Se c’è una normativa totalmente
caotica e contradditoria, perfettamente rappresentativa della cronica ed
assoluta incapacità del Legislatore di “semplificare” è quella sulla mobilità
del personale.
Le sciagurate disposizioni
contenute in merito dal d.l. 80/2021, specificamente per gli enti locali, sono
fonte inesauribile di confusione operativa, rimediabile solo dal Legislatore,
se prenderà coscienza della necessità di porre rimedio ai danni derivanti dalla
formulazione scadentissima dei testi normativi, prevendendo così il contenzioso
che si aprirà e le immancabili divisioni interpretative tra giudici e dottrina.
Il punto che maggiormente salta all’occhio dei più attenti (Vito Antonio Bonanno, Mobilità volontaria: dalla massima libertà al divieto negli enti più piccoli, ne La settimanagiuridica.it) è il paradosso del nuovo comma 1.1 introdotto dal “decreto reclutamento nell’articolo 30 del d.lgs 165/2001.
Per cogliere le contraddizioni
totali e le contorsioni normative, scriviamo l’articolo 30 citato, commi 1 e
1.1 in modo da affiancarli:
Art. 30 d.lgs 165/2001, comma 1 |
Art. 30 d.lgs 165/2001, comma 1.1 |
Le amministrazioni
possono ricoprire posti vacanti in organico mediante cessione del contratto
di lavoro di dipendenti di cui all'articolo 2, comma 2, appartenenti a una
qualifica corrispondente e in servizio presso altre amministrazioni, che
facciano domanda di trasferimento.
E' richiesto il previo assenso dell'amministrazione di appartenenza nel caso in
cui si tratti di posizioni dichiarate motivatamente infungibili
dall'amministrazione cedente o di personale assunto da
meno di tre anni o qualora la mobilita' determini una carenza di organico
superiore al 20 per cento nella qualifica corrispondente a quella del
richiedente. E' fatta salva la possibilita' di differire, per motivate
esigenze organizzative, il passaggio diretto del dipendente fino ad un
massimo di sessanta giorni dalla ricezione dell'istanza di passaggio diretto
ad altra amministrazione. Le disposizioni di cui
ai periodi secondo e terzo non si applicano al personale delle aziende e
degli enti del servizio sanitario nazionale, per i quali e' comunque
richiesto il previo assenso dell'amministrazione di appartenenza.
Al personale della scuola continuano ad applicarsi le disposizioni
vigenti in materia. Le amministrazioni, fissando preventivamente i
requisiti e le competenze professionali richieste, pubblicano sul proprio
sito istituzionale, per un periodo pari almeno a trenta giorni, un bando in
cui sono indicati i posti che intendono ricoprire attraverso passaggio
diretto di personale di altre amministrazioni, con indicazione dei requisiti
da possedere. In via sperimentale e fino all'introduzione di nuove procedure
per la determinazione dei fabbisogni standard di personale delle
amministrazioni pubbliche, per il trasferimento tra le sedi centrali di
differenti ministeri, agenzie ed enti pubblici non economici nazionali non è
richiesto l'assenso dell'amministrazione di appartenenza, la quale dispone il
trasferimento entro due mesi dalla richiesta dell'amministrazione di
destinazione, fatti salvi i termini per il preavviso e a condizione che
l'amministrazione di destinazione abbia una percentuale di posti vacanti
superiore all'amministrazione di appartenenza. Per agevolare le procedure di
mobilità la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione
pubblica istituisce un portale finalizzato all'incontro tra la domanda e
l'offerta di mobilità. |
Le disposizioni di cui al
comma 1 non si applicano agli enti locali con un numero di dipendenti a tempo
indeterminato non superiore a 100.
Per gli enti locali con un numero di dipendenti compreso tra 101 e 250, la
percentuale di cui al comma 1 e' stabilita al 5 per cento; per gli enti
locali con un numero di dipendenti non superiore a 500, la predetta
percentuale e' fissata al 10 per cento. La percentuale di cui al comma 1 e'
da considerare all'esito della mobilita' e riferita alla dotazione organica
dell'ente. |
Non sfugge che:
1.
mentre il comma 1 consente alle amministrazioni,
tutte le amministrazioni pubbliche, di coprire posti vacanti reclutando
dipendenti pubblici di altre PA che facciano domanda di trasferimento
2.
il comma 1.1 dispone che le previsioni del
precedente comma 1 non si applichino agli enti locali con un numero di
dipendenti inferiore a 100 (fino a 99).
