sabato 13 febbraio 2021

La PA come il gioco dell’oca: si torna alla casella di partenza - Che ruolo giocherà il Ministro Brunetta?

 

Come nel gioco dell’oca, si torna alla casella di partenza di 13 fa, con Ministro della Funzione Pubblica Renato Brunetta.

L’intento è chiaro: questi mesi di smart working hanno fatto risalire dallo stomaco i rigurgiti contro i dipendenti pubblici “fanulloni”, “panzoni”, col “culo al caldo”. Occorreva, dunque, un Ministro-Geffer.

Inizialmente, da quanto emergeva sui giornali, si era pensato ad un ritorno di Giulia Bongiorno, della quale si ricorda l’efficacissima idea della timbratura dei cartellini con strumenti biometrici.

Poi, qualcuno deve aver pensato che è meglio l’originale della copia. Spianando la strada al rientro a Palazzo Vidoni del Ministro Brunetta.

I suoi pensieri sullo smart working sono noti e, certamente, tutt’altro che diretti verso la sua regolazione ed implementazione.

Come un orologio rotto, si torna al 2008: ma, in questo caso non è affatto detto che l’orologio segni davvero l’ora giusta.

C’è, infatti, un assioma che non pare dimostrato. L’assioma è: la pubblica amministrazione è inefficiente, lenta, burocratica, inefficace, quindi occorre riformarla. Ma, Renato Brunetta, tra il 2009 e il 2011 ha dato vita ad una delle molteplici riforme “epocali” della PA. Ora, se la coerenza fosse il metro per guidare le scelte operative, chi ha formato il Governo avrebbe dovuto tenere conto delle esperienze del passato. E concludere che se le riforme “epocali” hanno fin qui, tutte, fallito, tanto che la PA è inefficiente, lenta, burocratica ed inefficace, allora non sarebbe stato assolutamente il caso di chiamare nuovamente chi, nel passato, non è riuscito, nonostante le riforme “epocali”, a renderla efficiente. Evidentemente, gli assiomi bastano di per sé. Le azioni conseguenti non è richiesto siano mirate a risolvere i problemi posti.

A meno che, il problema non consista nel rispolverare lo slogan contro i dipendenti pubblici fannulloni e panzoni: intento utilissimo, invero, in una fase di crisi economica, nella quale le Partite Iva, i lavoratori autonomi e chi ha perso il lavoro hanno maturato, anche grazie alla spinta dei media, ancor maggiore odio e rivalsa nei confronti dei dipendenti pubblici. Avere, nel Governo, una voce già nota per aver “strigliato” i dipendenti pubblici e la PA, può risultare catartico e, magari anche contribuire a canalizzare questo vento di avversione.

Oggettivamente, la scelta del premier appare, però, discutibile. Quella del Ministro Brunetta è stata una stagione molto convulsa e controversa, ben povera di risultati utili per l’efficienza della PA.

Ricordiamo molto sinteticamente alcuni vessilli:

a)      l’assenza per le malattie con trattenuta stipendiale; prima per tutti, poi solo per i dirigenti, poi non per le degenze ospedaliere, prima pagate alle Ulss in un modo, poi in un altro, poi (per opera della Madia) finanziando la spesa con risorse del bilancio statale destinate all’Inps;

b)      la battaglia contro le “auto blu”: con relativa esplosione della burocrazia dovuta a dati da compilare ed inviare. Ma, soprattutto, con l’assurda estensione della riduzione della spesa non solo alle vere e proprie “auto blu”, quelle destinate ad accompagnare ministri, assessori, presidenti, sindaci, ma anche quelle di servizio, ad uso di chi va a fare ispezioni, si sposta per i cantieri, svolge funzioni di assistenza sociale;

c)      l’installazione dei “tornelli”, come simbolo contro il dipendente “fannullone”; del quale si riesce a conoscere con cronometria svizzera l’ingresso e l’uscita in e dall’ufficio, senza nulla sapere dell’attività svolta tra una timbratura e l’altra;

