La sentenza ha chiarito non solo l’illegittimità costituzionale delle continue proroghe degli incarichi a contratto senza concorso, ma anche del sistema stesso di assegnazione di incarichi dirigenziali ai funzionari, secondo l’applicazione distorta dell’articolo 19, comma 6, che ne danno praticamente tutte le amministrazioni: è possibile assegnare incarichi dirigenziali a funzionari interni, sulla base del semplice presupposto che essi sono, appunto, funzionari.
E’ noto che il Ministro dell’economia, Carlo Padoan, aveva invitato i contribuenti a non perdere tempo e denaro con ricorso avverso gli atti dell’Agenzia sottoscritti dai dirigenti incostituzionalmente così incaricati, perché a suo dire gli atti adottati erano perfettamente legittimi.
E’ altrettanto noto che, invece, le Commissioni tributarie ed anche i tribunali ordinari hanno assunto ormai pacificamente l’orientamento opposto e considerano i provvedimenti dei dirigenti senza titolo addirittura radicalmente nulli. Ciò conferma almeno due elementi:
- al Governo forse farebbe piacere riunire in sé oltre al potere legislativo che, di fatto ha acquisito tra decreti legge, maxiemendamenti e voti di fiducia, anche quello giudiziario, come dimostrato dalle pressioni enormi sulla Corte costituzionale in tema di blocco della contrattazione pubblica e, ora, giudizio sulla legge Severino; tuttavia, il potere giudiziario è ancora separato e totalmente autonomo e, dunque, i giudici conoscono liberamente delle questioni e non potevano che rilevare l’assoluta nullità degli atti sottoscritti da soggetti in totale carenza di potere;
- gli economisti, tra i quali si annovera anche il Ministro Padoan, sarebbe bene che limitassero le proprie competenze e dichiarazioni a questioni economiche, senza pretendere anche di fare i giuristi, e viceversa.
Premesso questo, in una Nazione qualsiasi a seguito di una sentenza come la 37/2015 si sarebbe immediatamente corsi ai ripari. Non certo nel senso di provare a realizzare una sanatoria, come invece il Governo sta tentando di fare sin qui senza successo, bensì di eliminare radicalmente dalle amministrazioni il seme dell’illegittimità, chiudendo per sempre con gli incarichi attribuiti ai funzionari senza concorso.
Basterebbe leggere con un minimo di attenzione le indicazioni chiarissime della Consulta, contenute nella sentenza 37/2015: “nessun dubbio può nutrirsi in ordine al fatto che il conferimento di incarichi dirigenziali nell’ambito di un’amministrazione pubblica debba avvenire previo esperimento di un pubblico concorso, e che il concorso sia necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio. Anche il passaggio ad una fascia funzionale superiore comporta «l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola del pubblico concorso» (sentenza n. 194 del 2002; ex plurimis, inoltre, sentenze n. 217 del 2012, n. 7 del 2011, n. 150 del 2010, n. 293 del 2009) […] l’assegnazione di posizioni dirigenziali a un funzionario può avvenire solo ricorrendo al secondo modello, cioè all’istituto della reggenza, regolato in generale dall’art. 20 del d.P.R. 8 maggio 1987, n. 266 (Norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo del 26 marzo 1987 concernente il comparto del personale dipendente dai Ministeri). La reggenza si differenzia dal primo modello perché serve a colmare vacanze nell’ufficio determinate da cause imprevedibili, e viceversa si avvicina ad esso perché è possibile farvi ricorso a condizione che sia stato avviato il procedimento per la copertura del posto vacante, e nei limiti di tempo previsti per tale copertura. Straordinarietà e temporaneità sono perciò caratteristiche essenziali dell’istituto (ex plurimis, Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenze 22 febbraio 2010, n. 4063, 16 febbraio 2011, n. 3814, 14 maggio 2014, n. 10413)[…] la regola del concorso non è certo soddisfatta dal rinvio che la stessa norma impugnata opera all’art. 19, comma 1-bis, del d.lgs. n. 165 del 2001, nella parte in cui stabilisce che gli incarichi dirigenziali ai funzionari «sono attribuiti con apposita procedura selettiva». In realtà, la norma di rinvio si limita a prevedere che l’amministrazione renda conoscibili, anche mediante pubblicazione di apposito avviso sul sito istituzionale, il numero e la tipologia dei posti che si rendono disponibili nella dotazione organica e i criteri di scelta, stabilendo, altresì, che siano acquisite e valutate le disponibilità dei funzionari interni interessati. I contratti non sono dunque assegnati attraverso il ricorso ad una procedura aperta e pubblica, conformemente a quanto richiesto dagli artt. 3, 51 e 97 Cost. (sentenze n. 217 del 2012, n. 150 e n. 149 del 2010, n. 293 del 2009, n. 453 del 1990”.
