domenica 14 marzo 2021

Illegittimo accedere ai nomi dei beneficiari dei buoni spesa. Una pietra miliare del Consiglio di stato

 

Nel post titolato “Buoni spesa: le non condivisibili indicazioni del Tar Basilicata sul diritto di accesso dei consiglieri ai nominativi dei richiedenti” abbiamo diffusamente spiegato perché ritenevamo profondamente erronea la sentenza del Tar Basilicata, Sezione I, 25 settembre 2020, n. 574, che ha ritenuto sciaguratamente legittimo l’accesso dei consiglieri ai nominativi dei beneficiari dei buoni spesa.

A distanza di pochi mesi, la sentenza del Consiglio di stato Sezione V,11 marzo 2021, n. 2089, in sede d’appello all’erronea pronuncia di primo grado, ribalta totalmente la pronuncia del giudice di prime cure. Dando sostegno alle tesi che chi scrive ha immediatamente esternato.

E’ bene precisare che la pronuncia di Palazzo Spada è un supporto ovviamene importante alla teoria secondo la quale l’accesso dei consiglieri debba essere bilanciato col diritto alla riservatezza, in primis laddove l’accesso possa mortificare le persone in stato di bisogno economico. Ma, anche laddove Palazzo Spada non avesse, come invece opportunamente deciso, posto nel nulla la pronuncia del Tar Basilicata, avremmo insistito nell’evidenziare i clamorosi vizi sottostanti alla concessione dell’accesso ai nomi, alle vite delle persone che hanno chiesto i buoni spesa.

Quel che scrive il Consiglio di stato è una ventata di aria pura, che spazza via alcune troppo radicate convinzioni nella giurisprudenza e negli operatori, supinamente disposti a considerare il diritto di accesso dei consiglieri comunali come superiore a qualsiasi altra posizione giuridica e connesso intimamente al mero possesso dello status.

Niente di tutto questo. I diritti, anche l’accesso dei consiglieri, debbono essere sempre inquadrati coerentemente in un armonico mosaico di posizioni giuridiche anche contrapposte, sì da indurre ad equilibrate decisioni operative.

E’ bene precisare che il consigliere che aveva chiesto i nomi dei beneficiari non si era visto respingere la domanda, ma aveva ottenuto una dettagliatissima risposta con una serie di dati estremamente significativi ad ostentare con trasparenza gli esiti dell’operato degli uffici sociali, titolari in via esclusiva della competenza, come chiarito a caratteri cubitali dall’Ordinanza della Protezione Civile 658/2020. Infatti, l’ente aveva trasmesso un amplissimo set di informazioni:

a)      l’importo del contributo stanziato dalla Protezione civile e dalla Regione Basilicata (con delibera di giunta del 27 marzo 2020, n. 215) a favore dell’ente locale (€ 39.841,81);

b)      il numero dei beneficiari ammessi (96)

c)      il numero delle istanze ancora in esame (48);

d)      l’ammontare complessivo erogato (€ 30.450,00);

e)      un elenco delle domande, recante

a.       l’indicazione della data di ricezione e del numero di protocollo assegnato,

b.      della composizione del nucleo familiare del richiedente,

c.       del reddito mensile dichiarato,

d.      di eventuali altre indennità già percepite (tra cui, con separata menzione, il reddito di cittadinanza),

e.       dell’esito dell’istanza

f.        dell’importo erogato.

Non pare davvero che manchi nulla perché un consigliere possa esercitare il proprio mandato.

Il Tar Basilicata, tuttavia, come troppa dottrina, troppa giurisprudenza, troppi interpreti, troppi operatori, ha ritenuto che il consigliere dovesse conoscere anche i nomi dei cittadini coinvolti nella procedura, sulla presunzione della sussistenza di un “incondizionato diritto di accesso a tutti gli atti”.

