venerdì 30 luglio 2021

Mobilità nel pubblico impiego: il fatto vero è che il Legislatore non sa cosa sia la cessione del contratto

Da anni ed anni, dal 2005 circa, il Legislatore funesta la "mobilità" dei dipendenti pubblici, cioè la possibilità di un loro trasferimento da un ente all'altro, con la sua assimilazione alla cessione del contratto.

Un errore di prospettiva clamoroso, ma continuamente reiterato e purtroppo preso acriticamente per buono dalla giurisprudenza e gran parte della dottrina.

Gli emendamenti proposti dalle commissioni riunite del Senato Affari e Giustizia alla legge di conversione del d.l. 80/2021 confermano l'impressione che dalle parti di Montecitorio e Palazzo Madama vi sia estrema confusione sul tema.

Infatti, nel modificare nuovamente il testo dell'articolo 30 del d.lgs 165/2001, allo scopo di attenuare per gli enti locali i disastrosi effetti della dissennata eliminazione del nulla osta ai trasferimenti, si fa per due volte riferimento all'amministrazione di appartenenza del dipendente che chiede la mobilità come "amministrazione cedente".

Sarebbe "cedente" l'amministrazione che dichiara motivatamente infungibili le posizioni lavorative, allo scopo di sottrarle alla mobilità "liberalizzata"; sarebbe amministrazione "cedente" l'ente locale che può differire la mobilità fino all'effettiva assunzione del personale assunto a copertura dei posti vacanti e comunque per un periodo non superiore a 30 giorni successivi a tale assunzione, ove ritenuto necessario il previo svolgimento di un periodo di affiancamento.

Chi ha scritto queste disposizioni, quindi, ritiene che nel rapporto trilaterale che si instaura a seguito della mobilità il soggetto che "cede" il contratto sia l'amministrazione di provenienza del dipendente; di conseguenza, cessionario è l'ente di destinazione (che acquisisce il dipendente); e il dipendente sarebbe il "ceduto".

Peccato che questa visione sia totalmente erronea e testimonia dello stato confusionale nel quale versa il Legislatore.

Nella cessione del contratto, che è un rapporto trilaterale, due parti sono attive, l'altra è passiva. Sono attive proprio il cedente ed il cessionario: sono questi che attivano la trattativa per negoziare tra loro la cessione del contratto, del quale è parte il cedente, ma non ancora il cessionario. Il ceduto è, invece, soggetto passivo, che, però, dispone del potere di dare efficacia all'accordo tra cedente e cessionario, esprimendo il proprio consenso a che parte del contratto da cedere divenga il cessionario, con liberazione del cedente.

Questo schema, nella mobilità del personale, non funziona affatto. Proviamo a leggere le norme, con una delicata operazione di taglio e cucito, a seguito degli emendamenti:

Articolo 30, d.lgs 165/2001:

1. Le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante cessione del contratto di lavoro di dipendenti di cui all'articolo 2, comma 2, appartenenti a una qualifica corrispondente e in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento, previo assenso dell'amministrazione di appartenenza. È richiesto il previo assenso dell'amministrazione di appartenenza nel caso in cui si tratti di posizioni motivatamente infungibili dichiarate motivatamente infungibili dall'amministrazione cedente, di personale assunto da meno di tre anni o qualora la suddetta amministrazione di appartenenza abbia una carenza di organico superiore al 20 per cento nella qualifica corrispondente a quella del richiedente qualora la mobilità determini una carenza di organico superiore al 20 per cento nella qualifica corrispondente a quella del richiedente. È fatta salva la possibilità di differire, per motivate esigenze organizzative, il passaggio diretto del dipendente fino ad un massimo di sessanta giorni dalla ricezione dell'istanza di passaggio diretto ad altra amministrazione. Le disposizioni di cui ai periodi secondo e terzo non si applicano al personale delle aziende e degli enti del servizio sanitario nazionale, per i quali è comunque richiesto il previo assenso dell'amministrazione di appartenenza. Al personale della scuola continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti in materia. Le amministrazioni, fissando preventivamente i requisiti e le competenze professionali richieste, pubblicano sul proprio sito istituzionale, per un periodo pari almeno a trenta giorni, un bando in cui sono indicati i posti che intendono ricoprire attraverso passaggio diretto di personale di altre amministrazioni, con indicazione dei requisiti da possedere. In via sperimentale e fino all'introduzione di nuove procedure per la determinazione dei fabbisogni standard di personale delle amministrazioni pubbliche, per il trasferimento tra le sedi centrali di differenti ministeri, agenzie ed enti pubblici non economici nazionali non è richiesto l'assenso dell'amministrazione di appartenenza, la quale dispone il trasferimento entro due mesi dalla richiesta dell'amministrazione di destinazione, fatti salvi i termini per il preavviso e a condizione che l'amministrazione di destinazione abbia una percentuale di posti vacanti superiore all'amministrazione di appartenenza. Per agevolare le procedure di mobilità la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica istituisce un portale finalizzato all'incontro tra la domanda e l'offerta di mobilità.