Applicando unicamente la
rigorosa interpretazione letterale del comma 1.1., quindi, si deve concludere
che:
1.
gli enti locali con meno di 100 dipendenti non
possono assumere attraverso mobilità dipendenti di altri enti;
2.
i dipendenti degli enti locali con meno di 100
dipendenti non possono mai presentare domanda di trasferimento verso altri
enti;
3.
gli enti locali con meno di 100 dipendenti non
possono mai consentire legittimamente il trasferimento dei propri dipendenti,
non essendo nemmeno prevista la facoltà di esprimere un nulla osta.
Tali conseguenze sono diretta
derivazione della formulazione del comma 1.1., che, sciaguratamente, stabilisce
l’inapplicabilità dell’intero comma 1 che lo precede agli enti locali con meno
di 100 dipendenti, estromessi totalmente dai processi di mobilità in entrata ed
in uscita dei propri dipendenti.
Sono conseguenze volute, o, come
pare, frutto della sciatteria con la quale vengono scritte le leggi?
Ricordiamo quanto avvenuto. Nel
testo iniziale dell’articolo 3, comma 7, del d.l. 80/2021 non era stato
previsto di introdurre il comma 1.1 nel corpo dell’articolo 30 del d.lgs 165/2001.
Gli enti locali di piccole dimensioni soprattutto (ma, a ben vedere, anche gli altri
enti locali) vennero, così, esposti senza armi alla liberalizzazione della
mobilità, dovuta alla soppressione del nulla osta (che permane in tre casi di
difficilissima dimostrazione) al pericolo di un esodo inarrestabile dei propri
dipendenti verso altri enti maggiormente strutturati, con pronunciate
possibilità di carriera, migliore logistica territoriale e vicinanza con i luoghi
di origine.
Per questo, molti operatori ed
interpreti segnalarono i rischi di una liberalizzazione della mobilità, le cui
conseguenze sarebbero state potenzialmente dirompenti per gli enti locali: la
stessa Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani) ha fatto pressioni con
Governo e Parlamento per estendere agli enti locali la medesima disposizione
che, nel comma 1 proposto in alto, trovate in corsivo, cioè l’esclusione degli
enti locali dalla soppressione del previo consenso alla mobilità in uscita dei
propri dipendenti.
Il Legislatore, che appunto
escludendo i comparti Sanità e Istruzione, dalla liberalizzazione della
mobilità ha confermato da subito la debolezza estrema di tale disciplina dei
trasferimenti dei dipendenti, alla fine ha dato ragioni a queste voci contrarie
all’impianto iniziale del d.l. 80/2021. Ma, come troppo spesso accade, la toppa
è di gran lunga peggiore del buco.
Sarebbe bastato modificare il
periodo del comma 1 dell’articolo 30 novellato del d.lgs 165/2001, riscrivendolo
così: “Le disposizioni di cui ai periodi secondo e terzo non si applicano al
personale delle aziende e degli enti del servizio sanitario nazionale, nonché
degli enti locali, per i quali e' comunque richiesto il previo assenso
dell'amministrazione di appartenenza”.
Però, lo sappiamo: presso
Governo e Parlamento operano dei “tecnici” che dovrebbero “semplificare”, i
quali altro non si rivelano se non dei complicatori in servizio permanente
effettivo, produttori di norme mal concepite, mal scritte, contraddittorie,
inattuabili. E, purtroppo, la modifica dell’articolo 3, comma 7, del d.l.
80/2021, operata con la legge di conversione 113/2021 non è sfuggita alle
sapienti mani di questi esperti dello scadimento totale della normativa.
La conseguenza è il guazzabuglio
da Hellzapoppin giuridico creato, secondo il quale:
a)
gli enti locali con meno di 100 dipendenti
appaiono totalmente esclusi dall’istituto della mobilità (e con loro, i loro
dipendenti);
b)
gli enti locali con numero di dipendenti
compreso tra 100 e 249 sono soggetti alla liberalizzazione della mobilità,
tranne che:
a.
per posti dichiarati motivatamente infungibili;
b.
per personale assunto da meno di tre anni
c.
qualora la mobilità determini una carenza di
organico superiore al 5 per cento nella qualifica corrispondente a quella del
richiedente;
c)
gli enti locali con numero di dipendenti
compreso tra 250 e 499 sono soggetti alla liberalizzazione della mobilità,
tranne che:
a.
per posti dichiarati motivatamente infungibili;
b.
per personale assunto da meno di tre anni
c.
qualora la mobilità determini una carenza di
organico superiore al 10 per cento nella qualifica corrispondente a quella del
richiedente;
d)
gli enti locali con almeno 500 dipendenti sono
soggetti alla liberalizzazione della mobilità, tranne che:
a.
per posti dichiarati motivatamente infungibili;
b.
per personale assunto da meno di tre anni
c.
qualora la mobilità determini una carenza di
organico superiore al 20 per cento nella qualifica corrispondente a quella del
richiedente.