Il Consiglio di Stato spiega che le cose stanno diversamente, con magistrali richiami e pertinentissime osservazioni puntuali. Puntuali anche perché riferite ad una situazione puntuale: è bene specificare che la sentenza di Palazzo Spada contiene, sì, riferimenti utilissimi per la composizione in generale del diritto di accesso (per nulla così incondizionato come lo si dipinge) dei consiglieri con le altre posizioni giuridiche, ma è da leggere con specifico riferimento alla particolare questione trattata. Non si può certo far derivare dalla pronuncia la conclusione, ovviamente erronea, secondo la quale essa negherebbe il diritto di accesso dei consiglieri.

In primo luogo, Palazzo Spada delimita, come è giusto anche sulla base della semplice lettura dell’articolo 43, comma 2, del d.lgs 267/2000, il diritto di accesso: “Nell’attribuire al diritto in questione un carattere «incondizionato» ogniqualvolta esso riguardi atti dell’amministrazione che per quest’ultimo «possano essere utili all’espletamento delle proprie funzioni» la sentenza sembra porsi nella prospettiva ricostruttiva del diritto di accesso del consigliere comunale come un diritto «“tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona» (così la Corte costituzionale nella sentenza 19 maggio 2013, n. 85, di rigetto delle questioni di costituzionalità sulla disciplina penalistica speciale relativa allo stabilimento industriale dell’Ilva di Taranto nella parte in cui se ne assumeva un contrasto con il diritto alla salute ex art. 32 Cost.)”.

Disegnare il diritto dei consiglieri come una posizione gerarchicamente superiore a quella di chiunque altro è platealmente erroneo. Il diritto di accesso è funzionale alle informazioni che per i consiglieri siano “utili all'espletamento del proprio mandato”.

Dunque, correttamente Palazzo Spada specifica, nel solco della Consulta: “in un ordinamento costituzionale in cui i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano «in rapporto di integrazione reciproca», non ordinato su base gerarchica, non è possibile «individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri», e dunque una «illimitata espansione» dei primi a danno di questi ultimi. Per la Corte costituzionale gli stessi diritti vanno invece coordinati secondo «un ragionevole bilanciamento», a tutela della dignità della persona, e dunque nel rispetto del principio personalistico che trova nei principi di uguaglianza formale e sostanziale dell’individuo e nei doveri di solidarietà sociale la sua formale enunciazione (artt. 3, commi 1 e 2, e 2 Cost.)”.

Il diritto dei consiglieri sussiste e la sua ampiezza è data in base alla funzionalità, dunque, con l’espletamento del mandato. Infatti, Palazzo Spada conferma che l’esercizio dell’accesso non può determinare il pregiudizio di altri interessi riconosciuti come meritevoli di tutela; sia perché in generale è compito dell’amministrazione ponderare gli interessi e le tutele, sia anche “per il limite funzionale intrinseco cui il diritto d’accesso è sottoposto, espresso dall’art. 43, comma 2, d.lgs. n. 267 del 2000 con il richiamo alla utilità delle notizie e delle informazioni possedute dall’ente locale rispetto alla funzione di rappresentanza politica del consigliere comunale”.

Il lettore ci scuserà se ci autocitiamo, con un passaggio dell’articolo richiamato all’inizio: “Per quanto il Tar enfatizzi l’obbligo del consigliere di rispettare il segreto, disposto dall’articolo 43, comma 2, del d.lgs 267/2000, in ogni caso la diffusione del dato personale oggetto della presente analisi implica un trattamento che si rivela eccessivo ed illecito, proprio perché l’apprensione dei singoli nominativi dei richiedenti non ha alcuna specifica e diretta utilità per l’esercizio del mandato del consigliere”.

Il Consiglio di stato va esattamente nella stessa direzione. Occorre un rapporto di stretta strumentalità tra esercizio del diritto di accesso e funzione di indirizzo e controllo politico-amministrativo. Strumentalità, nel caso di specie, carente, con riferimento all’ostensione dei nominativi dei richiedenti il beneficio.