d)      la previsione forzata di tre “fasce” di valutazione, secondo un sistema di valutazione dirigistico, imposto dall’alto, imponendo metodi presunti aziendalistici, che le aziende, per essere efficienti e davvero tese a sollecitare la produttività, mai hanno adottato, né si sognerebbero di adottare;

e)      il collasso della contrattazione, connessa non solo alla crisi economica del Governo di quegli anni, (sfociata nella drammatica “lettera di sfratto”, rivolta al Governo Berlusconi, del quale Brunetta era componente, proprio da Mario Draghi, insieme con Trichet) ma proprio a quelle tre fasce, che hanno congelato per i successivi 10 anni ogni contratto collettivo;

f)       l’elaborazione di metodologie standard per la valutazione, da estendere a tutte le varie PA, affidate alla mitica Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (CiVIT), ente fallimentare che non ha mai prodotto una sillaba utile allo scopo, durato pochissimo e sostituito per breve tratto dall’Anac, ora dalla Funzione Pubblica;

g)      i “piani di miglioramento” della PA, che avrebbero dovuto sbloccare la valutazione per fasce, finiti nel nulla.

Un bilancio sostanzialmente quasi rovinoso. Mitigato da alcune scelte, invece, utili:

a)      la parziale riattribuzione alla legge di una serie di materie di regolazione del rapporto di lavoro pubblico prima affidate alla contrattazione, causative dell’esplosione della spesa per l’abuso di progressioni orizzontali, verticali e ricorso ad istituti “premianti” inventati. La riforma-Brunetta ha posto rimedio alla debolezza del datore di lavoro pubblico, ossessionato dalla ricerca del consenso ed incapace di porsi davvero come contraltare delle organizzazioni sindacali;

b)      la spinta verso la digitalizzazione. Il Ministro Brunetta tentò, come si ricorda, di attivare un domicilio digitale ed una casella Pec, gratuita, finalizzata ai rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione. Purtroppo, tuttavia, le buone idee e le spinte modernizzatrici, ancora oggi a 13 anni di distanza, non hanno trovato realizzazione, né piena, né nemmeno lontanamente vicina alla completa modifica dei processi.

Per capire come la PA è posizionata, rispetto alla stagione brunettiana, appare opportuno riaprire i cassetti e dare un’occhiata al famoso Piano industriale della pubblica amministrazione. E provare ad individuare quali punti sono rimasti solo sulla carta.

1)      Occorre introdurre nel lavoro pubblico la figura del datore di lavoro a cui sia possibile imputare l’eventuale responsabilità di un “fallimento” dell’Amministrazione, analogamente a quanto avviene per il fallimento civilistico nel settore privato. Se nelle aziende private un imprenditore non sa gestire la sua azienda e non è capace di impartire le giuste direttive ai collaboratori, né di controllare se sono capaci di assicurare la salute economica e lo sviluppo all’impresa, questa va in fallimento o in amministrazione controllata, e si portano i libri in tribunale. L’imprenditore paga di persona. Lo stesso deve avvenire, in termini politico-amministrativi, per le Amministrazioni pubbliche”. Mai vista simile normativa;

2)      la necessità di un passaggio dalla cultura del procedimento a quella del provvedimento, da quella dell’adempimento a quella del risultato, da quella della funzione a quella del processo, da quella dell’autotutela a quella della responsabilità”. Enunciazione molto suggestiva, rimasta sempre solo al livello di parole: la giurisdizione pervasiva della Corte dei conti, per esempio, è improntata solo ed esclusivamente all’esame del cavillo. Il risultato non è mai oggetti di valutazione alcuna, in nessuna delle sedi giudiziarie e di valutazione concreta dell’operato della PA;

3)      l’urgenza di una profonda revisione dei processi produttivi delle amministrazioni, con l’obiettivo di ottenere risparmi economici e una migliore soddisfazione dell’interesse del cittadino-cliente”. Ancora oggi non si è stati nemmeno capaci di elaborare una modulistica unica per le procedure edilizie ed urbanistiche. L’analisi dei processi produttivi è stata fatta raramente, in modo casuale, senza alcuna connessione tra le amministrazioni. Anche se in questi anni molti processi sono stati rivisti, è totalmente mancata una regia unica. Si pensi al disastro totale ed assoluto delle procedure di appalto: è applicativo, oggi, l’obbligo di utilizzare piattaforme telematiche, ma invece di avvalersi di una ben studiata pubblica, ve ne sono decine e decine, prodotte da soggetti privati, tutte simili, ma tutte diverse. Lo stesso vale per le piattaforme telematiche della trentina circa di soggetti aggregatori;