Risulta oggettivamente molto
difficile reperire il senso di questo caos ordinamentale ed istituzionale.
Ma, torniamo agli enti locali
con meno di 100 dipendenti. E’ evidente che a chi ha scritto le norme, che con
estrema difficoltà stiamo descrivendo, sia sfuggita di mano qualcosa.
L’intento, come rilevato prima,
probabilmente era di estendere a detti enti locali la medesima disciplina
prevista per gli enti del Servizio Sanitario, cioè la permanenza sempre e
comunque del previo assenso (id est, nulla osta) ai fini della mobilità.
Però, il comma 1.1 dell’articolo
30, invece di scrivere che agli enti locali con meno di 100 dipendenti non si
applicano le disposizioni dei periodi secondo e terzo del precedente comma 1, prevede
che a detti enti non si applichi integralmente il comma 1, creando le assurde tre
conseguenze evidenziate prima. Assurde perché:
1.
gli enti locali con meno di 100 dipendenti sono
privati della possibilità di effettuare reclutamento avvalendosi della mobilità.
Vengono, quindi, costretti ad effettuare sempre e comunque concorsi, con gli
oneri organizzativi derivanti e conseguenti e a rinunciare anche all’astratta
possibilità di reclutare persone con già provata esperienza. Che senso ha?
2.
i dipendenti degli enti locali con meno di 100
dipendenti non possono mai presentare domanda di trasferimento verso altri enti.
Si crea, quindi, nei confronti di alcune centinaia di migliaia di dipendenti
pubblici un’incredibile discriminazione rispetto a tutti gli altri 3 milioni
circa di dipendenti pubblici. Mentre, infatti, molti dipendenti pubblici
potranno trasferirsi senza nemmeno dover ottenere il nulla osta, molti altri
avranno comunque la possibilità di attivare la mobilità subordinata al nulla
osta, ad alcuni la norma, per come scritta, impone il servizio permanente e
coatto nell’ente locale con meno di 100 dipendenti. La cosa può reggere alla
luce dell’articolo 3 della Costituzione e dei principi di organizzazione della
PA sottesi alla disciplina della mobilità contenuta nell’articolo 30 del d.lgs
165/2001 nel suo complesso? Ovvio che no.
3.
gli enti locali con meno di 100 dipendenti non
possono mai consentire legittimamente il trasferimento dei propri dipendenti,
non essendo nemmeno prevista la facoltà di esprimere un nulla osta. Anche per questi
enti locali si riscontra una non giustificabile, sul piano costituzionale ed
ordinamentale, diversificazione rispetto a tutte le altre PA dell’orbe terraqueo
italico: infatti, mentre ogni PA rispetto alla mobilità in uscita assume una
posizione di pati (a meno che non ricorrano le tre complesse condizioni che
fanno riemergere il nulla osta) o, laddove esentate dalla liberalizzazione,
conservano piena discrezionalità nel concedere o meno il previo assenso, gli
enti locali con meno di 100 dipendenti sono privati di tale discrezionalità.
Anche qui, non si riesce minimamente a comprendere il senso della norma.
Tale senso sfugge ancor più se,
come necessario, si va oltre l’interpretazione letterale e si procede verso
quella sistematica, passaggio necessario per verificare se quella letterale
possa davvero reggersi da sola.
Ebbene, osservando l’articolo 30
del d.lgs 165/2001, constatiamo che il comma 2-bis è ancora vigente e prevede
che tutti gli enti, tutti, compresi i comuni con meno di 100 dipendenti, prima
di attivare i concorsi, debbano esperire la mobilità volontaria.
