Come nel gioco dell’oca, si
torna alla casella di partenza di 13 fa, con Ministro della Funzione Pubblica Renato
Brunetta.
L’intento è chiaro: questi mesi
di smart working hanno fatto risalire dallo stomaco i rigurgiti contro i
dipendenti pubblici “fanulloni”, “panzoni”, col “culo al caldo”. Occorreva,
dunque, un Ministro-Geffer.
Inizialmente, da quanto emergeva
sui giornali, si era pensato ad un ritorno di Giulia Bongiorno, della quale si
ricorda l’efficacissima idea della timbratura dei cartellini con strumenti
biometrici.
Poi, qualcuno deve aver pensato che è meglio l’originale della copia. Spianando la strada al rientro a Palazzo Vidoni del Ministro Brunetta.
I suoi pensieri
sullo smart working sono noti e, certamente, tutt’altro che diretti verso la
sua regolazione ed implementazione.
Come un orologio rotto, si torna
al 2008: ma, in questo caso non è affatto detto che l’orologio segni davvero l’ora
giusta.
C’è, infatti, un assioma che non
pare dimostrato. L’assioma è: la pubblica amministrazione è inefficiente,
lenta, burocratica, inefficace, quindi occorre riformarla. Ma, Renato Brunetta,
tra il 2009 e il 2011 ha dato vita ad una delle molteplici riforme “epocali”
della PA. Ora, se la coerenza fosse il metro per guidare le scelte operative,
chi ha formato il Governo avrebbe dovuto tenere conto delle esperienze del
passato. E concludere che se le riforme “epocali” hanno fin qui, tutte,
fallito, tanto che la PA è inefficiente, lenta, burocratica ed inefficace,
allora non sarebbe stato assolutamente il caso di chiamare nuovamente chi, nel
passato, non è riuscito, nonostante le riforme “epocali”, a renderla
efficiente. Evidentemente, gli assiomi bastano di per sé. Le azioni conseguenti
non è richiesto siano mirate a risolvere i problemi posti.
A meno che, il problema non
consista nel rispolverare lo slogan contro i dipendenti pubblici fannulloni e
panzoni: intento utilissimo, invero, in una fase di crisi economica, nella
quale le Partite Iva, i lavoratori autonomi e chi ha perso il lavoro hanno
maturato, anche grazie alla spinta dei media, ancor maggiore odio e rivalsa nei
confronti dei dipendenti pubblici. Avere, nel Governo, una voce già nota per aver
“strigliato” i dipendenti pubblici e la PA, può risultare catartico e, magari
anche contribuire a canalizzare questo vento di avversione.
Oggettivamente, la scelta del premier
appare, però, discutibile. Quella del Ministro Brunetta è stata una stagione
molto convulsa e controversa, ben povera di risultati utili per l’efficienza
della PA.
Ricordiamo molto sinteticamente
alcuni vessilli:
a)
l’assenza per le malattie con trattenuta
stipendiale; prima per tutti, poi solo per i dirigenti, poi non per le degenze
ospedaliere, prima pagate alle Ulss in un modo, poi in un altro, poi (per opera
della Madia) finanziando la spesa con risorse del bilancio statale destinate
all’Inps;
b)
la battaglia contro le “auto blu”: con relativa
esplosione della burocrazia dovuta a dati da compilare ed inviare. Ma, soprattutto,
con l’assurda estensione della riduzione della spesa non solo alle vere e
proprie “auto blu”, quelle destinate ad accompagnare ministri, assessori,
presidenti, sindaci, ma anche quelle di servizio, ad uso di chi va a fare
ispezioni, si sposta per i cantieri, svolge funzioni di assistenza sociale;
c)
l’installazione dei “tornelli”, come simbolo
contro il dipendente “fannullone”; del quale si riesce a conoscere con
cronometria svizzera l’ingresso e l’uscita in e dall’ufficio, senza nulla
sapere dell’attività svolta tra una timbratura e l’altra;
d)
la previsione forzata di tre “fasce” di
valutazione, secondo un sistema di valutazione dirigistico, imposto dall’alto, imponendo
metodi presunti aziendalistici, che le aziende, per essere efficienti e davvero
tese a sollecitare la produttività, mai hanno adottato, né si sognerebbero di
adottare;
e)
il collasso della contrattazione, connessa non
solo alla crisi economica del Governo di quegli anni, (sfociata nella drammatica
“lettera di sfratto”, rivolta al Governo Berlusconi, del quale Brunetta era
componente, proprio da Mario Draghi, insieme con Trichet) ma proprio a quelle
tre fasce, che hanno congelato per i successivi 10 anni ogni contratto
collettivo;
f)
l’elaborazione di metodologie standard per la
valutazione, da estendere a tutte le varie PA, affidate alla mitica Commissione
per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni
pubbliche (CiVIT), ente fallimentare che non ha mai prodotto una sillaba utile
allo scopo, durato pochissimo e sostituito per breve tratto dall’Anac, ora dalla
Funzione Pubblica;
g)
i “piani di miglioramento” della PA, che
avrebbero dovuto sbloccare la valutazione per fasce, finiti nel nulla.
