Per non fallire o non essere oggetto di “riforme” devastanti bisogna essere troppo grandi, oppure averla combinata tanto ma tanto grossa.
E’ il caso delle regioni che hanno ottenuto dal Governo il gentile omaggio della sanatoria a 20 miliardi di debiti accumulati, in soli 2 anni, per aver mal utilizzato le anticipazioni concesse loro dal Governo allo scopo di accelerare i pagamenti alle imprese.
I fatti sono o dovrebbero essere noti e prendono l’avvio dalla sentenza della Corte costituzionale 23 luglio 2015, n. 181 che con riferimento specifico alla legge della regione Piemonte 16/2013, di assestamento del bilancio, su sollecitazione della Corte dei conti ha acclarato che detta regione ha utilizzato le somme messe a sua disposizione dal d.l. 35/2013, convertito in legge 64/2013, non per pagare i creditori, ma per altri fini
La Consulta ha chiarito che la regione Piemonte, e con essa moltissime altre, hanno posto in essere i seguenti comportamenti: “il legislatore regionale, manipolando lo schema legislativo che si fonda sul parallelismo di tali delicati processi, ha contemporaneamente: a) alterato il futuro risultato di amministrazione, nella misura in cui ha considerato tra le risorse destinate alla copertura di nuove spese una mera anticipazione di liquidità (sulla incostituzionalità di norme creatrici di pratiche contabili finalizzate a consentire capacità apparente di spesa, si vedano le sentenze n. 266 e n. 138 del 2013 e n. 309 del 2012); b) omesso di impiegare le somme per l’adempimento degli obblighi pregressi, siano essi quelli previsti dall’art. 2 o dall’art. 3 del d.l. n. 35 del 2013 (in tema di squilibrio di bilancio originato da situazioni debitorie provocate dall’inerzia e dai ritardi del legislatore regionale, si veda la sentenza 250 del 2013); c) utilizzato per spese di competenza dell’esercizio 2013 l’anticipazione dello Stato, gestendola come un contratto di mutuo in patente contrasto con la “regola aurea” di cui all’art. 119, sesto comma, Cost. (sentenze n. 188 del 2014 e n. 425 del 2004)”.
Insomma, le regioni invece di utilizzare l’anticipazione di liquidità concessa dal Governo per pagare i creditori, hanno considerato queste somme come fossero entrate nuove per finanziare spese nuove.
Governo e regioni si sono accordate per non considerare quanto avvenuto come un “buco” di bilancio, sebbene questa interpretazione contrasti insanabilmente con la logica, prima ancora che con qualsiasi regola di sana gestione contabile. E’ evidente che se si utilizza un’anticipazione di liquidità finalizzata a pagare fatture arretrate allo scopo di finanziare spese nuove, queste risultano finanziate a debito, sicchè l’anticipazione si trasforma in un mutuo vero e proprio e resta senza copertura (buco) il pagamento delle fatture.
Ma, nonostante una sentenza della Consulta, Governo e regioni si sono accordati e le regioni invece di restituire i denari e reperire la necessaria copertura per le spese impropriamente finanziate (per altro senza aver pagato davvero i creditori), potranno utilizzare questi soldi malamente spesi confermandone la destinazione a spesa corrente, avendo ottenuto 30 anni di tempo per ripianare il deficit creato. Insomma, l’accordo trasforma davvero l’anticipazione di liquidità in mutui a 30 anni, per altro non per finanziare spese di investimento, ma spesa corrente, cosa completamente inammissibile nell’ordinamento finanziario e contabile dalla fine degli anni ’80 del secolo scorso.
Cosa insegna questa vicenda? Molte cose. Per esempio, che Corte dei conti e Corte costituzionale non servono a nulla. Infatti, se rilevano gestioni finanziarie “allegre” o leggi che vìolino la Costituzione le strade intraprese dal Governo e dal Parlamento (spesso su sollecitazione di vari potentati di ogni genere, come appunto le regioni) sono 3: l’indifferenza più assoluta; la sanatoria; la legge che letteralmente gabba le sentenze della magistratura costituzionale o contabile.
Ciò è quanto avvenuto, ad esempio, nel caso della pronuncia di incostituzionalità del blocco delle indicizzazione delle pensioni, un credito di 18 miliardi per i pensionati ridotto a 3; oppure dall’incostituzionalità del blocco della contrattazione nel pubblico impiego, elegantemente aggirata con lo stanziamento di poche centinaia di milioni previsto nel ddl di stabilità.
Questa stessa sorte, la legge che gabba la sentenza, appare quella riservata alla sentenza 181/2015 della Consulta.
I 20 miliardi di deficit verranno “abbuonati” e spalmati in 30 anni, per dare il tempo alle regioni di coprire, ovviamente con incrementi di imposizione fiscale, le risorse per coprire il buco aperto.
In conseguenza della sanatoria, ovviamente – secondo insegnamento – non pagherà nessuno. Non gli organi di governo regionali autori della decisione di sviare l’utilizzo delle anticipazioni di liquidità. Non, ovviamente, i dirigenti che hanno materialmente dato applicazione tecnica a queste indicazioni. Se, invece, un comune imputa poche migliaia di euro in più alle risorse del salario accessorio, si scatena l’inferno: ispezioni della Ragioneria generale dello Stato, denunce alla Corte dei conti, processi amministrativi e civili, esigenze di recupero, vertenze e contenziosi a non finire mani.
Nel caso delle regioni che aprono un buco da 20 miliardi, invece, non pagherà nessuno perché la somma è così ingente e il danno così vasto che non vale nemmeno la pena tentare di recuperarlo. Così, i dirigenti autori di gestioni finanziarie censurabili, e infatti censurate da Corte dei conti e Corte costituzionale, passeranno per “bravi” e “meritevoli” di “fiducia” da parte degli organi di governo.
Terzo insegnamento: se la combini davvero grossa e reiteratamente per anni e anni assumi potere e resti al riparo da interventi di riforma che ti possano danneggiare.
Sebbene tutti concordino sulla circostanza che le regioni siano enti mastodontici e fonti di un incremento di spesa corrente spaventoso da 15 anni a questa parte (circa 70 miliardi), e nonostante reiteratamente si parli di abolirle o accorparle o altro ancora, si può stare certi che resteranno lì, ferme e salde. La riprova? La riforma della Costituzione sottrarrà, sì, loro qualche competenza, ma le rende “corpo elettorale” del Senato. Così molti governatori o consiglieri regionali potranno sedere sugli scranni di Palazzo Madama e godere anche dell’immunità parlamentare, che non si sa mai.
Meglio, dunque, fare gestioni avventate da decine di miliardi di euro, come ha avvenuto nel comune di Roma. Non ti succede niente. Anzi, si prepara una bella sanatoria, come la gestione commissariale di Roma, che ha sottratto al comune capitolino il peso di 16 miliardi di debiti, accollato alla gestione commissariale, ripulendo il bilancio della capitale.
Se, invece, sei un insieme di enti senza troppi debiti la cui spesa complessiva vale l’1,14% della spesa complessiva dello Stato, totalmente irrilevante, dunque, ai fini di qualsiasi intervento di taglio della spesa, allora ti si scateneranno contro le riforme e gli interventi più devastanti possibili. E’ quello che è accaduto alle province. Le quali, ora, sanno qual è la vera causa della riforma che le ha interessate: hanno gestito senza creare danni troppo elevati. Dunque, nessuna sanatoria: provinciae delendae sunt. Ma, le regioni ce le teniamo strette, come i loro debiti, che in realtà sono i nostri.
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