Visualizzazione post con etichetta dotazioni organiche. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta dotazioni organiche. Mostra tutti i post

sabato 16 gennaio 2016

Dirigenza: l'indisponibilità dei posti fissata dalla legge 208/2015 siapplica necessariamente anche agli enti locali

La legge 208/2015 non poteva mancare di creare problemi interpretativi, per la verità nel caso di specie, facilmente risolvibili perché oggettivamente di poca fondatezza.

A creare il “caso” è il comma 219 della legge, cui si affida il compito di recuperare, almeno in parte, dalla spesa del personale il finanziamento delle scarsissime risorse da finalizzare al rinnovo contrattuale (circa 300 milioni per i comparti dello Stato; altrettanto si stabilirà, probabilmente, per regioni enti locali).

Il comma 219 dispone che “nelle more dell'adozione dei decreti legislativi attuativi degli articoli 8, 11 e 17 della legge 7 agosto 2015, n. 124, e dell'attuazione dei commi 422, 423, 424 e 425 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, e successive modificazioni, sono resi indisponibili i posti dirigenziali di prima e seconda fascia delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, come rideterminati in applicazione dell'articolo 2 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, e successive modificazioni, vacanti alla data del 15 ottobre 2015, tenendo comunque conto del numero dei dirigenti in servizio senza incarico o con incarico di studio e del personale dirigenziale in posizione di comando, distacco, fuori ruolo o aspettativa”.

Tradotto in termini più semplici: non si potranno coprire i posti vacanti di qualifica dirigenziale delle dotazioni organiche delle amministrazioni statali, come già ridotto a seguito della spending review targata Monti, fino a quando non entreranno in vigore i decreti legislativi attuativi della riforma Madia della PA. Tuttavia, resteranno disponibili, i posti per assorbire i dirigenti privi di incarico o con incarichi di studio o in comando.

Questo comma va letto in combinazione col successivo 224: “Resta escluso dalle disposizioni di cui al comma 219 il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, delle città metropolitane e delle province adibito all'esercizio di funzioni fondamentali, degli uffici giudiziari e dell'amministrazione della giustizia, dell'area medica e veterinaria e del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale. É escluso altresì il personale delle Agenzie di cui al decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 157”.

Quindi, non c’è il congelamento delle assunzioni delle qualifiche dirigenziali:

  1. per il personale non contrattualizzato;

  2. per il personale di province e città metropolitane appartenente alle funzioni fondamentali;

  3. per il personale

    1. degli uffici giudiziari e dell’amministrazione giudiziaria

    2. dell’area medica e veterinaria e dei ruoli del Ssn;

  4. per il personale delle Agenzie fiscali.

Sarebbe, però, interessante sapere dal Legislatore a cosa serva la precisazione riferita a province e città metropolitane, visto che a tali enti rimane totalmente ed inviolabilmente vietato di effettuare assunzioni a tempo indeterminato, di dirigenti come di personale di qualsiasi altra qualifica.

Sempre restando sulla questione della dirigenza e della razionalizzazione della spesa, con connessa riduzione dei ruoli, il comma 220 rinvia ad un “decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro il 31 gennaio 2016, su proposta del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze” il compito di effettuare “la ricognizione delle dotazioni organiche dirigenziali delle amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, delle agenzie, degli enti pubblici non economici, degli enti di ricerca, nonché degli enti pubblici di cui all'articolo 70, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni”.

Si tratta, in effetti, di un adempimento estremamente importante soprattutto in vista della riforma della dirigenza disegnata dall’articolo 11 della legge 124/2015, allo scopo di comprendere quali posti risultino disponibili, visto che è necessario capire che margini di flessibilità vi saranno ai fini della revisione degli incarichi e della copertura dei posti vacanti. Specie perché tale copertura avverrà in tempi estremamente lunghi: infatti il sistema del corso-concorso e dei concorsi previsto dalla legge 124/2015 richiede un periodo di tre anni prima di consolidare nei ruoli i nuovi dirigenti.