Un bilancio sostanzialmente quasi
rovinoso. Mitigato da alcune scelte, invece, utili:
a)
la parziale riattribuzione alla legge di una
serie di materie di regolazione del rapporto di lavoro pubblico prima affidate
alla contrattazione, causative dell’esplosione della spesa per l’abuso di
progressioni orizzontali, verticali e ricorso ad istituti “premianti” inventati.
La riforma-Brunetta ha posto rimedio alla debolezza del datore di lavoro
pubblico, ossessionato dalla ricerca del consenso ed incapace di porsi davvero
come contraltare delle organizzazioni sindacali;
b)
la spinta verso la digitalizzazione. Il Ministro
Brunetta tentò, come si ricorda, di attivare un domicilio digitale ed una
casella Pec, gratuita, finalizzata ai rapporti tra cittadini e pubblica
amministrazione. Purtroppo, tuttavia, le buone idee e le spinte modernizzatrici,
ancora oggi a 13 anni di distanza, non hanno trovato realizzazione, né piena, né
nemmeno lontanamente vicina alla completa modifica dei processi.
Per capire come la PA è
posizionata, rispetto alla stagione brunettiana, appare opportuno riaprire i
cassetti e dare un’occhiata al famoso Piano industriale
della pubblica amministrazione. E provare ad individuare quali punti sono
rimasti solo sulla carta.
1) “Occorre
introdurre nel lavoro pubblico la figura del datore di lavoro a cui sia
possibile imputare l’eventuale responsabilità di un “fallimento” dell’Amministrazione,
analogamente a quanto avviene per il fallimento civilistico nel settore
privato. Se nelle aziende private un imprenditore non sa gestire la sua azienda
e non è capace di impartire le giuste direttive ai collaboratori, né di
controllare se sono capaci di assicurare la salute economica e lo sviluppo
all’impresa, questa va in fallimento o in amministrazione controllata, e si
portano i libri in tribunale. L’imprenditore paga di persona. Lo stesso deve
avvenire, in termini politico-amministrativi, per le Amministrazioni pubbliche”.
Mai vista simile normativa;
2) “la
necessità di un passaggio dalla cultura del procedimento a quella del
provvedimento, da quella dell’adempimento a quella del risultato, da quella della
funzione a quella del processo, da quella dell’autotutela a quella della responsabilità”.
