sabato 21 agosto 2021

Non chiamatemi mobilità ma Caos, parte seconda

 

Se c’è una normativa totalmente caotica e contradditoria, perfettamente rappresentativa della cronica ed assoluta incapacità del Legislatore di “semplificare” è quella sulla mobilità del personale.

Le sciagurate disposizioni contenute in merito dal d.l. 80/2021, specificamente per gli enti locali, sono fonte inesauribile di confusione operativa, rimediabile solo dal Legislatore, se prenderà coscienza della necessità di porre rimedio ai danni derivanti dalla formulazione scadentissima dei testi normativi, prevendendo così il contenzioso che si aprirà e le immancabili divisioni interpretative tra giudici e dottrina.

Il punto che maggiormente salta all’occhio dei più attenti (Vito Antonio Bonanno, Mobilità volontaria: dalla massima libertà al divieto negli enti più piccoli, ne La settimanagiuridica.it) è il paradosso del nuovo comma 1.1 introdotto dal “decreto reclutamento nell’articolo 30 del d.lgs 165/2001.

Per cogliere le contraddizioni totali e le contorsioni normative, scriviamo l’articolo 30 citato, commi 1 e 1.1 in modo da affiancarli:

Art. 30 d.lgs 165/2001, comma 1

Art. 30 d.lgs 165/2001, comma 1.1

Le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante cessione del contratto di lavoro di dipendenti di cui all'articolo 2, comma 2, appartenenti a una qualifica corrispondente e in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento. E' richiesto il previo assenso dell'amministrazione di appartenenza nel caso in cui si tratti di posizioni dichiarate motivatamente infungibili dall'amministrazione cedente o di personale assunto da meno di tre anni o qualora la mobilita' determini una carenza di organico superiore al 20 per cento nella qualifica corrispondente a quella del richiedente. E' fatta salva la possibilita' di differire, per motivate esigenze organizzative, il passaggio diretto del dipendente fino ad un massimo di sessanta giorni dalla ricezione dell'istanza di passaggio diretto ad altra amministrazione. Le disposizioni di cui ai periodi secondo e terzo non si applicano al personale delle aziende e degli enti del servizio sanitario nazionale, per i quali e' comunque richiesto il previo assenso dell'amministrazione di appartenenza. Al personale della scuola continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti in materia. Le amministrazioni, fissando preventivamente i requisiti e le competenze professionali richieste, pubblicano sul proprio sito istituzionale, per un periodo pari almeno a trenta giorni, un bando in cui sono indicati i posti che intendono ricoprire attraverso passaggio diretto di personale di altre amministrazioni, con indicazione dei requisiti da possedere. In via sperimentale e fino all'introduzione di nuove procedure per la determinazione dei fabbisogni standard di personale delle amministrazioni pubbliche, per il trasferimento tra le sedi centrali di differenti ministeri, agenzie ed enti pubblici non economici nazionali non è richiesto l'assenso dell'amministrazione di appartenenza, la quale dispone il trasferimento entro due mesi dalla richiesta dell'amministrazione di destinazione, fatti salvi i termini per il preavviso e a condizione che l'amministrazione di destinazione abbia una percentuale di posti vacanti superiore all'amministrazione di appartenenza. Per agevolare le procedure di mobilità la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica istituisce un portale finalizzato all'incontro tra la domanda e l'offerta di mobilità.

Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano agli enti locali con un numero di dipendenti a tempo indeterminato non superiore a 100. Per gli enti locali con un numero di dipendenti compreso tra 101 e 250, la percentuale di cui al comma 1 e' stabilita al 5 per cento; per gli enti locali con un numero di dipendenti non superiore a 500, la predetta percentuale e' fissata al 10 per cento. La percentuale di cui al comma 1 e' da considerare all'esito della mobilita' e riferita alla dotazione organica dell'ente.

 

Non sfugge che:

1.      mentre il comma 1 consente alle amministrazioni, tutte le amministrazioni pubbliche, di coprire posti vacanti reclutando dipendenti pubblici di altre PA che facciano domanda di trasferimento

2.      il comma 1.1 dispone che le previsioni del precedente comma 1 non si applichino agli enti locali con un numero di dipendenti inferiore a 100 (fino a 99).