Del resto, osserva la sentenza, il comune interessato ha, come evidenziato prima, messo a disposizione del consigliere “ogni informazione utile per l’esercizio delle funzioni”. Dando luogo, dunque, al necessario “equilibrato bilanciamento tra le prerogative” connesse alla funzione del consigliere “con le contrapposte esigenze di tutela della riservatezza della persona”.

Questo è lo snodo: ponderare ed equilibrare le posizioni. Troppo semplicistico pensare al tutto bianco o tutto nero. Troppo rinunciatario ritenere che un diritto sia tiranno rispetto ad un altro: è comodo, perché esenta dal difficile compito dell’approfondimento, dell’istruttoria, della ricerca dell’equilibrio. Lavorìo complesso, che, però, è l’essenza della funzione amministrativa.

Il Consiglio di stato, è molto chiaro e coerente nella ricerca della strumentalità del diritto di accesso con la funzione del consigliere e pone due questioni dirimenti, per il caso concreto:

1.         il consigliere che ha chiesto l’accesso, grazie ai dati ricevuti “è nelle condizioni di accertare se la gestione dei buoni spesa da parte degli uffici comunali competenti sia stata legittima ed efficace ed eventualmente di promuovere in sede consiliare le necessarie iniziative finalizzate a sollecitare un controllo dell’organo di indirizzo politico dell’ente comunale sull’operato degli uffici competenti”; tanto doveva bastare;

2.         in ogni caso, il consigliere “non ha dimostrato invece quale utilità concreta ed aggiuntiva rispetto ai dati acquisiti avrebbe per l’esercizio del suo mandato la conoscenza dei nominativi dei soggetti richiedenti”; il che conchiude il ragionamento. I dati relativi ai nominativi sono eccedenti, non pertinenti, lesivi del diritto alla riservatezza, che nel caso di specie non è subordinato al diritto di accesso del consigliere.

Fondamentale, poi, è il successivo ulteriore passaggio col quale Palazzo Spada indica anche i limiti intrinseci della funzione del consigliere.

Anche in questo caso, è diffusissimo un equivoco: si pensa che il consigliere possa svolgere azioni di tutela per conto dell’ente o del singolo cittadino e, comunque, azioni di controllo sugli atti.

Non è affatto così. Il controllo politico-amministrativo è riferito al complesso dei risultati della gestione e al rispetto dei criteri generali.

Un consigliere ha legittimazione a verificare, sulla base di dati anonimizzati, se le risorse impegnate siano corrispondenti a quelle stanziate; se i criteri di erogazione siano stati rispettati; i tempi di decisione; il numero dei buoni erogati rispetto a quelli richiesti; il numero di richiedenti che ne hanno beneficiato, rispetto ai richiedenti; il tasso di effettiva liquidazione della spesa; la sussistenza di eventuali contenziosi e la loro eventuale soluzione. Si tratta di indici sufficienti per valutare l’azione complessiva dell’ente, considerando che il consiglio nel caso di specie non dispone di alcuna competenza né normativa, nè di indirizzo, né il consiglio e tanto meno il consigliere che ne è un componente, può attivare funzioni di controllo sui singoli atti e procedimenti.

Questo lo spiega alla perfezione Palazzo Spada, rilevando che nell’ambito della funzione di indirizzo politico-amministrativo

a)      non rientra quello di sostituirsi al singolo interessato”: il consigliere non ha alcun potere di attivare un contenzioso al posto del richiedente; ma, nemmeno ha nessuna legittimazione ad attivare, né promuovere, gravami nei confronti degli atti dei responsabili competenti, perché nella funzione di indirizzo non rientra nemmeno…

b)      un riesame di legittimità di singoli provvedimenti”.