Enunciazione molto suggestiva, rimasta sempre solo al livello di parole: la
giurisdizione pervasiva della Corte dei conti, per esempio, è improntata solo
ed esclusivamente all’esame del cavillo. Il risultato non è mai oggetti di
valutazione alcuna, in nessuna delle sedi giudiziarie e di valutazione concreta
dell’operato della PA;
3) “l’urgenza
di una profonda revisione dei processi produttivi delle amministrazioni, con
l’obiettivo di ottenere risparmi economici e una migliore soddisfazione dell’interesse
del cittadino-cliente”. Ancora oggi non si è stati nemmeno capaci di
elaborare una modulistica unica per le procedure edilizie ed urbanistiche. L’analisi
dei processi produttivi è stata fatta raramente, in modo casuale, senza alcuna
connessione tra le amministrazioni. Anche se in questi anni molti processi sono
stati rivisti, è totalmente mancata una regia unica. Si pensi al disastro
totale ed assoluto delle procedure di appalto: è applicativo, oggi, l’obbligo
di utilizzare piattaforme telematiche, ma invece di avvalersi di una ben
studiata pubblica, ve ne sono decine e decine, prodotte da soggetti privati,
tutte simili, ma tutte diverse. Lo stesso vale per le piattaforme telematiche
della trentina circa di soggetti aggregatori;
4) “un
progressivo e generale allineamento delle prestazioni delle organizzazioni
pubbliche sia ai top performer esistenti, sia ai benchmark internazionali più evidenti
e più affidabilmente mutuabili”. Mai visto;
5) “l’indispensabilità
di estendere le aree della gestione a concetti, indirizzi e pratiche analoghi a
quelli presenti nel privato in termini di autonomia, economicità e delegificazione
della gestione”. Un’idea concettualmente sbagliatissima per l’assoluta
impossibilità di estendere alla gestione del pubblico metodologie volte al lucro
(legittimo) privato. Infatti, in quei pochi tentativi di forzata estensione
delle modalità gestionali privatistiche, si è assistito al totale fallimento.
Che talvolta è anche di sistema: si pensi alla sanità “privata”, ma sorretta da
fondi pubblici e quel che è successo in Lombardia col Covid;
6) “la
trasformazione dell’attuale modello di relazioni industriali, a vocazione
difensiva e consociativa, in un modello a vocazione propulsiva e partecipativa (partnership
sociale) nella riorganizzazione delle amministrazioni e della gestione delle
risorse umane ai fini del risultato”. Mai visto nulla di tutto ciò;
7) “l’utilizzo
in via primaria e fondamentale della risorsa umana, delle sue competenze professionali,
delle sue motivazioni e delle sue capacità relazionali e organizzative”.
Bellissima enunciazione, sintetizzata e contraddetta, tuttavia, nelle parole e
in molti fatti nella formula “fannulloni”;
8) “introdurre,
nell’organizzazione delle pubbliche amministrazioni, sistemi di selezione, valutazione
e gestione improntati al merito e alla trasparenza anziché all’anzianità e alle
pressioni di forze politiche e sindacali”. Tutto rimasto solo nei pixel di
queste parole;
9) “Riconoscere
e premiare chi vale e si dà da fare e sanzionare chi non fa il proprio dovere
favorirà l’innalzamento della produttività di tutto il settore pubblico,
affinché i cittadini ricevano servizi migliori e in tempi più rapidi”.
Niente di tutto questo: solo formule forzate, come appunto le tre fasce, solo
blocco della contrattazione e delle assunzioni;
10) “saranno
individuati sistemi di misurazione e valutazione delle organizzazioni pubbliche
diretti a rilevare la corrispondenza dei servizi e dei beni resi ad oggettivi
standard di qualità rilevati anche a livello internazionale, nonché stabilire percentuali
minime di risorse finanziarie da destinare al merito e alla produttività”.
Mai visto nessuno standard, nessun sistema generale di valutazione, nulla di
quanto previsto;
11) “I
risparmi di gestione potrebbero essere utilizzati per premiare dirigenti e
impiegati (si pensi, ad es. ai consumi di carta ed energia, ai risparmi
ottenibili attraverso la raccolta differenziata della carta ecc.)”. I
famosi, già ricordati”, piani di efficienza hanno provato ad attuare, ma solo
sulla carta, questa previsione, rimasta per lo più nell’iperuranio;
12) “Saranno
definiti precisi e obiettivi sistemi di misurazione e valutazione delle
organizzazioni pubbliche, in grado di rilevare se i servizi resi ai cittadini
sono improntati a standard di tempestività e qualità definiti anche a livello
internazionale; lo scopo è valorizzare l’impegno e la professionalità dei
singoli e delle strutture di appartenenza”. Il tutto si ridusse alle
indimenticabili “faccine”,
destinate ad una fine ingloriosa;
13) “I
risultati della valutazione delle singole amministrazioni dovranno essere resi
pubblici e trasparenti mediante i siti internet, ai quali i cittadini potranno
rivolgersi per avanzare proposte di miglioramento e segnalare eventuali difetti
e disservizi”. Questo è uno dei pochi punti che trovò realizzazione, molti
anni dopo, tra il 2013 e il 2017. Ma, di fatto, mediante il d.lgs 33/2013, ha prodotto
per lo più un diluvio di burocrazia ed adempimenti compilativi;
14) “Le
norme previste tendono a trasformare il dirigente pubblico in un vero manager,
reso il più possibile autonomo nell’uso delle risorse umane e finanziarie,
attribuendogli precise ed ampie competenze in materia di organizzazione degli
uffici e dei servizi. La valutazione della dirigenza deve essere il primo tassello
dell’intero sistema di valutazione di tutto il personale. Una delle conseguenze
più importanti della nuova valutazione dovrà essere un’effettiva differenziazione
delle retribuzioni di risultato dei dirigenti sulla base esclusiva del merito”.
