”.

Ci sia consentito utilizzare un sostantivo teso a qualificare l’affermazione che anche l’Autore ha utilizzato: si tratta di un’evidente baggianata.

L’avocazione o è o non è. L’avocazione è il potere dell’organo sovraordinato di incidere sull’esercizio della competenze dell’organo sotto ordinato, privandolo di tale esercizio, così da adottare direttamente una competenza ripartita tra essi, ma che spetta in via di primazia all’organo sovraordinato.

Se si intende l’avocazione come rimedio ad un inadempimento inteso come ritardo qualificato, allora l’articolo 101 della preintesa non è da considerare, tanto, illecito e nullo, quanto ridicolmente inutile, perché tenderebbe ad enucleare in una fonte totalmente priva di legittimazione, cioè un contratto sottostante alle regole di diritto comune, un aspetto del procedimento amministrativo, soggetto al diritto pubblico ed alla legge.

Per altro, la legge sul procedimento amministrativo, la legge 241/1990, già regola la fattispecie, all’articolo 2, comma 9-bis: “L'organo di governo individua, nell'ambito delle figure apicali dell'amministrazione, il soggetto cui attribuire il potere sostitutivo in caso di inerzia. Nell'ipotesi di omessa individuazione il potere sostitutivo si considera attribuito al dirigente generale o, in mancanza, al dirigente preposto all'ufficio o in mancanza al funzionario di più elevato livello presente nell'amministrazione”.

Il fatto è che “inadempimento” è cosa diversa dal ritardo. Si ribadisce quanto già espresso in precedenti scritti: per gli organi di governo può essere considerato “inadempimento” una decisione gestionale di segno contrario a quello che l’amministrazione si aspetterebbe. Il provvedimento, in questo caso, vi è ed è adottato senza ritardo. E’ evidente che lo scopo della preintesa non può essere quello dell’inutile, impropria ed infantile riproduzione di un dettato normativo, quanto quello di introdurre ex novo un vero e proprio potere di ingerenza indiretta sul merito tecnico della gestione, per il tramite del segretario. Che, soggetto alla spada di Damocle della revoca per mancata adozione dell’avocazione, viene ulteriormente precarizzato.

Qualunque perorazione per il potere avocativo, per quanto forbita, assume semplicemente l’eterea funzione del volo pindarico o del velo davanti agli occhi, laddove neghi questa elementare evidenza

1 commento:

  1. La Repubblica dele Banane.
    Si passa dall'introduzione con legge (con le "riforme" di Bassanini del 1997)del c.d. "spoil system", palesemente incostituzione, e solo per i segretari comunali, rispetto atutto il resto dell'ordinamento della PA, alla introduzione e stavolta tramite CCNL di una figura accentratrice dei poteri gerarchici di direzione e delle funzioni di garanzia in capo a un unico soggetto, sempre il solito segretario comunale, che però si risulta "sgradito" al Sindaco viene cacciato dall'oggi al domani.
    Si vuole proprio lo sfascio della PA, e il dilagare della illegalità e della corruzione.

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