Applicando unicamente la rigorosa interpretazione letterale del comma 1.1., quindi, si deve concludere che:

1.      gli enti locali con meno di 100 dipendenti non possono assumere attraverso mobilità dipendenti di altri enti;

2.      i dipendenti degli enti locali con meno di 100 dipendenti non possono mai presentare domanda di trasferimento verso altri enti;

3.      gli enti locali con meno di 100 dipendenti non possono mai consentire legittimamente il trasferimento dei propri dipendenti, non essendo nemmeno prevista la facoltà di esprimere un nulla osta.

Tali conseguenze sono diretta derivazione della formulazione del comma 1.1., che, sciaguratamente, stabilisce l’inapplicabilità dell’intero comma 1 che lo precede agli enti locali con meno di 100 dipendenti, estromessi totalmente dai processi di mobilità in entrata ed in uscita dei propri dipendenti.

Sono conseguenze volute, o, come pare, frutto della sciatteria con la quale vengono scritte le leggi?

Ricordiamo quanto avvenuto. Nel testo iniziale dell’articolo 3, comma 7, del d.l. 80/2021 non era stato previsto di introdurre il comma 1.1 nel corpo dell’articolo 30 del d.lgs 165/2001. Gli enti locali di piccole dimensioni soprattutto (ma, a ben vedere, anche gli altri enti locali) vennero, così, esposti senza armi alla liberalizzazione della mobilità, dovuta alla soppressione del nulla osta (che permane in tre casi di difficilissima dimostrazione) al pericolo di un esodo inarrestabile dei propri dipendenti verso altri enti maggiormente strutturati, con pronunciate possibilità di carriera, migliore logistica territoriale e vicinanza con i luoghi di origine.

Per questo, molti operatori ed interpreti segnalarono i rischi di una liberalizzazione della mobilità, le cui conseguenze sarebbero state potenzialmente dirompenti per gli enti locali: la stessa Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani) ha fatto pressioni con Governo e Parlamento per estendere agli enti locali la medesima disposizione che, nel comma 1 proposto in alto, trovate in corsivo, cioè l’esclusione degli enti locali dalla soppressione del previo consenso alla mobilità in uscita dei propri dipendenti.

Il Legislatore, che appunto escludendo i comparti Sanità e Istruzione, dalla liberalizzazione della mobilità ha confermato da subito la debolezza estrema di tale disciplina dei trasferimenti dei dipendenti, alla fine ha dato ragioni a queste voci contrarie all’impianto iniziale del d.l. 80/2021. Ma, come troppo spesso accade, la toppa è di gran lunga peggiore del buco.

Sarebbe bastato modificare il periodo del comma 1 dell’articolo 30 novellato del d.lgs 165/2001, riscrivendolo così: “Le disposizioni di cui ai periodi secondo e terzo non si applicano al personale delle aziende e degli enti del servizio sanitario nazionale, nonché degli enti locali, per i quali e' comunque richiesto il previo assenso dell'amministrazione di appartenenza”.

Però, lo sappiamo: presso Governo e Parlamento operano dei “tecnici” che dovrebbero “semplificare”, i quali altro non si rivelano se non dei complicatori in servizio permanente effettivo, produttori di norme mal concepite, mal scritte, contraddittorie, inattuabili. E, purtroppo, la modifica dell’articolo 3, comma 7, del d.l. 80/2021, operata con la legge di conversione 113/2021 non è sfuggita alle sapienti mani di questi esperti dello scadimento totale della normativa.

La conseguenza è il guazzabuglio da Hellzapoppin giuridico creato, secondo il quale:

a)      gli enti locali con meno di 100 dipendenti appaiono totalmente esclusi dall’istituto della mobilità (e con loro, i loro dipendenti);

b)      gli enti locali con numero di dipendenti compreso tra 100 e 249 sono soggetti alla liberalizzazione della mobilità, tranne che:

a.       per posti dichiarati motivatamente infungibili;

b.      per personale assunto da meno di tre anni

c.       qualora la mobilità determini una carenza di organico superiore al 5 per cento nella qualifica corrispondente a quella del richiedente;

c)      gli enti locali con numero di dipendenti compreso tra 250 e 499 sono soggetti alla liberalizzazione della mobilità, tranne che:

a.       per posti dichiarati motivatamente infungibili;

b.      per personale assunto da meno di tre anni

c.       qualora la mobilità determini una carenza di organico superiore al 10 per cento nella qualifica corrispondente a quella del richiedente;

d)      gli enti locali con almeno 500 dipendenti sono soggetti alla liberalizzazione della mobilità, tranne che:

a.       per posti dichiarati motivatamente infungibili;

b.      per personale assunto da meno di tre anni

c.       qualora la mobilità determini una carenza di organico superiore al 20 per cento nella qualifica corrispondente a quella del richiedente.