Affermazioni di principio del tutto erronee: l’assimilazione della funzione di
direzione delle strutture pubbliche con le prerogative manageriali non ha alcun
fondamento (il “modello
manageriale” è tutt’altra cosa) e, laddove si è provato ad introdurre forzatamente
le regole del “new public management” non si è visto nessun risultato utile,
ma, al contrario, la crescita della spesa e del caos;
15) “rivedere
in senso meritocratico la disciplina dell’accesso alla dirigenza, anche a
quella di prima fascia. L’applicazione di questo principio sarà reso più facile
dall’adozione di un sistema regolare di valutazione (almeno semestrale)”.
Nella stagione di Brunetta, questa previsione restò lettera morta. Ci provò la
Madia ad introdurre una riforma
della dirigenza più brunettiana di Brunetta, mirata alla precarizzazione
estrema della dirigenza e alla sua politicizzazione. Riforma fortunatamente
bloccata
dalla Consulta;
16) “un’organizzazione
più flessibile e attenta alla collocazione produttiva dei dipendenti; ma si rende
anche necessario modificare la disciplina delle sanzioni e della responsabilità
nell’ambito del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici. In particolare,
bisognerà semplificare e accelerare le fasi dei procedimenti disciplinari, con
particolare riferimento a quelli per le infrazioni di minore gravità”. Dell’organizzazione
più flessibile non si ha traccia. Invece, si è aperta un’ossessione per i
procedimenti disciplinari, sfociata nell’idea bislacca, sempre della Madia in
abbinato con l’allora premier Renzi, della sanzione entro 48 ore;
17) “Saranno
previste una serie di misure volte ad accelerare le procedure di
contrattazione, al fine di evitare i cronici ritardi degli anni passati”.
In effetti, queste misure ci sono, si pensi all’atto unilaterale, “invenzione”
che va a merito dell’allora Ministro Brunetta. Il fatto è, però, che l’assenza
di strumenti di controllo sulla contrattazione e di supporto alle PA, ha
impedito la paventata accelerazione delle procedure di contrattazione: i
ritardi clamorosi sono rimasti immutati.
18) “potenziamento
del potere di rappresentanza delle regioni e delle autonomie locali e revisione
del sistema della contrattazione anche in vista del federalismo fiscale”.
Qui, meglio stendere un velo.
19) “Le
attribuzioni delle amministrazioni centrali sono definite per legge. Tuttavia,
spesso occorre adattare i moduli organizzativi deputati all’erogazione di
prestazioni e servizi e, al tempo stesso, con centrare le singole amministrazioni
sulle funzioni che si ritengano essenziali. Ciò richiede un processo di
riallocazione delle funzioni tra amministrazioni (e tra i livelli di governo
centrale e locale) nonché tra amministrazioni e privati, secondo un modulo
possibile che possa prescindere dall’intervento legislativo. Principi-guida di
tale processo sono:
• la sussidiarietà, orizzontale e verticale;
• la mobilità delle funzioni”. Enunciazioni giuste in astratto, che non
hanno prodotto nulla. Anzi, alcuni anni dopo, hanno prodotto il disastro della
riforma Delrio delle province;
20) “E’
necessario migliorare la qualità dei servizi pubblici promuovendo la gestione
orientata al miglioramento continuo, la adozione di standard, la misurazione
della soddisfazione ed il benchmarking”. Altro velo.