Traendo le inevitabili conclusioni indotte dalla sentenza, sarebbe stata evidente l’urgenza di correggere il testo dell’articolo 19, comma 6, del d.lgs 165/2001 ed eliminare il riferimento alla possibilità di conferire gli incarichi dirigenziali ai funzionari della medesima amministrazione. Anche perché questa discutibile prassi porta alla conseguenza davvero assurda che un medesimo dipendente possa condurre, con il medesimo datore di lavoro pubblico, due distinti rapporti di lavoro: uno sospeso per aspettativa, quello da funzionario; l’altro attivo ed efficace, quello da dirigente. Una situazione unica nel panorama giuridico, un cui un dipendente vanti due rapporti di lavoro contemporanei con il medesimo datore.
Cosa che, per altro, deresponsabilizza non poco i funzionari creati come dirigenti. Sia perché nella gran parte dei casi essi vengono cooptati in modo fiduciario dagli organi di governo per ragioni di “affinità” politica, ma soprattutto perché anche dovessero ricevere una valutazione negativa o subire le conseguenze di un cambio di maggioranza, non perderebbero il lavoro, ma tornerebbero a svolgere l’attività di funzionario, esercitando la qualifica professionale che hanno comunque proseguito a detenere, non avendo mai acquisito la qualifica dirigenziale per superamento del concorso.
In modo del tutto irrazionale, invece, i dirigenti di ruolo, coloro che, nel rispetto della Costituzione, la qualifica l’hanno ottenuta a seguito di concorso, se valutati negativamente rischiano il licenziamento. E lo schema di ddl delega di riforma della PA, per altro, prevede che essi possano decadere dal ruolo unico e, dunque, essere licenziati, per il mero effetto di essere lasciati privi di incarico, prevedendo, paradossalmente, per i dirigenti di ruolo a rischio di licenziamento l’opzione di chiedere di essere degradati a funzionari.
Qualsiasi altra Nazione sarebbe intervenuta per censire quanti siano i funzionari incaricati come dirigenti nelle amministrazioni pubbliche ed imporre l’immediata decadenza da tali incarichi, per evitare che anche i loro provvedimenti possano ricevere il crisma dell’illegittimità o nullità, ma soprattutto per riportare a normalità l’organizzazione.
Basti pensare a quanto diffuse possano essere queste situazioni di illegittimità. Nei soli enti locali, secondo la deliberazione della Corte dei conti, Sezione Autonomie, n. 16/SEZAUT/2015/FRG, sugli 8000 dirigenti presenti in regioni, province e comuni 6038 sono di rullo e a tempo indeterminato, mentre 1962 sono a tempo determinato incaricati a contratto, per una percentuale di incidenza media del 32,5%, persino superiore al 30% consentito dall’ordinamento locale; in effetti, tale percentuale nei comuni sale al 46%, mentre si riduce al 24,7% nelle province e al 13,8% nelle regioni.
Sta di fatto che dei quasi 2000 dirigenti a contratto operanti negli enti locali una quantità molto ampia è composta proprio da funzionari incaricati come dirigenti, senza concorso, soprattutto nell’ambito dei comuni.
Pur non essendovi una rilevazione ufficiale, si può certamente stimare che come minimo dei dirigenti a contratto il 50% siano funzionari, incaricati esattamente con le stesse modalità considerate incostituzionali dalla Consulta. A rischio c’è la legittimità degli atti adottati da circa 1000 dirigenti, la grande parte concentrata nei comuni.
Altrettanto paradossale è che il riordino caotico, sbagliato, antieconomico, raffazzonato e mal concepito, degli enti locali dovuto alla maldestra riforma delle province non sia l’occasione per porre un primo rimedio alla situazione. Circa il 40% dei 965 dirigenti provinciali, poco meno di 400, potrebbero essere assegnati a regioni e comuni alla direzione delle unità affidate alle cure di funzionari illegittimamente incaricati, così da evitare il più possibile vuoti di potere e permettere la complicatissima operazione di ricollocazione dei 20.000 dipendenti provinciali destinati al sovrannumero.
Invece, si riscontra la più totale inerzia. Il Parlamento ed il Governo non muovono un dito, perché se lo facessero avrebbero molti più imbarazzi ad adottare una sanatoria per i dirigenti delle Agenzie. Gli organi di governo che hanno affidato incarichi dirigenziali ai funzionari “affini” ovviamente si guardano bene dal rivedere le proprie decisioni, confidando sulla circostanza che nessuno presenti ricorsi sugli atti adottati dai funzionari stessi.
L’organizzazione amministrativa del Paese, dunque, continua a vivere nel caos e col fuoco che arde sotto la cenere, nell’attesa che qualche altra sentenza dirompente getti scompiglio.
[…] Da Funzionari incaricati illegittimamente come dirigenti: le PA agiscono come nulla fosse | rilievoaiac…. […]
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