Le assurdità e insanabili incoerenze italiane nell'affrontare i problemi molti difficili, proponendo sempre e regolarmente soluzioni semplicistiche e scorciatoie, non finiscono mai di superare quello che il giorno prima sembrava l'acme.
L'ultima ideona, per risolvere il problema dei vaccini a rilento, è quella di reclutare i beneficiari del reddito di cittadinanza.
Da quando la misura è stata adottata, un pensiero ha continuato a diffondersi tra molti ed, in parte, è anche entrato a far parte dell'impianto normativo: l'idea, cioè, che a fronte del sussidio i beneficiari debbano essere coinvolti, oltre che in un complesso programma di ricerca effettiva di lavoro, anche in una sorta di lavoro coatto.
A fronte del fatto che lo Stato attribuisce un sussidio, si pensa, è giusto e necessario che i beneficiari svolgano attività lavorative. E non è un caso che il dispositivo obblighi i beneficiari a prestare dalle 8 alle 16 ore di attività a beneficio dei comuni, nell'ambito di Progetti Utili alla Collettività (Puc).
Nella realtà, i Puc sono complessi da redigere e gestire ed, infatti, sono piuttosto pochi e meno ancora i beneficiari del RdC avviati. Anche per una ragione molto semplice: perfino questi progetti di lavori utili sono impostati in modo da richiedere in capo ai beneficiari del RdC avviati dai centri per l'impiego un minimo di pregressa competenza o alcuni requisiti soggettivi particolari di vario genere.
Molto diffusi sono Puc in qualche misura connessi con l'attività didattica nelle scuole: accoglienza e custodia degli alunni ed attività simili.
I comuni, opportunamente ed inevitabilmente, cercano quanto più possibile di circoscrivere la ricerca a persone con esperienze pregresse simili o con dimostrata attitudine al contatto coi bambini ed i ragazzi, con confidenza con misure di igiene e profilassi, modi adeguati, comportamento organizzativo di un certo tipo.
Insomma, anche per il più semplice progetto comunale, l'avvio del percettore del reddito di cittadinanza non scaturisce solo dallo status di percettore del reddito, bensì dall'inevitabile valutazione di una serie di competenze minime, trasversali ma per quel che è possibile anche verticali, da dimostrare, prima di essere avviati ad attività che, per quanto "coatte" e connesse a mansioni di base, non possono essere affidate "al primo che passa".
Per altro, correttamente, ogni giorno articoli, analisi, commenti sulla realtà del lavoro, evidenziano la necessità di profili sempre più specializzati e competenti.
Tutto questo, in presenza delle esigenze connesse al piano vaccinale, però, sembra non essere più utile. Siccome i vaccini vanno a rilento, allora "va bene tutto". Compreso il reclutamento di massa dei percettori del reddito di cittadinanza.
E non è difficile immaginare che condividano questa idea, quella, cioè, di inserire nella catena della somministrazione di un farmaco, coloro che evidenziano riserve e dubbi sul vaccino; evidenziando la poca ancora presunta sicurezza, ma issando il vessillo della perfetta utilizzabilità dei percettori del reddito di cittadinanza allo scopo.
A quale? Facciamo fare ai percettori i medici? O gli infermieri? I medici, no ovvio. Ma gli infermieri? Ma, sì, tanto, che ci vuole? Quale sarebbe la ragione per la quale l'accesso alla professione richiede una laurea e la conoscenza approfondita e specialistica di una serie di cognizioni che non possono non essere alla base di un'attività quale anche quella di una campagna vaccinale, che non si esaurisce certo nel solo atto di effettuare la puntura.
Ci facciamo bastare un'oretta di corso, erogato con un tutorial di youtube, della serie "diventa anche tu infermiere per la campagna vaccinale"?
