L’ordinanza della Cassazione Civile, Sezione 2, 20 giugno 2022, n. 19751, evidenzia almeno due aspetti molto importanti. Il primo è di notevolissima gravità: la gran parte dei giudici civili non ha la minima idea delle norme che regolamentano l’ordinamento degli enti locali, ma, in generale, la pubblica amministrazione.
Nella parte di osservazioni in fatto e diritto, la Cassazione evidenzia come i giudici di primo e secondo grado abbiano trattato la questione in merito alla legittimità di un’ordinanza ingiunzione in tema di autorizzazioni allo scarico, disposta dall’Arpa Molise nei confronti del sindaco di un comune, invece che del responsabile di servizio preposte. I giudici di prime e seconde cure hanno negato che la responsabilità amministrativa fosse da individuare in capo al vertice gestionale perchè, a loro modo di vedere “per affermare l'esclusiva responsabilità del delegato occorreva una prova rigorosa su specifiche condizioni e presupposti, tra i quali la natura formale ed espressa della delega, la sua natura strutturale e non occasionale, la specificità dei poteri delegati, la pubblicità verso terzi, la effettività dei poteri decisionali trasferiti in capo al delegato in completa autonomia di gestione economica, la capacità e l'idoneità tecnica del soggetto delegato, l'insussistenza di una richiesta di intervento da parte del delegato o di un'ingerenza da parte del delegante, la mancata conoscenza da parte del delegante della negligenza o sopravvenuta inidoneità del delegato quale conseguenza della non ingerenza, circostanze di cui non era stata offerta la prova nel caso de quo, non essendo sufficiente la mera esistenza dell'individuazione di un dirigente deputato alla gestione dell'area 1. Inoltre il Sindaco per dimostrare di essersi completamente spogliato dai suoi poteri di vigilanza sul settore avrebbe dovuto provarlo con atto scritto dal contenuto inequivocabile”.
31 anni di riforma dell’ordinamento degli enti locali, la legge 241/1990, il d.lgs 75/1995, la legge 127/1997, il d.lgs 267/2000, il d.lgs 29/1993, la legge 80/1998, il d.lgs 165/2001, tutta la giurisprudenza amministrativa e l’intero sistema ordinamentale della PA sono andati in fumo. Secondo i giudici di primo e secondo grado, la ricostruzione dell’organizzazione dei poteri pubblici andrebbe ricondotta in base al rapporto di delega che l’organo di governo conferisce ai dirigenti o ai responsabili di servizio!
Viene da chiedersi quali testi, quali leggi, quali interpretazioni sull’ordinamento dell’organizzazione pubblica e degli enti locali abbiano letto, conosciuto ed applicato quei giudici.
E’ desolante constatare che nel 2022 ancora possa essere radicata anche nella magistratura l’idea che la PA sia organizzata in modo speculare ad un’azienda e che i poteri di chi agisce siano fondati sulla rappresentanza.
Qualcuno dovrebbe spiegare ai giudici ordinari che l’esercizio dei poteri nella PA si fonda sulla competenza, cioè la delineazione della sfera di precisi poteri che la legge attribuisce agli organi in modo diretto ed esclusivo. Sicchè ciascun organo trae direttamente dalla legge la quantità e qualità della propria competenza, ancorchè in alcuni casi occorra un provvedimento col quale conferire al titolare dell’organo la concreta attribuzione dei poteri connessi alla direzione di strutture amministrative, cosa totalmente diversa dalla delega.
Poichè ai sensi dell’articolo 97, comma 2, della Costituzione “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge”, la delega di funzioni, consistente in un provvedimento amministrativo che modifica le attribuzioni di poteri, è un’eccezione che deve essere espressamente consentita dalla legge.
Ai giudici di primo e secondo grado che hanno esaminato la causa risultano totalmente sconosciuti gli articoli 4 e 5 del d.lgs 165/2001 e gli articoli 50, 48 e 107 del d.lgs 267/2000 in tema di separazione delle competenze tra organi di governo ed organi gestionali; detta separazione è null’altro se non la concreta attuazione nell’organizzazione pubblica dell’articolo 97 della Costituzione.
Lo sconforto prostrante cagionato da dette sentenze dei primi due gradi, che purtroppo costituiscono tutt’altro che un’eccezione, è mitigato dall’intervento della Cassazione, invece in linea con i principi e le norme dell’ordinamento pubblicistico e locale.
L’ordinanza della Sezione 2 è una vera e propria bacchettata nei confronti dei giudici territoriali: “E' stato tuttavia chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 20864 del 2009) che, nello svolgimento dell'attività degli enti locali, e in particolare dei comuni, le responsabilità penali e le responsabilità di ordine sanzionatorio - amministrativo connesse alla violazione delle norme che l'ente è tenuto a osservare nello svolgimento della sua attività, sono ripartite tra gli organi elettivi e quelli burocratici sulla base del principio della separazione delle funzioni (legge n. 142 del 1990, art. 51, comma 2, poi novellato dalla legge 15 maggio 1997, n. 127, art. 6, e quindi trasfuso nel Testo Unico degli enti locali approvato con d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 107, comma 3) e in correlazione alle rispettive attribuzioni, desumibili dalla disciplina di settore”.
E, soprattutto “Non si può pertanto, automaticamente ascrivere al Sindaco di un Comune, ancorché di modeste dimensioni, qualsiasi violazione di norme verificatasi nell'ambito di attività dell'ente, allorché sussista una apposita articolazione burocratica preposta allo svolgimento dell'attività medesima, con relativo dirigente dotato di autonomia decisionale e di spesa”. Infatti, la responsabilità dell'organo politico di vertice può emergere, spiega la Cassazione, “solo in presenza di specifiche situazioni, correlate alle attribuzioni proprie di tale organo”. Ma, “a tali principi non si è attenuta la Corte di merito”.
La seconda considerazione è conseguente: la chiamata a responsabilità dei sindaci, molto vasta ed estesa, causa di annose richieste di riforma dell’articolo 50 del d.lgs 267/2000 volte ad evidenziare una distinzione tra responsabilità “politica” e quella gestionale, non è per nulla causata dalla normativa, per quanto migliorabile nella sua stesura.
L’eccessivo accento sulla responsabilità dei sindaci è chiaro ed evidente frutto di travisamenti delle norme e dei principi clamorosi come quelli emergenti dalla vicenda trattata dall’ordinanza in esame.
Si resta, pertanto, dell’idea che la corretta configurazione delle responsabilità non sia tanto un problema di definizioni giuridiche (il tentativo di riforma dell’articolo 50 ancora non andato in porto non pare risolvere in modo efficace il problema, si veda qui e qui), quanto una questione di capacità dei giudici penali e civili di conoscere ed inquadrare correttamente l’assetto dell’organizzazione pubblica, con le connesse sfere di competenze e responsabilità. In assenza di un’operazione di ampia formazione e di intervento correttivo serio e sanzionatorio nel caso di clamorosi travisamenti come quello analizzato, qualsiasi riscrittura dell norme servirebbe a poco, con una magistratura convinta che il sindaco attribuisca poteri ai dirigenti per effetto di deleghe.
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