martedì 23 marzo 2021

Quando le riforme della PA perdono di mira l'interesse dei cittadini

 L'approccio riformatore della PA degli ultimi 30 anni circa è stato fallimentare, perchè viziato profondamente da una linea del tutto sbagliata: applicare alla gestione della cosa pubblica, di tutti, regole operative proprie di gestioni privatistiche, miranti quindi ad interessi limitati, perfino egoistici.

Intendiamoci: il perseguimento del profitto e dell'interesse specifico dell'impresa è cosa nobile, tutelata dall'ordinamento e cuore pulsante dell'impostazione democratica e liberale dell'occidente.

Ma, i metodi operativi di mondi diversi non possono essere uguali. Specie se, poi, nel mondo della PA chi ha avviato le riforme degli ultimi 30 anni ha introdotto regole pseudo-aziendalistiche, che nelle aziende difficilmente troverebbero spazio.

Si pensi ai folli sistemi di valutazione della produttività della PA: artificiosi, complicati, sproporzionati, pieni di scadenze, di organismi valutativi, di schede e dati da compilare, di fasi gestionali, costosi, defatiganti. Nulla a che vedere con i sistemi che veramente si utilizzano nel privato: pochissimi indicatori generali, produttività individuale connessa solo alla presenza in servizio.

Per anni, inoltre, si è pensato di sollecitare la virtuosità della gestione, imponendo tetti alle spese, tagli lineari, artificiosi limiti di contenimento riferiti ad anni (talvolta decenni) precedenti; oppure, determinando parametri a dir poco cervellotici (basti pensare ai questionari Sose, per altro, nel caso della devastante riforma delle province, utilizzati anche in modo distorto) e imponendo logiche ben strane. Ad esempio, quella secondo la quale al mancato raggiungimento di alcuni di questi parametri, scattino conseguenze come stretta sulle spese, piani di rientro, divieto di assunzioni, chiusura di sedi.

Il tutto alla luce dello slogan: se la gestione è di scarsa qualità, allora occorre porre in essere "sanzioni". Visto che non è previsto una sanzione del mercato o il fallimento, si sono posti pesi di piombo alle caviglie.

Ma, non si è capito che così agendo, non si è fatto in modo di colpire un soggetto che agisce per un proprio interesse specifico, bensì chi gestisce beni e servizi di interesse pubblici, finendo così proprio per limitare ulteriormente l'efficacia di questi.

Lo ha spiegato sul Corriere della sera del 22 marzo 2021 Gerardo Villanacci, nell'articolo "Lo Stato riprenda le sue mansioni", riferito al disastro totale, assoluto, desolante della risposta del sistema sanitario su base regionale alla pandemia. Scrive l'Autore che in questi anni le riforme si sono rivelate "gravemente dannose, perchè nel tentativo di penalizzare gli enti locali inadempienti attraverso il blocco del turnover del personale del servizio sanitario regionale, hanno colpito soprattutto gli abitanti di quelle aree". Potremmo aggiungere: senza, per altro, che "tagli" e le varie misure di "penalizzazione" degli enti abbiano dato mai seri contributi al miglioramento dei risultati operativi o finanziari degli enti.

Di fatto, queste logiche hanno finito appunto solo per colpire il beneficiario finale dell'azione amministrativa, cioè la comunità.

Le riforme, invece di correggere le storture operative indotte dalle norme, hanno inteso malamente colpire a valle gestioni certo non edificanti, ma in gran parte poco virtuose anche a causa delle norme.

