La deliberazione
760/2019 dell’Anac, secondo la quale il presidente della
commissione di gara non può coincidere col dirigente che poi approva
la proposta di aggiudicazione è rivelatrice del travisamento della
funzione di amministrazione attiva, sotteso alla redazione
dell’articolo 77, comma 4. del codice dei contratti.
La norma dispone quanto segue: “I commissari non devono aver
svolto né possono svolgere alcun'altra funzione o incarico tecnico o
amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si
tratta. La nomina del RUP a membro delle commissioni di gara è
valutata con riferimento alla singola procedura”.
La disposizione è stata così configurata a partire da due
presupposti-pregiudizi:
- la composizione della commissione con commissari interni è di per sé indice di potenziale assenza di terzietà nella valutazione delle offerte;
- occorre creare un Albo nazionale al quale attingere per selezionare i commissari dall’esterno, in modo da scongiurare il pericolo evidenziato al punto precedente.
La costituzione dell’Albo si sta rivelando un pio desiderio. Nei
fatti, la previsione dell’articolo 77, comma 4, fin qui, lungi dal
procurare alcun genere di beneficio procedurale e logico al sistema
degli appalti, ha solo innescato un contenzioso infinito sulla
composizione della commissione, del quale il parere dell’Anac è,
del resto, piena testimonianza.
Che la norma sia stata scritta male ed abbia solo suscitato problemi
né è data prova dall’introduzione dell’ultimo periodo, disposta
dal “correttivo “ (ormai uno dei tantissimi) al codice, il d.lgs
56/2017: è stata aggiunta la precisazione in merito al Rup,
essendosi il Legislatore accordo tardivamente della forte opportunità
che il Rup faccia parte della commissione, essendo indispensabile la
sua presenza sul piano della gestione tecnica della procedura.
La correzione al testo dell’articolo 77, comma 4, apportata
dall’articolo 46, comma 1, lettera d), del d.lgs 56/2017, insieme
con il rinvio sine die dell’attivazione dell’Albo, costituiscono
basi indiziarie fortissime per lasciar ritenere che l’impianto
della norma fosse sbagliato nella sua formulazione originale e resti
ancora fortemente erroneo.
In particolare, appare del tutto non condivisibile il pregiudizio che
ne sta alla base, ben evidenziato dalla stessa deliberazione
dell’Anac: “detta disposizione risponde all’esigenza di
rigida separazione della fase di preparazione della documentazione di
gara da quella di valutazione delle offerte in essa presentate, a
garanzia della neutralità del giudizio ed in coerenza con
la ratio generalmente sottesa alle cause di incompatibilità dei
componenti degli organi amministrativi (ex multis cfr. Cons. Stato,
sez. V, 14 gennaio 2019, n. 283; Cons. Stato, III, 22 gennaio 2015,
n. 226; Cons. Stato, Ad Plen., 7 maggio 2013, n. 13); in definitiva,
tale divieto è destinato a prevenire il pericolo concreto di
possibili effetti distorsivi prodotti dalla partecipazione alle
commissioni giudicatrici di soggetti (progettisti, dirigenti che
abbiano emanato atti del procedimento di gara e così via) che siano
intervenuti a diverso titolo nella procedura concorsuale, definendo i
contenuti e le regole della procedura (Cons. Stato, sez. V, 28 aprile
2014, n. 2191)”.
In precedenza, addirittura la giurisprudenza aveva evocato il
principio della cosiddetta virgin mind:
Tar Puglia-Lecce, Sezione II, con la sentenza 29 giugno 2017, n.
1074, secondo il quale “E’ infatti evidente la
finalità, perseguita dall’art. 77 comma 4 citato, di evitare che
uno dei componenti della Commissione, proprio per il fatto di avere
svolto in precedenza attività strettamente correlata al contratto
del cui affidamento si tratta, non sia in grado di esercitare la
delicatissima funzione di giudice della gara in condizione di
effettiva imparzialità e di terzietà rispetto agli operatori
economici in competizione tra di loro.
Ritiene il Collegio di dover precisare, sul punto, che il
principio di imparzialità dei componenti del seggio di gara va
declinato nel senso di garantire loro la cd virgin mind, ossia la
totale mancanza di un pregiudizio nei riguardi dei partecipanti alla
gara stessa.
Tale pregiudizio può essere agevolmente rintracciato in un caso
come quello qui in esame, posto che la predisposizione, da parte del
Presidente della Commissione di gara, addirittura delle c.d. regole
del gioco può influenzare la successiva attività di arbitro della
gara”.