L'idea appare sufficientemente insensata già così. Ma occorre completare questa analisi evidenziando che, necessariamente, a chi si sia espresso in questi termini sfugga molto chiaramente la situazione soggettiva di moltissimi beneficiari del reddito di cittadinanza. Per non essere autoreferenziali, citiamo Domenico De Masi, nell'articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 5.1.2021, dal titolo "L' ipocrisia politica che stritola i navigator": "la platea disoccupata di cui stiamo parlando è composta in gran parte da persone difficilmente ricollocabili, in gravi difficoltà economiche e psicologiche, spesso semi-analfabete, che magari per molti anni sono vissuti in povertà assoluta senza aiuto e senza speranza. In un Centro della Lombardia, ad esempio, su 200 adulti avviati al lavoro solo 5 avevano la patente".
Sicuri, davvero sicuri, che, conoscendo davvero la situazione soggettiva dei percettori, si starebbe tranquilli sulla loro effettiva capacità di svolgere una funzione che richiede un'attenzione, una capacità, un'attitudine, una competenza (la tanto citata competenza, che però compare e scompare a seconda della comodità) che non possono essere patrimonio di chiunque?
Si dirà: utilizziamoli allora per altre funzioni, i vaccini non sono solo la puntura. No, certo. C'è, per esempio, la loro gestione logistica, il ciclo del freddo, la contabilità per lo stoccaggio, la gestione delle siringhe, lo smaltimento delle stesse siringhe e delle fiale. E altro ancora. Non pare che si tratti, anche in questo caso, di funzioni alla portata, hic et nunc, di chiunque, specie poi di persone fragilissime sul piano lavorativo, delle competenze, delle relazioni sociali.
La realtà è che il sistema sanitario come scontava problemi organizzativi prima della campagna vaccinale, continua a scontarli anche adesso: la frammentazione in 20 sistemi regionali è sostenibile solo a condizione che il Paese stia in una generalizzata condizione di salute da Stato occidentale; ma, basta una pandemia per evidenziare che si tratta di un equilibrio precarissimo, perchè troppo personale medico è andato in pensione, gli infermieri scarseggiano, gli operatori sanitari anche, le sedi logistiche idonee sono poche (e si pensa alle "primule" per rimediare).
Pensare, per il futuro, di formare non solo i percettori del reddito di cittadinanza, ma fasce vastissime di popolazione per garantire, domani, servizi tali da scongiurare il pericolo di tornare indietro, una volta che il virus sia stato battuto, come se non si fosse mai presentato, è opportuno. Serviranno certamente tanti medici, moltissimi infermieri, moltissimi operatori sanitari e tecnici, addetti alle pulizie, autisti di mezzi di trasporto, guide turistiche, addetti alla vita dei musei e dei beni culturali per il rilancio del turismo, operatori del marketing turistico, custodi dei bambini all'ingresso e all'uscita nelle scuole, operai per ampliare gli spazi delle aule, progettisti, tecnici edilizi, addetti ai servizi per il lavoro che dovranno essere decuplicati per risorse finanziarie, umane e logistiche. E molto altro ancora. Vi sarà, certo, lo spazio in tal modo anche per reinserire i beneficiari del reddito di cittadinanza.
Nell'immediato, tuttavia, la specializzazione non certo bassa delle professionalità necessarie all'organizzazione della campagna vaccinale richiede di evitare paradossi ed ossimori. Occorrono specialisti: forse tra i beneficiari del RdC ve ne potrà essere qualcuno e potrebbe essere utilizzato, ma la strada è reclutare al volo medici, infermieri e tecnici e utilizzare la logistica connessa. Non confondere le acque con le boutade.
Condivido ogni distorta semplificazione che vorrebbe equiparare i percettori del RdC a factotum, molti dei lavori che saranno necessari presuppongono competenze non banali. Non per questo andrebbero escluse iniziative per creare le condizioni affinché siano occupabili nella pluralità di mansioni che serviranno ancora per molto tempo. Il piano vaccinale andrà molto alla lunga: ci sarebbe tutto il tempo per preparare competenze di base a supporto della logistica. Nessuno si sogna di affidare chissà quali delicati incarichi. Il solo sistema di prenotazione e gestione degli appuntamenti, solo per fare un esempio, ha un fabbisogno intensivo di personale.
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