Anche regioni ed enti locali sono chiamati, dal comma 221, ad effettuare la “ricognizione delle proprie dotazioni organiche dirigenziali secondo i rispettivi ordinamenti, nonché il “riordino delle competenze degli uffici dirigenziali, eliminando eventuali duplicazioni. Ovviamente, si tratta di adempimenti di particolare rilievo per le grandi città e le regioni, enti nei quali è più facile riscontrare casi eventuali di duplicazioni, rispetto a comuni di dimensioni maggiormente contenute ove le dotazioni organiche dirigenziali risultano molto più ristrette.

A proposito di regioni ed enti locali, tornando al problema interpretativo riguardante il comma 219, secondo parte della dottrina[1] il comma 219 non si applicherebbe alla dirigenza locale e regionale.

A suffragare la teoria secondo la quale il comma 219 limiterebbe la propria portata applicativa alle sole amministrazioni dello Stato vi sarebbero due ordini di ragioni.

Un primo, si riferisce ad un’interpretazione letterale. Il comma, infatti:

  1. dispone che “sono resi indisponibili i posti dirigenziali di prima e seconda fascia”; ma, la distinzione della dirigenza in prima e seconda fascia non esiste nel comparto regioni-enti locali;

  2. l’indisponibilità riguarda i posti dirigenziali della dotazione organica “come rideterminati in applicazione dell'articolo 2 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, e successive modificazioni”; ma, l’obbligo di rideterminazione previsto dall’articolo 2 della manovra Monti riguardava esclusivamente le amministrazioni dello Stato.

Da qui, dunque, il fronte interpretativo teso a ritenere l’inapplicabilità del comma 219 agli enti locali ritiene di rinvenire la dimostrazione certa della propria teoria.

Tuttavia, questa motivazione di ordine letterale non pare assolutamente poter costituire la base convincente per escludere gli enti locali dall’obbligo di rendere indisponibile i posti della dotazione organica.

E’ proprio l’interpretazione letterale che non lo consente, perché il comma 219 impone di rendere indisponibili i posti dirigenziali delle dotazioni organiche, vacanti alla data del 15 ottobre 2015 “delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni”. Il comma si riferisce in modo evidentissimo a tutte le amministrazioni pubbliche elencate nell’articolo 1, comma 2[2], del d.lgs 165/2001, tra le quali sono compresi regioni ed enti locali. Non c’è esclusione alcuna. Al contrario, come visto prima, la legge 208/2015 si premura di escludere espressamente dall’obbligo di rendere indisponibili i posti dirigenziali della dotazione organica, limitatamente al personale non contrattualizzato, al personale di province e città metropolitane appartenente alle funzioni fondamentali (anche se province e città metropolitane non possono assumere nessun dipendenti), al personale personale degli uffici giudiziari e dell’amministrazione giudiziaria, al personale dell’area medica e veterinaria e dei ruoli del Ssn e al personale delle Agenzie fiscali.

Poiché la legge 208/2015 ha indicato in modo estremamente chiaro gli ambiti ai quali non si estende l’applicazione dell’obbligo di rendere indisponibili i posti dirigenziali della dotazione organica, con un’elencazione tassativa e in questa elencazione non sono presenti i dirigenti degli enti locali, proprio l’interpretazione letterale, che non si limiti a soli piccoli stralci del comma 219, dimostra che esso comma si applichi necessariamente anche agli enti locali.

Il riferimento alla rideterminazione dei posti imposto alle sole amministrazioni statali dall’articolo 2 del d.l. 95/2012, è solo un accidente della norma, inserito per indicare che le amministrazioni soggette al citato articolo 2 del d.l. 95/2012 debbono, ovviamente, rendere indisponibili i posti vacanti al 15 ottobre 2015, tenendo conto del riordino posto in essere e nulla più. Tale inciso della norma non vale certo ad escludere dall’obbligo le amministrazioni che non fossero state obbligate a riordinare i posti dirigenziali.

Tra l’altro, non è da dimenticare che il citato d.l. 95/2012 aveva previsto anche in capo agli enti locali la rideterminazione delle dotazioni organiche, per effetto dell’articolo 12, comma 8[3]. E’ un ulteriore accidente che, poi, non sia stato dato seguito alle previsioni di tale norma. E’ per questa ragione che il comma 219 prende in considerazione in modo espresso solo l’adempimento all’articolo 2 del d.l. 95/2012.