01-bis Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano agli enti locali fino a 100 dipendenti a tempo indeterminato. Per gli enti locali con un numero di dipendenti compreso tra 100 e 250, la percentuale di cui al comma 1 è stabilita 15 al 5%; per gli enti locali fino a 500 dipendenti la predetta percentuale è fissata al 10%. La percentuale di cui al comma 1, è da considerarsi all'esito della mobilità e riferita alla dotazione organica dell'ente.

 

Articolo 3, comma 7-ter, del d.l. 80/2021:

Per gli enti locali, in caso di prima assegnazione, la permanenza minima del personale è di cinque anni. In ogni caso, la cessione del personale può essere differita, a discrezione dell'amministrazione cedente, fino all'effettiva assunzione del personale assunto a copertura dei posti vacanti e comunque per un periodo non superiore a 30 giorni successivi a tale assunzione, ove ritenuto necessario il previo svolgimento di un periodo di affiancamento

Come dovrebbe risultare facilissimo da comprendere, l'iniziativa della mobilità è assunta dall'ente cessionario, quello che intende acquisire il personale, il quale pubblica un bando. Il soggetto che contratta con l'ente cessionario, però, non è l'ente di provenienza del dipendente che voglia andare in mobilità, ma il dipendente stesso, il quale, infatti, presenta la domanda.

Dunque, le parti attive sono il dipendente e l'ente cessionario. L'ente di provenienza non può essere considerato in alcun modo "cedente", perchè non cede alcunchè: subisce il trasferimento.

Il Legislatore mostra di andare in totale confusione e appunto confonde lo schema del comma 1 dell'articolo 30 del d.lgs 165/2001 con quello del comma 2 del medesimo articolo; leggiamolo:

"Nell’ambito dei rapporti di lavoro di cui all’articolo 2, comma 2, i dipendenti possono essere trasferiti all’interno della stessa amministrazione o, previo accordo tra le amministrazioni interessate, in altra amministrazione, in sedi collocate nel territorio dello stesso comune ovvero a distanza non superiore a cinquanta chilometri dalla sede cui sono adibiti. Ai fini del presente comma non si applica il terzo periodo del primo comma dell’articolo 2103 del codice civile. Con decreto del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, previa consultazione con le confederazioni sindacali rappresentative e previa intesa, ove necessario, in sede di conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, possono essere fissati criteri per realizzare i processi di cui al presente comma, anche con passaggi diretti di personale tra amministrazioni senza preventivo accordo, per garantire l'esercizio delle funzioni istituzionali da parte delle amministrazioni che presentano carenze di organico. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano ai dipendenti con figli di età inferiore a tre anni, che hanno diritto al congedo parentale, e ai soggetti di cui all’articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni, con il consenso degli stessi alla prestazione della propria attività lavorativa in un’altra sede. In ogni caso sono nulli gli accordi, gli atti o le clausole dei contratti collettivi volti ad eludere l'applicazione del principio del previo esperimento di mobilità rispetto al reclutamento di nuovo personale".

In questo caso sì che sono gli enti datori di lavoro a negoziare il trasferimento ed è il dipendente ad essere "ceduto"; infatti, non si tratta di una mobilità "volontaria" a domanda del dipendente, ma di una mobilità obbligatoria, decisa unilateralmente dall'ente cedente.

Il comma 1 dell'articolo 30 tratta una fattispecie completamente diversa, nella quale l'ente di provenienza del dipendente che transita in mobilità è la parte passiva, chiamato, infatti:

a) a subire totalmente l'iniziativa tra dipendente ed ente cessionario, qualora la mobilità non sia soggetta a nulla osta;

b) ad esprime il nulla osta, alla stregua del contraente ceduto e non cedente, qualora si rientri nelle condizioni al ricorrere delle quali il nulla osta sia ancora necessario.

In ogni caso, la soppressione sia pur parziale e confusionaria del nulla osta è lì a dimostrare che la mobilità volontaria è istituto solo analogo alla cessione del contratto, ma non identificabile con tale negozio, rispetto al quale ha profondissime differenze. Che, purtroppo, a Roma non sono colte e comprese. Ed il risultato è il caos.


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