4)      un progressivo e generale allineamento delle prestazioni delle organizzazioni pubbliche sia ai top performer esistenti, sia ai benchmark internazionali più evidenti e più affidabilmente mutuabili”. Mai visto;

5)      l’indispensabilità di estendere le aree della gestione a concetti, indirizzi e pratiche analoghi a quelli presenti nel privato in termini di autonomia, economicità e delegificazione della gestione”. Un’idea concettualmente sbagliatissima per l’assoluta impossibilità di estendere alla gestione del pubblico metodologie volte al lucro (legittimo) privato. Infatti, in quei pochi tentativi di forzata estensione delle modalità gestionali privatistiche, si è assistito al totale fallimento. Che talvolta è anche di sistema: si pensi alla sanità “privata”, ma sorretta da fondi pubblici e quel che è successo in Lombardia col Covid;

6)      la trasformazione dell’attuale modello di relazioni industriali, a vocazione difensiva e consociativa, in un modello a vocazione propulsiva e partecipativa (partnership sociale) nella riorganizzazione delle amministrazioni e della gestione delle risorse umane ai fini del risultato”. Mai visto nulla di tutto ciò;

7)      l’utilizzo in via primaria e fondamentale della risorsa umana, delle sue competenze professionali, delle sue motivazioni e delle sue capacità relazionali e organizzative”. Bellissima enunciazione, sintetizzata e contraddetta, tuttavia, nelle parole e in molti fatti nella formula “fannulloni”;

8)      introdurre, nell’organizzazione delle pubbliche amministrazioni, sistemi di selezione, valutazione e gestione improntati al merito e alla trasparenza anziché all’anzianità e alle pressioni di forze politiche e sindacali”. Tutto rimasto solo nei pixel di queste parole;

9)      Riconoscere e premiare chi vale e si dà da fare e sanzionare chi non fa il proprio dovere favorirà l’innalzamento della produttività di tutto il settore pubblico, affinché i cittadini ricevano servizi migliori e in tempi più rapidi”. Niente di tutto questo: solo formule forzate, come appunto le tre fasce, solo blocco della contrattazione e delle assunzioni;

10)  saranno individuati sistemi di misurazione e valutazione delle organizzazioni pubbliche diretti a rilevare la corrispondenza dei servizi e dei beni resi ad oggettivi standard di qualità rilevati anche a livello internazionale, nonché stabilire percentuali minime di risorse finanziarie da destinare al merito e alla produttività”. Mai visto nessuno standard, nessun sistema generale di valutazione, nulla di quanto previsto;

11)  I risparmi di gestione potrebbero essere utilizzati per premiare dirigenti e impiegati (si pensi, ad es. ai consumi di carta ed energia, ai risparmi ottenibili attraverso la raccolta differenziata della carta ecc.)”. I famosi, già ricordati”, piani di efficienza hanno provato ad attuare, ma solo sulla carta, questa previsione, rimasta per lo più nell’iperuranio;

12)  Saranno definiti precisi e obiettivi sistemi di misurazione e valutazione delle organizzazioni pubbliche, in grado di rilevare se i servizi resi ai cittadini sono improntati a standard di tempestività e qualità definiti anche a livello internazionale; lo scopo è valorizzare l’impegno e la professionalità dei singoli e delle strutture di appartenenza”. Il tutto si ridusse alle indimenticabili “faccine”, destinate ad una fine ingloriosa;

13)  I risultati della valutazione delle singole amministrazioni dovranno essere resi pubblici e trasparenti mediante i siti internet, ai quali i cittadini potranno rivolgersi per avanzare proposte di miglioramento e segnalare eventuali difetti e disservizi”. Questo è uno dei pochi punti che trovò realizzazione, molti anni dopo, tra il 2013 e il 2017. Ma, di fatto, mediante il d.lgs 33/2013, ha prodotto per lo più un diluvio di burocrazia ed adempimenti compilativi;