Che, sul piano letterale, l’inciso riferito a tale norma sia solo un elemento accidentale, dunque non essenziale, lo dimostra la circostanza che cancellando le parole “come rideterminati in applicazione dell'articolo 2 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, e successive modificazioni” la norma né perde di significato, né cambia la sua portata: anche se il legislatore non avesse introdotto questo inciso, è perfettamente evidente che possono essere resi indisponibili solo i posti dirigenziali delle dotazioni organiche come rideterminati.

Un secondo ordine di argomentazioni si fonda sull’autonomia costituzionalmente garantita delle autonomie locali. Dunque, sulla base di una interpretazione “costituzionalmente orientata”, il comma 219 non sarebbe applicabile alle regioni e agli enti locali, dal momento che ai sensi dell'articolo 117, comma 6 della Costituzione,detti enti hanno potestà regolamentare “in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite”.

Si tratta di un’argomentazione piuttosto debole, per risultare persuasiva e convincente.

Si rispolvera un tema ormai chiarito molte volte dalla Corte costituzionale: la potestà organizzativa di regioni ed enti locali, si svolge mediante i regolamenti, norme subordinate alla legge, che, per altro, non possono intaccare la potestà legislativa esclusiva dello Stato.

Nel caso di specie, la legge 208/2015 appartiene con ogni evidenza alla materia trasversale del coordinamento della finanza pubblica, spettante in via esclusiva alla potestà dello Stato, ai sensi dell’articolo 119, comma 2, della Costituzione. Dunque, né i regolamenti possono derogare alla legge, né si può immaginare che lo Stato non disponga del potere di esercitare il coordinamento della finanza pubblica, imponendo vincoli di spesa come quelli oggetti del comma 219, che congela la possibilità di assumere, con alcune eccezioni, dirigenti pubblici, proprio allo scopo di conseguire effetti di risparmio, coinvolgendo pienamente anche gli enti locali.

Nessun vulnus all’autonomia costituzionale di regioni ed enti locali pare derivare dal comma 219 anche per altre ragioni. In primo luogo, il comma 219 non è una disposizione a regime, ma solo transitoria: opera, come essa stessa dispone, solo “nelle more dell'adozione dei decreti legislativi attuativi degli articoli 8, 11 e 17 della legge 7 agosto 2015, n. 124, e dell'attuazione dei commi 422, 423, 424 e 425 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, e successive modificazioni”.

Dunque, l’indisponibilità è solo temporanea. Ed ha un fine ulteriore all’attuazione dei principi di coordinamento della finanza pubblica: preparare il terreno all’attuazione della riforma della dirigenza pubblica disposta dalla legge 124/2015, all’evidente scopo di non incrementare il numero dei dirigenti, mentre è ancora in corso la ricognizione corretta dei posti disponibili, in vista della creazione del “mercato” della dirigenza previsto dall’articolo 11 della legge Madia, che impone al suo avvio coerenza tra i posti disponibili e i dirigenti incaricati, per evitare che vi possa essere un esubero dei secondi, rispetto ai primi, tale da inchiodare il sistema prima ancora che parta.

Ricordando che l’articolo 11 della legge 124/2015 riordina la dirigenza in un ruolo unico, in realtà composto di tre ruoli tra di loro, però, perfettamente interscambiabili, quello dei dirigenti statali, quello dei dirigenti regionali e quello dei dirigenti degli enti locali, è del tutto irrazionale immaginare che le sole amministrazioni statali debbano rendere indisponibili i posti dirigenziali della dotazione organica, ai fini dell’attuazione della legge.

Trattandosi, in questo caso, di una normativa direttamente incidente sui rapporti di lavoro, lo Stato dispone di integrale ed esclusiva potestà legislativa, ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettera g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali, nonché, soprattutto, nella lettera l) in tema di ordinamento civile (e connessa formazione dei rapporti di lavoro).

Pertanto, l’articolo 1, comma 219, della legge 208/2015 non incide negativamente in alcun modo l’autonomia costituzionalmente garantita di regioni ed enti locali e, dunque, non si può che confermarne la sua completa applicazione anche a detti enti.