21) “Saranno
previste misure volte a favorire e incrementare le iniziative di
sponsorizzazione e di finanziamento di progetto, già consentite dalla legge,
con una loro programmazione da parte delle amministrazioni dello Stato”. Le
esperienze di partenariato pubblico-privato, specie nei lavori pubblici, hanno
prodotto disastri ed indebitamento pubblico;
22) “significativa
contrazione delle mere attività di supporto e back-up alle attività
istituzionali delle Amministrazioni, attraverso la loro concentrazione in poli
specialistici di eccellenza (amministrazione del personale, selezione del
personale e organizzazione dei concorsi, contabilità, tesoreria, patrimonio e acquisti,
comunicazione non strategica, ecc.), unificati presso l’Amministrazione –o più amministrazioni
– che assolvono detti compiti nel modo più efficace”. Enunciazione rimasta
per lo più sulla carta, con pochissime attuazioni. La più ampia delle quali, è
quella della concentrazione delle stazioni appaltanti, prevista dalle norme sugli
appalti pubblici: un disastro organizzativo.
23) “Generale
riconfigurazione di tutti i processi organizzativi alla luce della loro diretta
riconducibilità alle missioni istituzionali (logica pull e non push),
eliminando ogni fase non connotata da adeguato valore aggiunto attraverso la
re-ingegnerizzazione focalizzata del flusso procedimentale e amministrativo”.
Chi ha notizie sull’attuazione di questa previsione, cortesemente lo dica;
24) “razionalizzazione
delle sedi e degli uffici periferici delle Amministrazioni e degli Enti,
concentrando, accorpando e unificando i presidi sui territori, qualificandone
la logistica e riformandone il lay out alla luce dei nuovi standard
internazionali e alle migliori prassi di organizzazione del lavoro e di
relazione con i clienti”. Lo smart working sarebbe proprio lo strumento
ideale per attuare questa previsione, mai realizzata. Ma le idee del Ministro
Brunetta, in merito, non appaiono proprio del tutto in linea…
25) “RUOLO
STRATEGICO DELLA DIGITALIZZAZIONE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE”. E’ la
parte 3 del “Piano Industriale”. Una serie di intuizioni oggettivamente tutte
utili e corrette. E’ la parte più inattuata, ma più necessaria. Il codice dell’amministrazione
digitale è tra le previsioni normative potenzialmente più potenti ed efficaci,
quanto tra quelle peggio e meno attuate fino ad oggi.
Tornare alla casella di
partenza, si spera valga solo e proprio per questa ultima parte. La previsione
di un Ministero per l’Innovazione tecnologica, quello affidato a Vittorio Colao,
manager espertissimo in questo campo, potrebbe essere un passo importante per
questo salto di qualità. Oggettivamente, il d.l. 34/2020 getta le basi per una
transizione digitale finalmente efficace. E il Ministro Brunetta può essere
indicato come un promotore essenziale di questo sviluppo, anche se ancora di là
da venire.
Ecco: speriamo si riparta da
questo sviluppo. Ma, la tentazione di riformulare ed esasperare gli slogan, i fannulloni,
le sanzioni disciplinari, i tornelli, le forzature metodologiche sulla
valutazione, i “manager” alle vongole, si teme prevarrà.
Brunetta, professore universitario farà le solite "riforme" finalizzate a "fustigare" e umiliare la plebe del pubblico impiego (insegnanti, dipendenti pubblici e dirigenti dei livelli più bassi della PA, ma non toccherà giammai alcun privilegio delle elites dei dipendenti pubblici: professori universitari, magistrati, diplomatici, vertici militari, vertici ministeriali, prefetti, dipendenti della Camera dei deputati, del Senato, della corte costituzionale, della presidenza della repubblica...
RispondiElimina"1) Occorre introdurre nel lavoro pubblico la figura del datore di lavoro a cui sia possibile imputare l’eventuale responsabilità di un “fallimento” dell’Amministrazione,..." Anziché ritenere questa una vera bestemmia (nella PA sarebbe il regno dello scarica barile e la definitiva affermazione della logica del cerino) e rispedire questa "follia" al mittente (chiedendogli semmai conto perché, visto il fallimento del suo programma, tale auspicata misura non sia stata applicata direttamente al mittente stesso) ci si dispone ad accettarla, osservando semplicemente: "Mai vista simile normativa;"!
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