14)  Le norme previste tendono a trasformare il dirigente pubblico in un vero manager, reso il più possibile autonomo nell’uso delle risorse umane e finanziarie, attribuendogli precise ed ampie competenze in materia di organizzazione degli uffici e dei servizi. La valutazione della dirigenza deve essere il primo tassello dell’intero sistema di valutazione di tutto il personale. Una delle conseguenze più importanti della nuova valutazione dovrà essere un’effettiva differenziazione delle retribuzioni di risultato dei dirigenti sulla base esclusiva del merito”. Affermazioni di principio del tutto erronee: l’assimilazione della funzione di direzione delle strutture pubbliche con le prerogative manageriali non ha alcun fondamento (il “modello manageriale” è tutt’altra cosa) e, laddove si è provato ad introdurre forzatamente le regole del “new public management” non si è visto nessun risultato utile, ma, al contrario, la crescita della spesa e del caos;

15)  rivedere in senso meritocratico la disciplina dell’accesso alla dirigenza, anche a quella di prima fascia. L’applicazione di questo principio sarà reso più facile dall’adozione di un sistema regolare di valutazione (almeno semestrale)”. Nella stagione di Brunetta, questa previsione restò lettera morta. Ci provò la Madia ad introdurre una riforma della dirigenza più brunettiana di Brunetta, mirata alla precarizzazione estrema della dirigenza e alla sua politicizzazione. Riforma fortunatamente bloccata dalla Consulta;

16)  un’organizzazione più flessibile e attenta alla collocazione produttiva dei dipendenti; ma si rende anche necessario modificare la disciplina delle sanzioni e della responsabilità nell’ambito del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici. In particolare, bisognerà semplificare e accelerare le fasi dei procedimenti disciplinari, con particolare riferimento a quelli per le infrazioni di minore gravità”. Dell’organizzazione più flessibile non si ha traccia. Invece, si è aperta un’ossessione per i procedimenti disciplinari, sfociata nell’idea bislacca, sempre della Madia in abbinato con l’allora premier Renzi, della sanzione entro 48 ore;

17)  Saranno previste una serie di misure volte ad accelerare le procedure di contrattazione, al fine di evitare i cronici ritardi degli anni passati”. In effetti, queste misure ci sono, si pensi all’atto unilaterale, “invenzione” che va a merito dell’allora Ministro Brunetta. Il fatto è, però, che l’assenza di strumenti di controllo sulla contrattazione e di supporto alle PA, ha impedito la paventata accelerazione delle procedure di contrattazione: i ritardi clamorosi sono rimasti immutati.

18)  potenziamento del potere di rappresentanza delle regioni e delle autonomie locali e revisione del sistema della contrattazione anche in vista del federalismo fiscale”. Qui, meglio stendere un velo.

19)  Le attribuzioni delle amministrazioni centrali sono definite per legge. Tuttavia, spesso occorre adattare i moduli organizzativi deputati all’erogazione di prestazioni e servizi e, al tempo stesso, con centrare le singole amministrazioni sulle funzioni che si ritengano essenziali. Ciò richiede un processo di riallocazione delle funzioni tra amministrazioni (e tra i livelli di governo centrale e locale) nonché tra amministrazioni e privati, secondo un modulo possibile che possa prescindere dall’intervento legislativo. Principi-guida di tale processo sono:
• la sussidiarietà, orizzontale e verticale;
• la mobilità delle funzioni
”. Enunciazioni giuste in astratto, che non hanno prodotto nulla. Anzi, alcuni anni dopo, hanno prodotto il disastro della riforma Delrio delle province;

20)  E’ necessario migliorare la qualità dei servizi pubblici promuovendo la gestione orientata al miglioramento continuo, la adozione di standard, la misurazione della soddisfazione ed il benchmarking”. Altro velo.