D’altra parte, la conferma che gli enti locali debbono rendere indisponibili i posti vacanti dirigenziali è data dal successivo comma 224, che elenca categorie di personale escluso dal divieto del comma 219 (tra cui il personale non contrattualizzato), specificando che sono da escludere i dipendenti delle città metropolitane e delle province adibito all’esercizio di funzioni fondamentali. Se gli enti locali non fossero coinvolti nel divieto di cui al comma 219 tale precisazione non sarebbe stata necessaria. Pertanto, comuni e aree vaste non potranno effettuare assunzioni ai sensi dell’articolo 110, comma 1, del d.lgs 267/2000, in quanto si tratta di contratti a termine entro la dotazione. Si può ritenere, invece, applicabile il comma 2 dell’articolo 110

Finchè non si saranno avverate le condizioni indicate prima, il comma 219 impedisce di coprire i posti della dotazione organica, e, dunque, impedisce non solo le assunzioni a tempo indeterminato, ma anche quelle a tempo determinato, disciplinate dall’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001 e dall’articolo 110, comma 1, del d.lgs 267/2000.

Infatti gli incarichi dirigenziali “a contratto”, cioè a tempo determinato, disciplinati da tali disposizioni sono finalizzati a coprire posti dotazionali. Sicchè, se i posti vacanti sono resi indisponibili, questo vale tanto per la copertura a tempo indeterminato, quanto per gli incarichi a contratto.

La tagliola è particolarmente forte, tanto che gli incarichi dirigenziali conferiti a copertura dei posti da rendere indisponibili dopo il 15 ottobre 2015 e fino all’1.1.2016 cessano di diritto alla data dell’1.1.2016, con risoluzione dei relativi contratti.

Ai sensi del penultimo periodo del comma 219, “sono fatti salvi i casi per i quali, alla data del 15 ottobre 2015, sia stato avviato il procedimento per il conferimento dell'incarico e, anche dopo la data di entrata in vigore della presente legge, quelli concernenti i posti dirigenziali in enti pubblici nazionali o strutture organizzative istituiti dopo il 31 dicembre 2011, i posti dirigenziali specificamente previsti dalla legge o appartenenti a strutture organizzative oggetto di riordino negli anni 2014 e 2015 con riduzione del numero dei posti e, comunque, gli incarichi conferiti a dirigenti assunti per concorso pubblico bandito prima della data di entrata in vigore della presente legge o da espletare a norma del comma 216, oppure in applicazione delle procedure di mobilità previste dalla legge”.

[1] Vedasi P. Monea e M. Mordenti “Organici congelati e turn over dei dirigenti, agli enti locali serve un'esclusione esplicita” ne Il Quotidiano degli enti locali, ed. Il Sole24Ore del 13 gennaio 2015,. Contra, R. Nobile, Nuove indicazioni in materia di assunzioni di dirigenti negli enti locali e legge di stabilità per il 2016, in La gazzetta degli enti locali, ed. Maggioli del 15 gennaio 2015.

[2] Se ne riporta il testo: “Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti i del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Fino alla revisione organica della disciplina di settore, le disposizioni di cui al presente decreto continuano ad applicarsi anche al CONI”.

[3] Se ne riporta il testo: “Fermi restando i vincoli assunzionali di cui all’articolo 76, del decreto-legge n. 112 del 2008 convertito con legge n. 133 del 2008, e successive modificazioni ed integrazioni, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare entro il 31 dicembre 2012 d’intesa con Conferenza Stato-città ed autonomie locali, sono stabiliti i parametri di virtuosità per la determinazione delle dotazioni organiche degli enti locali, tenendo prioritariamente conto del rapporto tra dipendenti e popolazione residente. A tal fine è determinata la media nazionale del personale in servizio presso gli enti, considerando anche le unità di personale in servizio presso le società di cui all’articolo 76, comma 7, terzo periodo, del citato decreto-legge n. 112 del 2008. A decorrere dalla data di efficacia del decreto gli enti che risultino collocati ad un livello superiore del 20 per cento rispetto alla media non possono effettuare assunzioni a qualsiasi titolo; gli enti che risultino collocati ad un livello superiore del 40 per cento rispetto alla media applicano le misure di gestione delle eventuali situazioni di soprannumero di cui all’articolo 2, comma 11, e seguenti”.

sabato 26 settembre 2015

Dotazioni organiche, Sezione Autonomie, riduzione del costo del personale e legge 124/2015: cortocircuito gestionale

La Corte dei conti, Sezione Autonomie, con la deliberazione 27/2015 pone nuovi problemi agli enti locali per definire il quadro corretto degli interventi volti alla razionalizzazione della spesa di personale.