Ora, è vero che l’articolo 3,
comma 8, della legge 56/2019, rende l’applicazione del citato comma 2-bis come
facoltativa fino al 2024 (per effetto della proroga del termine fissata proprio
dalla legge di conversione del d.l. 80/2021). Ma, come si può applicare quella
che è attualmente una facoltà, ma domani sarà obbligo, di mobilità ad enti che
sono sottratti alla mobilità volontaria? Un cortocircuito normativo che va oltre
l’assurdo e porta necessariamente a due alternative chiavi di lettura:
a)
l’articolo 30, comma 2-bis, del d.lgs 165/2001
si deve considerare inapplicabile agli enti locali con meno di 100 dipendenti, per
coerenza col comma 1.1;
b)
l’articolo 30, comma 2-bis, del d.lgs 165/2001
deve considerarsi elemento ermeneutico per attribuire allo sciagurato testo del
comma 1.1 il significato che più gli deve essere proprio, in una lettura
costituzionalmente orientata: in realtà, non va inteso nel senso che escluda
gli enti locali con meno di 100 dipendenti dall’applicazione della mobilità
volontaria, ma solo nel senso che esenti tali enti locali dalle previsioni che hanno
soppresso il previo assenso e ne hanno subordinato la riemersione ai tre difficoltosissimi
casi ivi previsti.
Certo, la seconda chiave di
lettura è molto complessa, ma è l’unica che dimostra una tenuta sul piano della
logica, prima ancora che di quello, indispensabile, della coerenza con la
Costituzione.
Ad ulteriore conferma indiretta
che chi ha scritto il nuovo comma 1.1 dell’articolo 30 del d.lgs 165/2001 è
incorso in una svista spaventosa (o davvero non ha cognizione alcuna di come
coordinare le norme tra loro) è l’articolo 3 bis, inserito nel d.l. 80/2021
dalla legge di conversione 113/2121. Tale norma è dedicata agli enti locali,
tutti gli enti locali, senza distinzione di numero di dipendenti e prevede, in
estrema sintesi, la possibilità
di aggregazioni per la gestione comune di graduatorie cui attingere per effettuare
assunzioni.
Il comma 7 di tale articolo
3-bis dispone che questo sistema di semplificazione delle assunzioni può essere
utilizzato per fare fronte alle mobilità in uscita. Anche questo comma è riferito
a tutti gli enti locali senza distinzione alcuna. Segno che il Legislatore aveva
in mente di consentire comunque agli enti locali, tutti, compresi quelli con
meno di 100 dipendenti, di esprimere il nulla osta e non certo di creare un’enclave
nell’ordinamento italiano, nel quale ogni possibilità di trasferimento dei
dipendenti risulti totalmente impraticabile.
L’interpretazione sistematica
delle norme, quindi, permette di fornire una chiave di lettura meno rigorosa
del comma 1.1 e limitarne la portata semplicemente al ripristino, per gli enti
con meno di 100 dipendenti, della discrezionalità del nulla osta sempre e
comunque, come per gli enti del Servizio Sanitario.
Certo, la cosa migliore è che il
Legislatore comprenda di aver scritto una norma davvero sballata, che
sicuramente apre la strada a notevoli confusioni e contenziosi. In effetti, l’interpretazione
che qui si propone non può considerarsi in assoluto prevalente su quella solo
letterale, che ha una sua rilevante forza, sebbene non confermata dall’interpretazione
sistematica, la quale ultima, comunque, ha delle debolezze. Infatti, nulla
esclude che tutte le norme citate come incoerenti col comma 1.1 possono anche
essere lette nel senso che risulti in ogni caso prevalente il precetto secondo
il quale gli enti locali con meno di 100 dipendenti sono esclusi totalmente
dalla mobilità, sicchè a loro non si applica nessun’altra norma connessa all’istituto
della mobilità.
Il Legislatore, allora, avrebbe
il dovere di rimediare al più presto: o modificando il testo del comma 1.1 e
scrivendolo in modo da renderlo conforme all’intento che ci pare essere quello
non di escludere gli enti locali con meno di 100 dipendenti dall’istituto della
mobilità, ma di ripristinare per essi il nulla osta tout court; oppure,
chiarendo che si tratti davvero di un’inusitata esclusione totale ed assoluta di
detti enti locali dall’istituto della mobilità, provando a risolvere, però, il
problema dell’evidente incostituzionalità della disparità di trattamento tra
dipendenti pubblici. Argomentazione, questa, che, considerato il dovere di
leggere le norme alla luce di interpretazioni costituzionalmente orientate, lascia
preferire la tesi (arzigogolata) secondo la quale comunque il comma 1.1 non
possa sortire l’assurdo effetto di impedire la mobilità ai dipendenti degli
enti locali con meno di 100 dipendenti.
Le norme dovrebbe scriverle un segretario comunale
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