Come già
scritto in precedenza, l’assunto è, sostanzialmente, che delle
commissioni, obbligatorie quando il criterio di gara è quello
dell’offerta economicamente più vantaggiosa, debbano fare parte
delle “vestali”, con la “mente vergine” e a loro volta
vergini di ogni partecipazione alle procedure di formazione della
documentazione tecnica e con la mente totalmente sgombra da qualsiasi
cognizione tecnica allo scopo realizzata e, soprattutto, da ogni
condizionamento.
Non su può fare a meno di rilevare, tuttavia, che l’evidente
pregiudizio che ha guidato la redazione dell’articolo 77 del codice
dei contratti è il frutto di una visione distorta della funzione di
amministrazione attiva.
L’Anac e la giurisprudenza intervenuta sull’immenso contenzioso
scatenato dalla norma, infatti, pretendono di configurare l’attività
di amministrazione attiva alla stregua del processo penale o anche
erariale, con la netta distinzione tra la funzione istruttoria di
competenza della Procura, e quella giudiziale spettante al Giudice,
in posizione di terzietà tra accusa e difesa.
Ma, il procedimento amministrativo non è un processo contenzioso. É
la modalità con la quale viene svolta l’amministrazione attiva,
che per sua stessa natura è necessariamente discrezionale e per
questo viene fortemente limitata da incombenze procedurali ed oneri
motivazionali stringenti.
Tutte le scelte dell’amministrazione attiva sono adottate da organi
dell’amministrazione, che si avvalgono del loro potere
discrezionale e sono obbligati ad evidenziare che l’esercizio di
tale potere è stato rispettoso dei vari gangli imposti dalla legge:
termini, condizioni, pubblicazioni, verbalizzazioni, comunicazioni
con i terzi, forma dei provvedimenti, motivazione, rispetto di regole
tecniche e della legalità.
La commissione di gara è comunque un organo, sia pure straordinario
e transitorio, dell’amministrazione procedente. L’operato della
commissione, chiunque siano i componenti, non può che essere guidato
dalle stringentissime regole operative imposte dal codice dei
contratti, dal bando, dal principio di legalità e dalle regole
tecniche di cui tenere conto nella formulazione dei giudizi di
valutazione, a loro volta fortemente da vincolare in via preventiva
dai criteri e sub-criteri motivazionali da rispettare.
La circostanza che il presidente o il Rup abbiano svolto funzioni
amministrative o tecniche, come la formulazione del capitolato o
l’approvazione della determinazione a contrattare, se si vuol
prendere atto, come sarebbe corretto e inevitabile, della corretta
visione della funzione di amministrazione attiva, è del tutto
irrilevante rispetto ad una presunta necessità di “terzietà”
nella valutazione delle offerte.
Pensare che occorra tale terzietà, ed è questo il pensiero del
Legislatore, come interpretato ed evidenziato da Anac e
giurisprudenza, è un po’ come dare per scontato che nel progettare
e produrre gli atti tecnico amministrativi, i componenti della
commissione che a vario titolo abbiano prodotto detti documenti,
abbiano posto in essere un “bando fotografia”, cioè un insieme
di regole di gara volto a favorire la vittoria di un ben
predeterminato operatore economico.
Ma, se questo è il rischio, poco potrebbe fare per arginarlo una
commissione interamente esterna: in ogni caso il bando-fotografia
finirebbe inevitabilmente per orientare i giudizi, alla luce di una
falsa obiettività delle valutazioni; falsa perché corretta nella
forma (la valutazione sarebbe adottata da una “mente vergine” nel
rispetto dei criteri), ma scorretta nella sostanza, perché i criteri
valutativi sarebbero stati a monte condizionati dal
progetto-capitolato tendente a favorire quel certo operatore
economico.
La “neutralità del giudizio”, a ben vedere, dunque, non risolve
nulla. La correttezza dell’operato della commissione non sta in una
pretesa posizione di “terzietà” rispetto a chi svolge funzioni
tecnico-amministrative. Sta, al contrario, nel rispetto delle regole
di correttezza, buona fede e buon andamento, oltre che nelle norme
discendenti dalla legge e dalla lex specialis della gara, rispetto
che incombe su chiunque faccia parte della commissione, esterno o
interno all’ente, abbia o meno partecipato alla produzione della
documentazione tecnico amministrativa.
Del resto, rinunciare del tutto alla presenza in commissione di
soggetti che conoscano a fondo la documentazione è antieconomico,
illogico e contrario al buon andamento: infatti, nel 2017 è stata
introdotta la previsione (certamente ambigua, come se il Legislatore
non avesse voluto ammettere un proprio errore iniziale di
impostazione) che consente al Rup di essere parte della commissione.