Le indicazioni della magistratura contabile appaiono tanto più complesse e di difficile attuazione, se messe in relazione con la previsione dell’articolo 17, comma 1, lettera q), della legge 124/2015 (legge delega di riforma della PA), laddove si prevede che il legislatore delegato si attenga al criterio della “progressivo superamento della dotazione organica come limite alle assunzioni fermi restando i limiti di spesa anche al fine di facilitare i processi di mobilità”.

Il quesito che si pone è come poter riuscire a porre in essere riduzioni progressive della spesa del personale, facendo a meno dello strumento che fin qui ha quanto meno consentito di avere un parametro per il contenimento massimo della spesa di personale stessa, consistente nel tetto al quantitativo di dipendenti ritenuto indispensabile, e cioè appunto la dotazione organica. Strumento, per altro, utilizzato anche – sebbene non sempre in modo utile – per determinare qualitativamente quali tipologie di categorie e profili risultino indispensabili per l’espletamento delle funzioni.

Torniamo alla Sezione Autonomie che con la deliberazione citata prima ha chiarito:

  1. non è venuto meno, nonostante le disposizioni del d.l. 90/2014, l’obbligo posto dall’articolo 1, comma 557, lettera a), della legge 296/2006, ai sensi del quale si richiede agli enti locali di assicurare il contenimento della spesa del personale mediante la “riduzione dell’incidenza percentuale delle spese di personale rispetto al complesso delle spese correnti, attraverso parziale reintegrazione dei cessati e contenimento delle spese per il lavoro flessibile”;

  2. la previsione del successivo comma 557-quater, secondo la quale a decorrere dal 2014, gli enti sono tenuti a conseguire “nell’ambito della programmazione triennale dei fabbisogni di personale, il contenimento delle spese di personale, con riferimento al valore medio del triennio precedente alla data di entrata in vigore delle presenti disposizioni” non è alternativa, bensì integrativa dell’obbligo visto prima.


Dunque, le amministrazioni debbono conseguire la riduzione del costo del personale sapendo che esiste un tetto invalicabile, costituito dal valore medio della spesa relativa riferita al triennio 2011-2013, il quale tetto costituisce un parametro aggiuntivo alla sempre necessaria riduzione dell’incidenza della spesa di personale rispetto a quella corrente. Sicchè, non basta che anno per anno gli enti locali mantengano la spesa di personale entro il massimo di spesa consentito dal comma 557-quater, ma debbono comunque ridurlo in proporzione alla spesa corrente.

La deliberazione della Sezione Autonomie si presta a molteplici critiche. Alcune riferite all’assetto dell’ordinamento attuale, altre a quello che deriverà dall’attuazione della legge 124/2015.

In riferimento all’ordinamento attuale, probabilmente la Sezione Autonomie, che pure nella delibera 27/2015 mostra estrema attenzione a fornire interpretazioni costituzionalmente orientate, non ha dato una lettura completa e corretta dell’articolo 1, comma 557. Essa, infatti, ha soffermato la sua attenzione sul contenuto della lettera a), sorvolando sul precetto generale di detto comma, ai sensi del quale: “Ai fini del concorso delle autonomie regionali e locali al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, gli enti sottoposti al Patto di stabilità interno assicurano la riduzione delle spese di personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell’IRAP, con esclusione degli oneri relativi ai rinnovi contrattuali, garantendo il contenimento della dinamica retributiva ed occupazionale, con azioni da modulare nell’ambito della propria autonomia e rivolte, in termini di principio, ai seguenti ambiti prioritari di intervento [...]”.

La norma è a sua volta rispettosa dell’autonomia riconosciuta dalla Costituzione agli enti locali (autonomia molto meno rispettata per le province…), tanto che il comma 557 mentre rende chiari gli obiettivi, ridurre la spesa di personale, a differenza delle leggi finanziarie precedenti che avevano subito le censure della Consulta in quanto fissavano risultati fissi di riduzione della spesa, lascia all’autonomia, espressamente citata, delle amministrazioni il compito di individuare quali azioni intraprendere per abbassare il peso della spesa di personale e qualificando gli ambiti prioritari di intervento come “principio” e non come regola cogente.