Si pensi all'assurdo cortocircuito del bonus edilizia 110%. Per anni ed anni i comuni sono stati sotto l'attacco di leggi finanziarie e di bilancio che hanno tagliato i fondi ed imposto una cura dimagrante formidabile al personale: così, i tecnici che erano già pochi, si sono ridotti al lumicino. Non solo: i comuni non erano di per sè troppo propensi ad investire in tecnologia e digitalizzazione, sicchè i tagli hanno ulteriormente tenuto lontani investimenti in questo campo. Risultato? Gli alti lai che si levano ora contro i ritardi, le difficoltà e le inefficienze degli uffici edilizia dei comuni, nello svolgere le istruttorie necessarie al bonus. Ma, si tratta di difficoltà operative che, viste come sanzioni o "indicazioni di virtuosa gestione come fosse un'azienda" ai comuni" si scaricano, invece, addosso ai cittadini, come si vede. Tanto che la legge di bilancio 2021 ha previsto assunzioni straordinarie a tempo determinato per rafforzare gli uffici tecnici, dopo anni di cure dimagranti insensate.

La pandemia ha spiegato alcune cose, forse. Lo leggiamo anche sui giornali del 23 marzo 2021.  Alessandro Campi, sul Messaggero scrive, nell'articolo "<<Lo Stato c'è e ci sarà>> Anche dopo la pandemia". La pandemia, osserva l'Autore, fa vedere l'intervento dello Stato in altro modo, rispetto alle diffidenze degli ultimi decenni. Allo Stato, adesso, "si è chiesto e si chiede ogni cosa: di salvarci dalla malattia o dal rischio di contrarla (assicurando a tutti cure mediche e una rapida vaccinazione), di sgravarci dal peso delle tasse, di salvaguardare i posti di lavoro, di sostenere le aziende in crisi, di aiutare chiunque si trovi in difficoltà economiche, di vigilare sul rispetto dei divieti finalizzati a contenere i contagi, di progettare la futura ripresa economica, di impegnarsi per riaprire al più presto le scuole ecc.". Aggiungendo l'osservazione decisiva: "Tutte cose che per definizione richiedono grandi capacità organizzative, la mobilitazione di una massa enorme di uomini e donne, risorse finanziarie a dir poco ingenti, quali solo la grande macchina dello Stato può offrire".

Alla luce di ciò, la retorica della gestione "come fosse un'azienda" è chiaro che altro non è se non fumosa perifrasi di un astratto sistema che guarda l'ombelico, invece che ciò che è davanti agli occhi.

L'azione operativa delle istituzioni pubbliche è essenziale in molti campi. L'idea di "affamare la bestia" per renderla più efficiente, o di frammentarla in un policentrismo istituzionale prefigurato come più efficiente perchè più vicino agli elettori, è fallita. La riduzione delle risorse, la polverizzazione delle competenze, si riverberano negativamente sulla cittadinanza: privata di servizi, con le scuole chiuse, le prenotazioni per i vaccini senza un criterio unico, senza capillare rete veloce informatica, senza servizi on line, con difficoltà a lavorare ed ottenere servizi da remoto, con diseguaglianze spaventose sul campo sociale, con trasporti insufficienti, con tempi di attesa inaccettabili per la realizzazione degli investimenti, con banche dati pubbliche che non si parlano, modalità farraginose anche per erogare i dovuti risarcimenti a chi ha dovuto subire le chiusure imposte da regole di contenimento della pandemia per altro poco trasparenti e continuamente oggetto di contenzioso tra Stato, regioni, comuni ed altre istituzioni.

Perfino la tanta sbandierata centralizzazione della gestione degli appalti a livello regionale, per anni vessillo di chi teorizza la necessità della riduzione delle stazioni appaltanti a vantaggio della creazione di centrali di committenza o soggetti aggregatori, si è rivelata fallace, come in questi giorni i problemi operativi di Aria dimostrano.

Si è troppo pensato ai metodi, ai sistemi, ai programmi, ai tagli alla spesa, alle sanzioni per le gestioni poco virtuose, senza comprendere che a soffrirne alla fine è il cittadino. Privato dei servizi, perfino di quello più semplice: una prenotazione ragionata, con un criterio univoco per tutto il territorio nazionale ed obbediente all'articolo 3 della Costituzione, per ottenere il vaccino, cioè l'arma fondamentale per la lotta al virus.




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