Per altro, osserva la sentenza, nel caso di specie “comunque è consentito al consigliere comunale sulla base delle dettagliate indicazioni contenute nell’elenco allegato alla nota di riscontro all’istanza di accesso” perfino azionare un riesame di legittimità, talmente estesa è stata l’informazione ricevuta in risposta alla sua istanza, per quanto priva dell’indicazione dei nominativi.

La questione, dunque, non è negare l'accesso, ma negarlo, nel caso di specie, ai nominativi. Simile diniego non deve considerarsi valevole solo per richieste ampie e generali, ma anche qualora il consigliere intenda accedere ai nominativi di una singola pratica, per il sacrosanto diritto della persona in condizione di bisogno che il suo nome non sia diffuso oltre la misura ragionevole.

E’ molto chiaro il rischio che la diffusione dei nominativi ad un consigliere possa essere piegato a fini di mera captazione di consenso. Il consigliere non può non essere tentato dal presentarsi come colui che ha favorito il beneficio, oppure la denegazione del beneficio ad altri, a vantaggio del “proprio elettore”.

Il Consiglio di stato, infine, sempre valorizzando il principio di strumentalità del diritto di accesso alle funzioni del consigliere, smentisce un altro commodus discessus, sul quale troppo spesso ci si siede per consentire amplissimi e diffusissimi accessi, senza la già ricordata complessa opera di ponderazione: la credenza diffusissima che l’obbligo al segreto d’ufficio sia la fonte della “tirannia” del diritto di accesso del consigliere.

La smentita di Palazzo Spada è mirabile: “Non induce in contrario rispetto a quanto finora rilevato il fatto che ai sensi dell’art. 43, comma 2, t.u.e.l. il consigliere comunale sia tenuto al segreto sui dati e le informazioni di cui è venuto a conoscenza all’esito dell’accesso agli atti dell’amministrazione (diversamente quindi da quanto ritenuto da questa Sezione nella sentenza del 5 settembre 2014, n. 4525, richiamata dall’originario ricorrente a fondamento del proprio ricorso). In termini generali il segreto è un obbligo che si riferisce all’uso di dati e informazioni legittimamente acquisiti, mentre nel presente giudizio si controverte proprio sulla legittimità di tale acquisizione. Nel caso specifico l’obbligo del consigliere comunale di attenersi al segreto comporta che i dati e le informazioni acquisite siano utilizzati esclusivamente per l’esercizio del suo mandato e a vietare per contro qualsiasi uso privato. Lo stesso obbligo non tutela invece la riservatezza delle persone, la quale verrebbe comunque lesa se l’accesso venisse consentito. A conferma di ciò va evidenziato che la strumentalità del diritto previsto dall’art. 43, comma 2, t.u.e.l. alla carica consiliare comporta, per la pubblicità delle sedute dell’organo consiliare, nella quale le prerogative di indirizzo e controllo sull’operato degli uffici comunali sono destinate ad essere esercitate, una potenziale conoscibilità erga omnes dei dati e delle informazioni riservate, con inerente aggravamento della lesione della riservatezza delle persone che solo il diniego di accesso può salvaguardare”.

Meglio non lo si poteva spiegare. Il segreto non legittima l’accesso. Il segreto vincola il consigliere solo a patto che l’accesso sia legittimamente disposto. Né il segreto tutela la riservatezza delle persone. Se, infatti, viene diffuso un dato ad un consigliere che a quel dato non ha diritto di accedere (nel caso di specie, il nominativo di una persona in difficoltà economica), la circostanza che il consigliere non possa a sua volta diffonderlo non elimina l’illegittima diffusione del dato al consigliere medesimo.

In ultimo, appare necessaria un’altra sottolineatura: per il Consiglio di stato talmente erronea è stata la sentenza di primo grado, talmente infondata la pretesa del consigliere, che ha posto a carico dello stesso le spese per il doppio grado di giudizio; correggendo, così, ulteriormente il Tar, che aveva addossato al comune le spese del giudizio di primo grado.

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