21)  Saranno previste misure volte a favorire e incrementare le iniziative di sponsorizzazione e di finanziamento di progetto, già consentite dalla legge, con una loro programmazione da parte delle amministrazioni dello Stato”. Le esperienze di partenariato pubblico-privato, specie nei lavori pubblici, hanno prodotto disastri ed indebitamento pubblico;

22)  significativa contrazione delle mere attività di supporto e back-up alle attività istituzionali delle Amministrazioni, attraverso la loro concentrazione in poli specialistici di eccellenza (amministrazione del personale, selezione del personale e organizzazione dei concorsi, contabilità, tesoreria, patrimonio e acquisti, comunicazione non strategica, ecc.), unificati presso l’Amministrazione –o più amministrazioni – che assolvono detti compiti nel modo più efficace”. Enunciazione rimasta per lo più sulla carta, con pochissime attuazioni. La più ampia delle quali, è quella della concentrazione delle stazioni appaltanti, prevista dalle norme sugli appalti pubblici: un disastro organizzativo.

23)  Generale riconfigurazione di tutti i processi organizzativi alla luce della loro diretta riconducibilità alle missioni istituzionali (logica pull e non push), eliminando ogni fase non connotata da adeguato valore aggiunto attraverso la re-ingegnerizzazione focalizzata del flusso procedimentale e amministrativo”. Chi ha notizie sull’attuazione di questa previsione, cortesemente lo dica;

24)  razionalizzazione delle sedi e degli uffici periferici delle Amministrazioni e degli Enti, concentrando, accorpando e unificando i presidi sui territori, qualificandone la logistica e riformandone il lay out alla luce dei nuovi standard internazionali e alle migliori prassi di organizzazione del lavoro e di relazione con i clienti”. Lo smart working sarebbe proprio lo strumento ideale per attuare questa previsione, mai realizzata. Ma le idee del Ministro Brunetta, in merito, non appaiono proprio del tutto in linea…

25)  RUOLO STRATEGICO DELLA DIGITALIZZAZIONE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE”. E’ la parte 3 del “Piano Industriale”. Una serie di intuizioni oggettivamente tutte utili e corrette. E’ la parte più inattuata, ma più necessaria. Il codice dell’amministrazione digitale è tra le previsioni normative potenzialmente più potenti ed efficaci, quanto tra quelle peggio e meno attuate fino ad oggi.

Tornare alla casella di partenza, si spera valga solo e proprio per questa ultima parte. La previsione di un Ministero per l’Innovazione tecnologica, quello affidato a Vittorio Colao, manager espertissimo in questo campo, potrebbe essere un passo importante per questo salto di qualità. Oggettivamente, il d.l. 34/2020 getta le basi per una transizione digitale finalmente efficace. E il Ministro Brunetta può essere indicato come un promotore essenziale di questo sviluppo, anche se ancora di là da venire.

Ecco: speriamo si riparta da questo sviluppo. Ma, la tentazione di riformulare ed esasperare gli slogan, i fannulloni, le sanzioni disciplinari, i tornelli, le forzature metodologiche sulla valutazione, i “manager” alle vongole, si teme prevarrà.

 

2 commenti:

  1. Brunetta, professore universitario farà le solite "riforme" finalizzate a "fustigare" e umiliare la plebe del pubblico impiego (insegnanti, dipendenti pubblici e dirigenti dei livelli più bassi della PA, ma non toccherà giammai alcun privilegio delle elites dei dipendenti pubblici: professori universitari, magistrati, diplomatici, vertici militari, vertici ministeriali, prefetti, dipendenti della Camera dei deputati, del Senato, della corte costituzionale, della presidenza della repubblica...

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  2. "1) Occorre introdurre nel lavoro pubblico la figura del datore di lavoro a cui sia possibile imputare l’eventuale responsabilità di un “fallimento” dell’Amministrazione,..." Anziché ritenere questa una vera bestemmia (nella PA sarebbe il regno dello scarica barile e la definitiva affermazione della logica del cerino) e rispedire questa "follia" al mittente (chiedendogli semmai conto perché, visto il fallimento del suo programma, tale auspicata misura non sia stata applicata direttamente al mittente stesso) ci si dispone ad accettarla, osservando semplicemente: "Mai vista simile normativa;"!

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