Risulta oggettivamente molto difficile reperire il senso di questo caos ordinamentale ed istituzionale.

Ma, torniamo agli enti locali con meno di 100 dipendenti. E’ evidente che a chi ha scritto le norme, che con estrema difficoltà stiamo descrivendo, sia sfuggita di mano qualcosa.

L’intento, come rilevato prima, probabilmente era di estendere a detti enti locali la medesima disciplina prevista per gli enti del Servizio Sanitario, cioè la permanenza sempre e comunque del previo assenso (id est, nulla osta) ai fini della mobilità.

Però, il comma 1.1 dell’articolo 30, invece di scrivere che agli enti locali con meno di 100 dipendenti non si applicano le disposizioni dei periodi secondo e terzo del precedente comma 1, prevede che a detti enti non si applichi integralmente il comma 1, creando le assurde tre conseguenze evidenziate prima. Assurde perché:

1.      gli enti locali con meno di 100 dipendenti sono privati della possibilità di effettuare reclutamento avvalendosi della mobilità. Vengono, quindi, costretti ad effettuare sempre e comunque concorsi, con gli oneri organizzativi derivanti e conseguenti e a rinunciare anche all’astratta possibilità di reclutare persone con già provata esperienza. Che senso ha?

2.      i dipendenti degli enti locali con meno di 100 dipendenti non possono mai presentare domanda di trasferimento verso altri enti. Si crea, quindi, nei confronti di alcune centinaia di migliaia di dipendenti pubblici un’incredibile discriminazione rispetto a tutti gli altri 3 milioni circa di dipendenti pubblici. Mentre, infatti, molti dipendenti pubblici potranno trasferirsi senza nemmeno dover ottenere il nulla osta, molti altri avranno comunque la possibilità di attivare la mobilità subordinata al nulla osta, ad alcuni la norma, per come scritta, impone il servizio permanente e coatto nell’ente locale con meno di 100 dipendenti. La cosa può reggere alla luce dell’articolo 3 della Costituzione e dei principi di organizzazione della PA sottesi alla disciplina della mobilità contenuta nell’articolo 30 del d.lgs 165/2001 nel suo complesso? Ovvio che no.

3.      gli enti locali con meno di 100 dipendenti non possono mai consentire legittimamente il trasferimento dei propri dipendenti, non essendo nemmeno prevista la facoltà di esprimere un nulla osta. Anche per questi enti locali si riscontra una non giustificabile, sul piano costituzionale ed ordinamentale, diversificazione rispetto a tutte le altre PA dell’orbe terraqueo italico: infatti, mentre ogni PA rispetto alla mobilità in uscita assume una posizione di pati (a meno che non ricorrano le tre complesse condizioni che fanno riemergere il nulla osta) o, laddove esentate dalla liberalizzazione, conservano piena discrezionalità nel concedere o meno il previo assenso, gli enti locali con meno di 100 dipendenti sono privati di tale discrezionalità. Anche qui, non si riesce minimamente a comprendere il senso della norma.

Tale senso sfugge ancor più se, come necessario, si va oltre l’interpretazione letterale e si procede verso quella sistematica, passaggio necessario per verificare se quella letterale possa davvero reggersi da sola.

Ebbene, osservando l’articolo 30 del d.lgs 165/2001, constatiamo che il comma 2-bis è ancora vigente e prevede che tutti gli enti, tutti, compresi i comuni con meno di 100 dipendenti, prima di attivare i concorsi, debbano esperire la mobilità volontaria.