Dunque, è lo stesso comma 557 che, per come formulato, va nella direzione diametralmente opposta a quella segnata dalla delibera 27/2015, secondo cui la riduzione dell’incidenza sia cogente. In realtà è solo un principio, una delle modalità mediante le quali gli enti possono agire, potendo anche attivarne delle altre, purchè, comunque, non oltrepassino la media triennale 2011-2013.

La Corte dei conti continua a non valutare la circostanza che considerare obbligatorio, al di fuori di parametri assoluti, ridurre un indice, significa ammettere conseguenze paradossali sul piano organizzativo, come ritenere possibile nel corso del tempo azzerare la spesa corrente del tutto oppure ritenere giustificato che effetti di “bonifica” della spesa corrente, come quelli che deriveranno dall’armonizzazione contabile, si riverberino in modo automatico ed acritico sul personale. Come se alla “pulizia” del dato della spesa corrente, cioè il denominatore, dovesse necessariamente corrispondere simmetrica ed anzi maggiore riduzione del numeratore, a prescindere del tutto dal fabbisogno lavorativo necessario.

Torniamo, dunque, all’articolo 17, comma 1, lettera q), della legge 124/2015 e all’idea di “superare” le dotazioni organiche.

Questa indicazione apre un problema: al di là dei vincoli finanziari esistenti, che hanno in effetti impedito alle amministrazioni pubbliche di riempire totalmente le dotazioni organiche (non di rado, anche perché gonfiate ad arte), cosa può sostituire l’elenco dotazionale per determinare la spesa massima ammissibile di personale, il numero massimo di dipendenti da assumere e i profili necessari?

Senza dotazione organica, il personale di cui ha bisogno l’ente è, sostanzialmente, quello in servizio. Il superamento della dotazione organica di fatto dà rilievo esclusivo a quella che oggi viene definita “dotazione di fatto”, cioè l’elenco del personale in servizio a tempo indeterminato, la quale costituirebbe la testimonianza fattuale del personale necessario per svolgere le funzioni.

Ma, se, come nella quasi totalità dei casi accade, la dotazione di fatto risulti in misura rilevante ridotta a quella che oggi è la dotazione organica (al netto delle sovrastime)? Come potrebbe un ente dimostrare un sottodimensionamento del personale senza un parametro fisso?

Il fine esplicito della riforma PA è eliminare la dotazione organica come “ostacolo” alla mobilità. I processi di riallocazione del personale pubblico hanno storicamente funzionato poco, in particolare esattamente quelli di natura “obbligatoria”, miranti a razionalizzare la distribuzione del personale da amministrazioni sovrabbondanti verso altre sottodimensionate. Uno dei contenuti più “osannati” della riforma Madia dello scorso anno, il d.l. 90/2014, fu proprio l’introduzione della mobilità d’ufficio entro i 50 chilometri, che avrebbe dovuto rimediare al problema.

Alcuni commentatori ritengono che il superamento della dotazione organica potrà servire proprio al rilancio della mobilità. Un acuto e critico osservatore delle riforme come Francesco Verbaro ha rilevato (“Addio alle dotazioni organiche per far partire la mobilità” in Quotidiano Enti Locali & PA, Il Sole 24 Ore) che “spesso le amministrazioni hanno opposto la mancanza di vuoto di organico alle richieste di mobilità”.

In realtà, le mobilità non sono state, poi, così insignificanti come il Legislatore ritiene. Guardando ai dati del Conto annuale del tesoro del 2013, scopriamo che quell’anno vi furono 29.842 passaggi in mobilità all’interno dello stesso comparto e altre 1.732 mobilità intercompartimentali. Non proprio briciole.

L’ostacolo alla mobilità, soprattutto se finalizzata alla razionalizzazione delle strutture amministrative, è sempre stato principalmente non la dotazione organica, quanto l’assenza dei parametri di equiparazione dei livelli stipendiali, approvati solo sotto la spinta del tentativo di ricollocare le migliaia di dipendenti provinciali in sovrannumero.

La dotazione organica, a ben vedere, con la mobilità ha davvero ben poco a che vedere. Sono due strumenti distinti, non in relazione tra loro. La dotazione, infatti, altro non è se non la determinazione quali-quantitativa del plafond di personale necessario; la mobilità è solo uno strumento di reclutamento del personale, ovviamente finalizzato a coprire esattamente i vuoti di quel plafond.