La visuale dell’amministrazione attiva proposta dalla legge e dai
suoi interpreti, in ogni caso, produce evidenti inefficienze,
dimostrate dal contenzioso, dal correttivo al codice e dalla
difficoltà oggettiva di moltissimi enti a parcellizzare tra vari
dirigenti e funzionari le attività. Sono moltissimi i comuni e le
amministrazioni di piccole dimensioni che proprio non dispongono
numericamente del personale necessario per differenziare ruoli ed
attività, mentre langue – e probabilmente non partirà mai –
l’Albo dei commissari. Che, per altro, renderebbe gestire gli
appalti ancor più oneroso sul piano procedurale e dei costi.
L’Anac ritiene di evidenziare la posizione di “terzietà” della
commissione rispetto al dirigente del servizio che approvi la
proposta di aggiudicazione nelle regole poste dalla legge 241/1990:
“la stessa legge sul procedimento amministrativo a demandare
all’organo competente all’adozione del provvedimento finale il
compito di approvare quanto proposto – e, necessariamente redatto
materialmente - dal responsabile del procedimento; tuttavia, l’art.
6, comma 1, lett. e) della L. 241/90 gli consente di discostarsi
dalle risultanze dell’istruttoria e, quindi, di adottare,
motivandola, una decisione diversa da quella proposta dal
responsabile del procedimento e detta facoltà risulterebbe
irragionevole e illogica se l’adozione/approvazione della proposta
fosse un’attività meramente formale non implicante la condivisione
dei contenuti”.
Ma anche questo ragionamento non persuade e non è sufficiente. La
legge 241/1990 non obbliga per nulla a distinguere tra responsabile
del procedimento e dirigente nella veste di organo competente ad
adottare il provvedimento finale; esattamente all’opposto, gli
articoli 4 e 5 della legge 241/1990 postulano la coincidenza ex lege
della funzione di responsabile del procedimento nel dirigente (o
vertice amministrativo dell’unità organizzativa responsabile). La
legge 241/1990, lungi da predicare una posizione di terzietà tra
organismo decisore e soggetto istruttore, parte invece dal
presupposto diametralmente opposto, a dimostrazione che
l’amministrazione attiva non richiede per nulla la distinzione di
ruoli esistente nel processo giudiziale. La distinzione dei ruoli tra
responsabile del procedimento ed organo decidente è solo di
carattere funzionale e di rilievo interno (ai fini della
responsabilità) all’ente, ed esterno ai soli fini della
segnalazione a terzi della persona fisica alla quale rivolgersi per
contattare l’amministrazione procedente.
Non ci si dilunga, poi, sulla circostanza che la gestione delle
acquisizioni di beni, servizi e lavori è spessissimo parametro per
la valutazione di dirigenti e responsabili di servizio: laddove passi
il principio che questi funzionari non possano presiedere la gara e
agire come “mente vergine”, sarebbe difficile pretendere di
valutarne l’attività “manageriale”. Il “manager” in quanto
tale (l’espressione viene dal latino manu agere,
maneggiare) significa sporcarsi le mani, agire, dare direttive.
Difficile attuare obiettivi gestionali che richiedano appalti,
scegliendo, per presiedere la commissione (azione necessaria per
garantire la cura diretta delle tempistiche), di non vedere, sentire
e parlare dell’appalto necessario; o al contrario, di non
presidiare la fase della gara, se si adempie al dovere di adottare le
proprie cognizioni tecniche, oltre che direttive, per allestire gli
atti di gara.
Pare che per l’ennesima volta il nuovo attuale Governo voglia
approvare un correttivo (se ne è perso il conto) al codice dei
contratti.
Non sarebbe male se si estirpasse per sempre l’articolo 77, comma
4, meglio se si riscrivesse del tutto l’articolo 77, rinunciando
all’ideona inattuabile della commissione esterna obbligatoria.
Se, però, si ritenesse che debba prevalere il pregiudizio, cioè che
in ogni caso la presenza di chi abbia svolto funzioni
tecnico-amministrative per l’appalto nella commissione, sia sempre
e comunque cagione di rischi di conflitti di interessi, chi scrive,
come già fatto in tema di rotazione,
torna a suggerire un sistema estremamente più semplice. Invece di
immaginare centralizzazione degli appalti, Consip, Mepa, centrali di
committenza e farraginose regole sulla composizione delle
commissioni, tutto finalizzato ad estirpare dalla funzione di
amministrazione attiva la gestione delle procedure di gara in capo
all’amministrazione procedente, si decida una volta e per sempre
che le aggiudicazioni siano effettuate dai Tar o dall’Anac. La
terzietà a quel punto è assicurata e non vi sarebbero più dubbi
sulla composizione delle commissioni ed il contenzioso finalmente
cesserebbe.
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