Ora, è vero che l’articolo 3, comma 8, della legge 56/2019, rende l’applicazione del citato comma 2-bis come facoltativa fino al 2024 (per effetto della proroga del termine fissata proprio dalla legge di conversione del d.l. 80/2021). Ma, come si può applicare quella che è attualmente una facoltà, ma domani sarà obbligo, di mobilità ad enti che sono sottratti alla mobilità volontaria? Un cortocircuito normativo che va oltre l’assurdo e porta necessariamente a due alternative chiavi di lettura:

a)      l’articolo 30, comma 2-bis, del d.lgs 165/2001 si deve considerare inapplicabile agli enti locali con meno di 100 dipendenti, per coerenza col comma 1.1;

b)      l’articolo 30, comma 2-bis, del d.lgs 165/2001 deve considerarsi elemento ermeneutico per attribuire allo sciagurato testo del comma 1.1 il significato che più gli deve essere proprio, in una lettura costituzionalmente orientata: in realtà, non va inteso nel senso che escluda gli enti locali con meno di 100 dipendenti dall’applicazione della mobilità volontaria, ma solo nel senso che esenti tali enti locali dalle previsioni che hanno soppresso il previo assenso e ne hanno subordinato la riemersione ai tre difficoltosissimi casi ivi previsti.

Certo, la seconda chiave di lettura è molto complessa, ma è l’unica che dimostra una tenuta sul piano della logica, prima ancora che di quello, indispensabile, della coerenza con la Costituzione.

Ad ulteriore conferma indiretta che chi ha scritto il nuovo comma 1.1 dell’articolo 30 del d.lgs 165/2001 è incorso in una svista spaventosa (o davvero non ha cognizione alcuna di come coordinare le norme tra loro) è l’articolo 3 bis, inserito nel d.l. 80/2021 dalla legge di conversione 113/2121. Tale norma è dedicata agli enti locali, tutti gli enti locali, senza distinzione di numero di dipendenti e prevede, in estrema sintesi, la possibilità di aggregazioni per la gestione comune di graduatorie cui attingere per effettuare assunzioni.

Il comma 7 di tale articolo 3-bis dispone che questo sistema di semplificazione delle assunzioni può essere utilizzato per fare fronte alle mobilità in uscita. Anche questo comma è riferito a tutti gli enti locali senza distinzione alcuna. Segno che il Legislatore aveva in mente di consentire comunque agli enti locali, tutti, compresi quelli con meno di 100 dipendenti, di esprimere il nulla osta e non certo di creare un’enclave nell’ordinamento italiano, nel quale ogni possibilità di trasferimento dei dipendenti risulti totalmente impraticabile.

L’interpretazione sistematica delle norme, quindi, permette di fornire una chiave di lettura meno rigorosa del comma 1.1 e limitarne la portata semplicemente al ripristino, per gli enti con meno di 100 dipendenti, della discrezionalità del nulla osta sempre e comunque, come per gli enti del Servizio Sanitario.

Certo, la cosa migliore è che il Legislatore comprenda di aver scritto una norma davvero sballata, che sicuramente apre la strada a notevoli confusioni e contenziosi. In effetti, l’interpretazione che qui si propone non può considerarsi in assoluto prevalente su quella solo letterale, che ha una sua rilevante forza, sebbene non confermata dall’interpretazione sistematica, la quale ultima, comunque, ha delle debolezze. Infatti, nulla esclude che tutte le norme citate come incoerenti col comma 1.1 possono anche essere lette nel senso che risulti in ogni caso prevalente il precetto secondo il quale gli enti locali con meno di 100 dipendenti sono esclusi totalmente dalla mobilità, sicchè a loro non si applica nessun’altra norma connessa all’istituto della mobilità.

Il Legislatore, allora, avrebbe il dovere di rimediare al più presto: o modificando il testo del comma 1.1 e scrivendolo in modo da renderlo conforme all’intento che ci pare essere quello non di escludere gli enti locali con meno di 100 dipendenti dall’istituto della mobilità, ma di ripristinare per essi il nulla osta tout court; oppure, chiarendo che si tratti davvero di un’inusitata esclusione totale ed assoluta di detti enti locali dall’istituto della mobilità, provando a risolvere, però, il problema dell’evidente incostituzionalità della disparità di trattamento tra dipendenti pubblici. Argomentazione, questa, che, considerato il dovere di leggere le norme alla luce di interpretazioni costituzionalmente orientate, lascia preferire la tesi (arzigogolata) secondo la quale comunque il comma 1.1 non possa sortire l’assurdo effetto di impedire la mobilità ai dipendenti degli enti locali con meno di 100 dipendenti.

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