Sui quotidiani del 2 giugno 2021 campeggia il tema delle difficoltà dell'incontro tra domanda ed offerta di lavoro, problema che in realtà esiste da fin troppo tempo. Che la pandemia ha sicuramente acuito.
Sul Corriere della Sere, nell'articolo "I lavoratori che mancano" Federico Fubini affronta il tema. E racconta che il settore del turismo affronta parecchie difficoltà a reperire i lavoratori, in particolare stagionali. Si stima una carenza di personale pari al 20-30% delle vacancy.
Nelle campagne si ripropone il rischio dell'assenza di decine di migliaia di addetti, per un lavoro che, contrariamente a quanto si creda, pur essendo sostanzialmente semplice, richiede tuttavia perizia e molta predisposizione fisica.
Mancano profili nell'edilizia, come ponteggiatori, cappottisti, ingegneri, geometri di cantiere; mancano tornitori, saldatori, falegnami, manutentori, idraulici; possiamo aggiungere potatori, trattoristi, addetti ai banchi carne in particolare.
Nell'articolo, il Fubini riporta le dichiarazioni dei rappresentanti di Federalberghi del Veneto e dell'Abruzzo, secondo i quali due sono le cause del mismatch:
1. il reddito di cittadinanza;
2. il bonus pubblico da 1.600 euro per gli stagionali disoccupati, assicurati dall'ultimo decreto sostegni.
E' una spiegazione che funziona?
Il problema sono le politiche attive per il lavoro, l'inefficienza dei centri per l'impiego?
Forse. Ma chi conosce le dinamiche del mercato, sa che i problemi sono anche e soprattutto altri, come si evince da qui.
I lavori in agricoltura, negli alberghi, nei bar, nei ristoranti e nei servizi, in generale, sono da sempre complessi, molto complessi. Il dumping salariale è fortissimo, il rischio dell'opacità retributiva e contributiva molto elevato.
Osserva Fubini, che se è vero e più comodo per alcuni stare a casa "forse semplicemente troppi camerieri e cuochi hanno cambiato vita o mestiere".
Nel corso del 2020 in tanti, in effetti, sono stati costretti a cambiare lavoro e vita. Si tratta della cosiddetta "riallocazione nel mercato". Che evidentemente, ma non sorprendentemente, riguarda anche il lavoro.
Gli stagionali del turismo e della ristorazione sono persone molto determinate nel lavoro e nella sua ricerca. Hanno provato a ricollocarsi in altri settori, spesso anche riuscendovi. E, probabilmente, si sono resi conto che possono ottenere retribuzioni equivalenti, magari anche inferiori, ma con condizioni di lavoro molto migliori. Perchè dovrebbero tornare, se le cose non cambiano.
Sempre Fubini scrive nell'articolo citato: "La difficoltà nel reclutare questi profili è così sentita che alcune aziende hanno iniziato a offrire di più, pur di assicurarsi addetti dall'inizio dell'estate".
C'è, forse, qualcosa di sbagliato?
Le prime politiche attive per il lavoro dovrebbero consistere proprio in un equilibrio reale tra lavoro effettuato dai dipendenti e controprestazione dei datori di lavoro. Il riequilibrio prevederebbe che non vi siano contratti formalmente a part-time, con orari però a tempo più che pieno e parti di retribuzioni in nero; che i minimi orari non fossero di 3-5 euro; che gli stagionali non fossero ospitati nei sottoscala delle strutture, ma potessero contare su logistiche ed appartamenti ospitali e funzionali; che i lavoratori nell'agricoltura, ma anche chi lavora in insediamenti produttivi un po' isolati dalle città, possano contare su linee di trasporto pubbliche o private, per consentire loro di raggiungere agevolmente i campi o i capannoni. Evitando caporalati e similari disfunzioni.
Molte delle persone alla ricerca di lavoro non dispongono di mezzi di trasporto privato, perchè non se lo possono permettere. E' un divario enorme per l'accesso al mercato del lavoro, estremamente sentito.
Un'altra evidente politica attiva, è, allora, creare una rete fittissima ed estesa di reti di trasporto.
Le istituzioni pubbliche sono chiamate a comprendere una volta e per sempre che non basta evidenziare le disfunzioni, ma occorre agire per sventarle. Regioni ed enti locali possono fare molto per aiutare i settori interessati ad allestire reti di trasporto non di linea: c'è l'esempio dei servizi analoghi assicurati durante l'anno scolastico, ad esempio, agli allievi disabili. Le associazioni datoriali potrebbero destinare parte delle quote associative al finanziamento o co-finanziamento dei costi di queste reti, come anche delle locazioni di appartamenti degni di tal nome.
Politiche attive, nella realtà, sono anche le pre-condizioni perchè un lavoro possa dirsi interessante e non una sorta di ultima spiaggia, "prendere o lasciare", senza nemmeno doversi interessare delle condizioni economiche o degli orari.
Potrà essere disfunzionale, ma è evidente che se col reddito di cittadinanza si percepiscono 500 euro, e invece con un lavoro di decine di ore al giorno 800 euro in nero, dormendo in catapecchie, si cerchino altre strade o si preferisca restare a casa.
Il mercato, l'organizzazione delle città, l'organizzazione del lavoro debbono cambiare. La pandemia ha reso ancor più evidenti verità che è stato comodo tenere dietro un velo.
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