Quando, domani, la dotazione organica verrà a mancare, come sarà possibile, allora, dimostrare l’esistenza di vuoti da coprire? E, allo stesso modo (come ha brillantemente spiegato F. Verbaro nell’articolo citato), come faranno le amministrazioni a dimostrare l’esistenza di esuberi?

La risposta potrebbe consistere nella valorizzazione della capacità di programmazione. L’elenco triennale dei fabbisogni, reso operativo dagli obiettivi gestionali disposti col Peg, possono di per sé essere i documenti, flessibili, che di anno in anno individuano con precisione la provvista di personale necessario allo svolgimento dei compiti.

Il problema è che l’assenza di un “tetto” qual è la dotazione organica, ma soprattutto l’eliminazione di un elenco rigido delle professionalità necessarie, detta provvista potrebbe essere estremamente mutevole ed incontrollabile.

Facciamo due esempi. Eliminando la dotazione organica si pone il gravissimo problema di regolare e programmare i contratti a tempo determinato. Essi hanno una disciplina particolare nella programmazione e gestione, perchè la loro “extradotazionalità” rende evidente che non si tratta di strumenti ordinari di gestione delle attività lavorative. Però, quando la dotazione organica non vi sarà più, vi sarà una libertà molto maggiore – con rischi di abusi – nelle assunzioni flessibili, non limitate dalle caselle della dotazione organica che potrebbero comunque essere il riferimento giustificativo del fabbisogno da ricoprire, sia pure non in termini permanenti.

Il secondo esempio è ancor più chiaro e riguarda i dirigenti e i responsabili di servizio “a contratto”. Attualmente, negli enti locali, è possibile assumerli entro il 30% della dotazione organica, o entro percentuali più ristrette anche al di là della dotazione organica. Quando essa verrà a mancare, non vi sarà più alcun parametro percentuale possibile, né saranno distinguibili incarichi “entro la dotazione”, da quelli “extra dotazione”, col rischio di una nuova ed ulteriore esplosione di incarichi a contratto, a disdoro dei concorsi pubblici e della complessa gestione del ruolo unico dei dirigenti.

Il Legislatore non pare aver minimamente considerato i rischi operativi che risiedono dietro l’eliminazione della dotazione organica, che, per quanto essa sia un adempimento “burocratico”, possano eliminarsi residue remore a gestioni e reclutamenti “allegri”, con rigonfiamenti di spese e di quantità di personale che potrebbero essere scongiurati solo da regole e vincoli alle assunzioni ancora più cogenti e duri di quelli di oggi. Il che porterebbe a cortocircuiti normativi, interpretativi ed operativi esattamente come quello che si verifica tra la delibera 27/2015 della Sezione Autonomie e la legge 124/2015.

Tale legge potrebbe contenere al suo interno un parziale rimedio al potenziale caos, laddove prevede altri criteri di delega, come la “definizione di obiettivi di contenimento delle assunzioni, differenziati in base agli effettivi fabbisogni” e la “introduzione di un sistema informativo nazionale, finalizzato alla formulazione di indirizzi generali e di parametri di riferimento in grado di orientare la programmazione delle assunzioni anche in relazione agli interventi di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”.

Il contenimento della spesa di personale basato non più su tagli lineari o, comunque, strumenti validi per tutti, come la riduzione progressiva dell’incidenza sulla spesa corrente, bensì sugli effettivi fabbisogni sarebbe un passo in avanti fondamentale. Sia perché si valorizzerebbe il fabbisogno e, dunque, lo si dovrebbe finalmente definire; sia perché i tagli lineari favoriscono sempre le amministrazioni meno virtuose.

Un sistema informativo nazionale per orientare la programmazione, poi, potrebbe essere lo strumento operativo per la rilevazione dei fabbisogni e la riorganizzazione, che potrebbe stare poi alla base dei processi di mobilità, fine principale dell’eliminazione della dotazione organica.

Occorre sperare che il legislatore prenda atto che, però, senza la definizione di strumenti di rilevazione dei fabbisogni e dei costi standard del personale, né la differenziazione delle modalità di contenimento della spesa di personale, né la programmazione potranno davvero funzionare.

Purtroppo, fabbisogni e costi standard sono i grandi assenti anche nella legge 124/2015, sebbene se ne parli da sempre.