La circolare 3/2015 della Funzione Pubblica lascia realmente interdetti. In disparte la circostanza che le circolari non possono costituire fonte giuridica, meno che mai se non rivolte ad uffici subordinati, come nel caso dei comuni, autonomi e in alcun modo in dipendenza gerarchica col Dipartimento della Funzione pubblica, la generale poca utilità di tali strumenti di interpretazione del diritto in questo caso si esalta e sublima.
Al di là della dotta disanima delle disposizioni normative vigenti in merito alla regolazione del lavoro a tempo determinato, la circolare brilla per la sua assoluta carenza di indicazioni utili a disciplinare l’attività amministrativa.
Infatti, quanto scritto da Palazzo Vidoni è utile esclusivamente a porre il problema, ma senza dare nessuno strumento utile per risolverlo.
Il problema, nel caso specifico, è: si applica al personale docente delle scuole materne e degli asili nido il termine massimo di durata di 36 mesi previsto in generale per i lavoratori a tempo determinato?
La circolare esamina il problema ponendolo in modo corretto, affermando che:
- “al personale docente e ATA delle istituzioni scolastiche comunali è applicabile l'esclusione dalla disciplina generale del lavoro a tempo determinato, posta dal decreto legislativo n. 81 del 2015, mentre non è direttamente applicabile la disciplina speciale della legge n 107 del 2015”;
- infatti:
- l’articolo 29, comma 2, lettera c), del d.lgs 81/2015 esclude tutto il personale docente ed ATA (compreso quello locale) dalla regolazione del lavoro a termine e, quindi, dal limite massimo dei 36 mesi;
- l’articolo 1, comma 131, della legge 107/2015 si applica esclusivamente alle amministrazioni statali, essendo stato previsto al solo fine di programmare le assunzioni stabili, necessarie per adeguare l’ordinamento e l’organizzazione della scuola statale alle sentenze della Corte di giustizia Ue, che ha ripetutamente condannato lo Stato per la reiterazione incontrollata dei rapporti di lavoro a termine del personale della scuola statale.
Posta correttamente la questione interpretativa (sulla quale, per la verità, nessuno poteva muovere specifici dubbi), qual è, allora, la soluzione proposta da Palazzo Vidoni? Nessuna. O, meglio: i comuni facciano un po’ quello che credono. Non può che sintetizzarsi così la sconcertante chiosa della circolare, che così afferma: “valuteranno, pertanto, i comuni la sussistenza delle ragioni oggettive che, nel rispetto dei principi e delle condizioni sopra menzionate, consentano di reiterare i contratti di lavoro a tempo determinato al fine di corrispondere alle esigenze improcrastinabili collegate all'inizio del presente anno scolastico”.
Se una circolare è emessa con lo scopo di indirizzare e coordinare l’attività amministrativa, è necessario che essa fornisca indirizzi e strumenti di coordinamento. Ma se si limita a prendere atto che siano i destinatari della circolare stessa a valutare se e come risolvere i problemi che la circolare pone ed evidenzia, è chiaro che essa non ha alcuna utilità.
E’ certamente vero e corretto, come sempre affermato tautologicamente dalla circolare di Palazzo Vidoni, che la non applicabilità diretta del limite di 36 mesi ai docenti e ATA a tempo determinato delle scuole comunali non significa che i comuni possano reiterare senza limite alcuno i rapporti a termine con essi. I principi evincibili dalla disciplina europea del lavoro e dallo stesso d.lgs 81/2015 evidenziano che l’inanellamento di rapporti a termine continua a costituire un abuso, sanzionato secondo gli strumenti stabiliti dallo stesso d.lgs 81/2015.
Quindi, che fare? La circolare si è dimenticata di proporre la precisazione essenziale: cioè, non v’è e non può esservi “reiterazione”, laddove gli incarichi ai docenti ed al personale ATA siano frutto non di rinnovi successivi dei contratti (che se riprodotti a lungo implicano l’inanellamento illecito), bensì del superamento di prove concorsuali, ogni assunzione è autonoma e non reitera il rapporto di lavoro precedente.
Per la reiterazione occorre l’animus rinnovandi del datore, che si rivolge direttamente al lavoratore, riaccordandosi con esso per riprodurre il precedente rapporto di lavoro, costruendo così una serie che se reiterata nel tempo non può non ricadere nei limiti generali dei 36 mesi. Altra “dimenticanza” della circolare – molto grave – è aver omesso di ricordare che la giurisprudenza dei giudici del lavoro è pacifica nel ritenere comunque invalicabile il tetto dei 36 mesi, anche per i docenti delle scuole gestite dagli enti locali. Incentrare, dunque, sul concorso, strumento aperto a tutti che per sua natura esclude la reiterazione ed il rinnovo, avrebbe fornito ai comuni chiarimenti e strumenti per superare l’impasse.
Ma, poiché ai giudici del lavoro non risulta particolarmente chiaro che una prova selettiva recide ogni volontà di riprodurre il precedente rapporto, non sarebbe comunque bastata una circolare: occorre una legge che chiarisca soprattutto ai giudici le differenze profonde tra lavoro pubblico e privato, derivanti in particolare dal reclutamento.
La circolare 3/2015, dunque, è sostanzialmente un’occasione perduta, più che un’esibizione di analisi giuridica magari pregevole, ma poco utile.
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