martedì 2 novembre 2021

La durata minima degli incarichi a contratto negli enti locali non è di 3 anni. La nomofilachia della Cassazione, se erronea, non può ingabbiare i giudici

Sul tema della durata degli incarichi dirigenziali a contratto ai sensi dell'articolo 110 del d.lgs 267/2000, si segnala per l'ennesima interpretazione erronea e contra legem il parere della Corte dei conti per l'Emilia Romagna 220/2021, secondo il quale tale durata minima è di tre anni.

Il parere si appoggia sull'interpretazione nomofilattica discendente dalla sentenza della Corte di cassazione, Sezione Lavoro 13 gennaio 2014, n. 478.

Una sentenza assolutamente erronea e da rigettare (si veda qui e qui), per una ragione semplicissima: travisamento clamoroso delle disposizioni dell'articolo 19 del d.lgs 165/2001.

Tale norma è divisa molto chiaramente in due principali parti: i commi fino al 5-ter e il comma 6. Il primo insieme di commi è dedicato alla regolazione del conferimento degli incarichi ALLA DIRIGENZA DI RUOLO. E' esclusivamente per l'incarico attribuito al dirigente assunto a tempo indeterminato, che il comma 2 dispone: "...non può essere inferiore a tre anni né eccedere il termine di cinque anni...".

Il successivo comma 6, invece, è dedicato in via esclusiva ai dirigenti non di ruolo, assunti a tempo determinato. Per questo secondo genere di incarichi, il medesimo comma 6 dispone: "La durata di tali incarichi, comunque, non può eccedere, per gli incarichi di funzione dirigenziale di cui ai commi 3 e 4, il termine di tre anni, e, per gli altri incarichi di funzione dirigenziale, il termine di cinque anni".

Come è facile notare per chiunque, anche se così non è avvenuto per la Cassazione, la specifica disciplina degli incarichi a contratto NON PREVEDE ALCUNA DURATA MINIMA di tre anni, ma solo UNA DURATA MASSIMA.

Nel caso degli incarichi a contratto dei dirigenti locali, tale DURATA MASSIMA, è così disposta dall'articolo 110, comma 3, del d.lgs 267/2000: "I contratti di cui ai precedenti commi non possono avere durata superiore al mandato elettivo del sindaco o del presidente della provincia in carica".

E' di innegabile evidenza la totale erroneità, dunque, della sentenza della Cassazione Sezione Lavoro, che non solo fornisce un'interpretazione fuorviante delle norme, ma soprattutto elabora una tesi in plateale contrasto con una norma, l'articolo 110, comma 3, del Tuel, che più chiara di com'è scritta non potrebbe e non si presta a nessuna chiave di lettura diversa da quella chiaramente disposta, intesa a far coincidere la durata MASSIMA dell'incarico a contratto col mandato del sindaco, senza prevedere nessuna durata minima.

Le indicazioni erronee della Cassazione, purtroppo hanno delle propaggini. I giudici di merito di ogni giurisdizione si sentono, infatti, vincolati alla nomofilachia degli ermellini e replicano all'infinito l'interpretazione erronea e contraria a legge proposta.

Vero è che la funzione nomofilattica orienta i giudici. Altrettanto vero è che di fronte ad un'indicazione così innegabilmente e gravemente erronea come quella della presunta durata minima triennale degli incarichi a contratto, è necessario farsi carico di evidenziare quell'errore, anche per sollecitare un ravvedimento da parte della Cassazione, atteso da ormai oltre 7 anni, doveroso e necessario, per quanto tardivo.

Nel frattempo, allora, che durata stabilire per gli incarichi a contratto? Gli enti locali come debbono agire?

La funzione nomofilattica della Cassazione può orientare i giudici, ma non incidere sull'obbligo della PA di rispettare il principio di legalità. Le leggi non le emana il giudice, ma il Parlamento. Che ha stabilito una durata MASSIMA E NON MINIMA dell'incarico a contratto negli enti locali, connettendolo strettamente alla durata del mandato sindacale. Gli enti locali hanno, dunque, il dovere di regolare gli incarichi nel rispetto della legge. Così come la Cassazione ha il dovere di rivedere il proprio erroneo orientamento e sanare una ferita all'ordinamento che non può più restare aperta. 


2 commenti:

  1. Difficilmente la Cassazione ammetterà il proprio errore e figuriamoci se le P.A. oseranno contrastarla. L'unica è una legge di interpretazione autentica.

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  2. La Cassazione spesso ha cambiato orientamento sulla medesima materia, non a caso esistono le pronunce delle sezioni unite. E' anche capitato che la medesima sezione nel tempo cambiasse idea (del resto i magistrati che la compongono cambiano).
    Però deve arrivare nuovamente il caso sul tavolo degli Ermellini.

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